Io non capisco coloro che ritengono la nostra Costituzione un dogma intoccabile e addirittura indiscutibile. Non li capisco proprio, e quando li sento farfugliare su una sua strenua difesa, afferro solo il tentativo di difendere non tanto i princìpi inseriti nella carta, quanto lo status quo che sta dietro la stratificazione delle leggi germogliate all’ombra della carta del 1948.
Salta agli occhi di tutti che la nostra Costituzione è vecchia e necessita di un aggiornamento e di un svecchiamento dettato dal progresso dei tempi. La cultura e le problematiche sociali non sono più quelle dell’immediato dopoguerra. E una delle culture (deleterie) che hanno contribuito alla scrittura della nostra carta fondamentale ormai è morta e sepolta (parlo del comunismo) da diversi anni. Perché dunque insistere? Perché perpetrare la sopravvivenza di una carta ideologica in un’epoca in cui le esigenze di un paese non rispecchiano più i principi della Costituzione e le ideologie sono morte?
Hanno ragione i Vescovi. O almeno in parte hanno ragione. È necessario cambiarla. E aggiungono: ma senza stravolgerla. E su questo punto sono d’accordo anche io. Il problema magari è capire cosa si deve intendere per «non stravolgerla». Se il significato significa cambiare tutto per non cambiare nulla, beh, chiaramente mi sottraggo all’incombente. Ma se il significato è quello di fare l’updade (letteralmente: aggiornamento) alla carta, per eliminarne il vecchiume ideologico, beh, allora sono della partita. Almeno idealmente.
I Vescovi comunque sembra abbiano le idee chiare: «La Costituzione italiana è frutto di una esperienza esemplare di alto compromesso delle principali culture politiche del Paese. Eventuali modifiche non devono stravolgerne l’impianto fondante definito innanzitutto nella prima parte».
Ecco, a me il «compromesso» fa venire l’orticaria. Perché sa di intrallazzo ove ognuno cede qualcosa per ottenere in cambio qualcosa di più, e sappiamo bene che quando la nostra Costituzione nacque fu ceduto – in nome del compromesso – il diritto degli italiani di scegliersi un governo solido e duraturo, in cambio della legittimazione del comunismo nel nostro paese. Un compromesso che ha piegato la politica italiana degli ultimi cinquant’anni alle logiche spartitorie economiche, politiche e persino culturali.
Ma questo è un argomento trito e ritrito, sul quale ho già detto. Quello che qui voglio aggiungere riguarda un altro commento dei Vescovi. Mi riferisco al punto in cui affermano che «occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo. Bisogna anche affrontare la questione del numero di mandati e dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia».
Beh, sicuramente concordo con il «reale potere di scelta e controllo». Ma credo che questo potere non debba essere riferito solo alla politica, ma anche alla giustizia. E allora, benché si possa affermare che la riforma proposta dal governo sia sommamente accettabile, è chiaro che una riforma che si dica tale dovrebbe prevedere la possibilità per i cittadini di partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia, anche attraverso meccanismi di elezione di giudici e pubblici ministeri.
È d’altra parte, rimango invece perplesso per quanto attiene ai casi di «ineleggibilità» di chi ha pendenze con la giustizia. Ancora una volta sfugge il concetto fondamentale che dovrebbe informare una democrazia e la cultura democratica di un popolo: il perfetto equilibrio tra i poteri dello Stato. Non v’è democrazia se un potere ha la possibilità di condizionare un altro potere. Non vi è soprattutto democrazia se non prevale il principio dell’innocenza sino a condanna definitiva. Entrambe le esigenze sono due facce della stessa medaglia: la tutela dello Stato di diritto e la garanzia che i poteri dello Stato non abusino dei loro attributi costituzionali per farsi la guerra a vicenda, e tutto a danno del cittadino. Inserire nel nostro ordinamento il principio secondo il quale chi è indagato o processato è ineleggibile, significa invece creare un forte squilibrio e attribuire al potere giudiziario la possibilità di alterare e condizionare gli equilibri politici del paese. L’ineleggibilità va bene solo e se si arriva a condanna definitiva. Perché è solo con la condanna definitiva che una persona viene considerata certamente responsabile degli addebiti penali, e dunque immeritevole di rappresentare il popolo.
Autore: Il Jester » Articoli 1379 | Commenti: 2235
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