Oggi va così. Ho una voglia di partire per l'Asia che mi scalda i piedi e mi fa vibrare la pelle. In realtà è già da qualche giorno che penso insistentemente alla Birmania, la mia adorata Birmania.
Non ho nessun viaggio in programma, purtroppo.
Stamattina uno scambio già visto di messaggi con Cabiria mi ha fatto riflettere su alcune cose. Lo scambio era questo.
"Io te lo dico. Ho una voglia di Cambogia - Birmania -Bali che ciao"
"Non istigare per favore, che ho già i miei problemi"
"io Devo tornare in Birmania, Devo"
"Ti accompagno volentieri! Sono nella tua stessa situazione per Bali, quest'anno non ci vado e divento matta!"
Classici scambi del lunedì mattina, anche se fuori splende il sole e la primavera rende la vita più leggera.
Se potessi scegliere tornerei in Cambogia, volerei in Birmania e andrei a scoprire Bali, quell'isola di cui ho letto così tanto che la conosco meglio di destinazioni in cui sono stata.
E tornerei in Cambogia.
E tornerei in Colombia.
E tornerei in Birmania.
Sono tutti posti belli da visitare, ricchi di una buona dose di posti da vedere e di patrimonio culturale che ti può arricchire dal punto di vista del bagaglio raccontabile. Ma perché vogliamo sempre tornare in alcuni posti e non in altri, anche se magari ci sono piaciuti di più?
Credo che non sia solo come ti senti quando ti trovi in quei posti, ma è quello che diventi, grazie a quei posti, l'influenza che hanno su di te nella vita di tutti i giorni, le modifiche che riescono a fare nel tuo chip cuore/cervello.
In Cambogia ho imparato la solitudine che non pensavo di sostenere e ho tirato fuori il coraggio che non pensavo di avere. Ho camminato per giorni interi senza nemmeno sentire il suono della mia voce (avete mai provato a stare zitti per un giorno intero e poi a parlare? E' proprio stranissimo!), ho litigato con il mio cervello per ore intere, mi sono fatta mille discorsi mentre distruggevo le suole delle scarpe, bevevo the e buttavo fuori le tossine di un periodo troppo brutto della mia vita.
Ero sola. Per la prima volta ero davvero sola e potevo fare quello che volevo, con i miei tempi, con i miei errori. Stavo facendo qualcosa che era davvero solo per me, una cosa che volevo con tutte le mie forze.
Ho imparato a sedermi in un ristorante e guardare e gustarmi il cibo, senza leggere, senza guardare il telefono, senza sentirmi una sfigata perché non avevo nessuno di fronte.
Essere soli a volte è una cosa bella, e che se vai d'accordo con te stessa (forse la cosa più difficile che devo affrontare ogni giorno)... Beh, è fatta. Sono già passi nella giusta direzione.
La Cambogia e il mio primo viaggio senza "supporto" mi hanno insegnato il coraggio. Ho fatto il passo più lungo della gamba, e non mi è ceduto il terreno sotto i piedi. Perché a volte viaggiare vuole dire questo. Buttarsi, sentirsi in bilico e lasciarsi andare anche se le paure solo il tuo compagno di strada.
Continuavo a ripetermi "se lo fanno gli altri ci riesci anche tu, se si muovono soli anche gli altri puoi farlo anche tu, se gli altri attraversano il confine senza perdersi o venire fregati ad ogni passo puoi farlo anche tu". E quindi camminavo fiera, passo deciso, determinata. E dentro di me me la facevo addosso.
Seduta su un taxi, di notte, per le strade di Bangkok, verso una lontana stazione dei bus che mi avrebbe poi condotta al confine. Sorridevo. Controllavo "portafoglio-passaporto-telefono" spasmodicamente. E poi, sorridevo.
La Colombia mi ha insegnato a non avere pregiudizi e a partire senza troppe barriere mentali.
Perché si sa, della Colombia pensiamo tutti lo stesso: paese pericoloso, tutto guerriglieri e cocaina. E invece ho trovato un paese accogliente, gentile. La generosità colombiana mi ha messo quasi in imbarazzo, il senso di tranquillità nei piccoli centri mi ha fatto venire voglia di scoprire ancora di più il resto del paese.
Non sto dicendo che la Colombia è un paese tranquillo come il Giappone, ma sto dicendo che se parti con i pregiudizi ti perdi buona parte del viaggio.
Mentre ero a Cartagena, nella parte iniziale del viaggio, abbiamo fatto un giro all'Università: un edificio antico, un bel cortile interno. Un ragazzo mi si avvicina e mi chiede alcune cose sulla macchina fotografica che avevo al collo perché ha visto che non era né una reflex né una compatta. Era un tipo cicciottello che mi ha salutato appena è arrivato un amico e mi ha ringraziato. Io mi sono sentita stupida. Appena si era seduto lì accanto ho avuto una gran strizza che le sue intenzioni fossero ben diverse e che da un momento all'altro mi sarei trovata in uno di quei racconti da viaggio a cui la gente risponde sempre "meno male non è finita in tragedia".
Era solo curioso. E io ero solo terrorizzata.
E quindi? Quindi ho preso sempre tutte le precauzioni di sicurezza (perché su quello non si scherza) ma sono stata più disponibile al dialogo, alla loro curiosità.
I colombiani hanno una brutta fama, ma non più brutta di quella che abbiamo noi italiani all'estero.
La gente dell'Italia vede solo la torre di Pisa e la mafia, che ormai è ovunque. Della Colombia sappiamo solo che ci sono città coloniali e narcotrafficanti. Non sono solo pregiudizi questi?
E poi lei, la Birmania. E' il mio pensiero fisso da un po' di giorni a questa parte. Forse perché ho ricominciato a leggere Aung San Suu Ky, forse perché sono stata troppo poco tempo.
Ho sognato il viaggio in Birmania perché sapevo che mi avrebbe dato tanto, ed è stato un regalo così bello che ancora oggi non posso crederci.
In Birmania ho imparato cosa sono davvero il rispetto e l'accettazione, e cosa non lo sono.
Per tanto tempo l'ho desiderata ma ho preferito non andare perché Aung San Suu Ky chiedeva di non fare turismo, non andare ad alimentare quel sistema governato per mano armata.
Ho imparato cos'è il rispetto che si mischia davvero alla presa di coscienza perché in Asia i confini sono sempre labili e quindi impari alla svelta a capire che... Non puoi capire.
Vedi la gente che vive in baracche accanto a templi stupendi che spesso sono nuovi o in costruzione ti sembra assurdo. Mega hotel accanto a villaggi che ancora non solo non hanno l'acqua corrente, ma non ci vanno nemmeno vicino.
E in un posto impenetrabile come la Birmania capisci quando Terzani si incazzava perché non riusciva ad entrare davvero nel mondo giapponese: è una testa diversa, la loro. E ti incavoli, ti arrabbi, ti chiedi come cavolo è possibile, pensi cosa ci sia da fare, perché i monaci vanno in giro con il tablet e la gente senza scarpe.
In posti come la Birmania (non serve però andare in paesi in difficoltà, tante volte bastano realtà difficili come quella dei Nativi d'America, per esempio), prendi forti schiaffoni che ti portano fuori dalla tua confort zone. Sempre se hai voglia, sempre se sei pronto. E cosìImpari che prima di farti un viaggio devi farti una cultura sul posto in cui vai, perché se vai a caso, se vai in costume da bagno in un tempio magari non ti dicono niente... Ma forse non hai davvero capito un tubo.
Io sono una di quelle che "si accende", ma ho imparato anche a stare buona e a ragionare sulle cose. Forse grazie anche ad Andrea Bicini che è il mio spacciatore di cultura asiatica, che molteplici volte mi ha fatto riflettere, più di quanto la mia testa riesca a fare da sola.
Le cose spesso non sono come sembrano.
Anche se questa frase vuol dire tutto e non vuol dire nulla.
E' una cosa difficile quella del rispetto, e ci vorrebbero post dedicato. E la Birmania mi ha forzatamente insegnato a rallentare, meditare, provare a capire, non andare in escandescenza.
La parte importante è riuscire a portare a casa quello che hai imparato mentre eri dall'altra parte del mondo, e spesso è un lontano miraggio. Per questo di aggrappi col cuore ai viaggi che ti cambiano davvero, quelli che ti impongono un passo che poi diventa il tuo.
Se avessi le due variabili magiche (tempo e soldi) prenderei un biglietto aereo con queste tre destinazioni, un dopo l'altra. E' un momento in cui avrei davvero bisogno di mettermi lo zaino sulle spalle, sentire il rumore delle scarpe che scricchiolano tra la polvere di strade non battute, mettere le magliette bucate perché in viaggio mi fanno sentire meglio, infilare in un angolo il mio maglione portafortuna. Voglio stringere la mia mano preferita e buttarmi in un nuovo sogno.
Però poi penso che va bene così: metto il guinzaglio a Pisolo e andiamo a fare una passeggiata.
I viaggiatori sono viaggiatori anche a casa.
I viaggiatori sanno imparare la lezione su ogni strada.