No, non sto per pubblicarvi la famosa canzone di Gloria Gaynor.
In realtà con questo post torno su argomenti già trattati sul vecchio blog, ma che su Plutonia ho sfiorato soltanto, dandoli forse (ed erroneamente) per scontati.
Lo spunto per ritornare a bomba su queste tematiche me lo dà una persona che conosco: buona formazione professionale/commerciale, un posto di lavoro discreto, moglie, figlio sedicenne. Parlando del più e del meno, ma soprattutto ascoltando le conversazioni d’ufficio (perché è di questo contesto che sto parlando), è saltato fuori che questo tale, lo chiameremo Gino, per convenienza, ha una sua particolare, rigida visione delle vita. Che purtroppo da queste parti è comune a molti.
Il figlio di Gino (chiamiamolo Andrea) vorrebbe seguire un corso di fotografia. Ossia, da quel che ho capito, desiderebbe diventare un “artista” della macchina fotografica. Sedici anni è l’età in cui si pensa ancora di poter governare il timone del destino e in fondo è giusto così. Chi siamo noi per ammazzare certe ambizioni nella culla?
Solo che Gino non è d’accordo.
Da buon padre di famiglia – così come Gino si definisce – il vecchio desiderebbe indirizzare il figlio su ben altre attività. Una laurea in giurisprudenza o economia, tanto per andare sul sicuro. E, se proprio Andrea deve dedicarsi a qualcosa di diverso dalle ragazze e dalle uscite con gli amici, perché non giocare a pallone “come fanno tutti quelli della sua età“?
Qualcosa di più virile, di più comune. Con cui potersi vantare coi colleghi e coi papà degli amici.
Ora, questo divieto – non tanto dispotico quanto severo – pare abbia generato tensioni in famiglia.
Andrea di giocare a pallone non ne ha alcuna intenzione, se non alla Playstation. Il suo interesse è per la fotografia e, come è giusto che sia, vuole avere la sua chance per imparare qualcosa, per dar sfogo alla sua creatività. Potrebbe farlo comunque, perché in fondo un padre che se ne sta nove ore in ufficio per cinque giorni alla settimana non può davvero condizionarlo a fare o non fare qualcosa.
Tuttavia va da sé che a sedici anni, se non sei è un cerebroleso completo o un ribelle totale, è difficile andare contro la volontà di un genitore autoritario e sicuro (troppo sicuro) riguardo al futuro del proprio figlio. Quindi lo scenario più probabile è che Andrea non verrà iscritto ad alcun corso di fotografia. Al limite potrà continuare a scattare con la sua macchinetta digitale e poco più. Per contro non parteciperà nemmeno al campus estivo di scuola calcio, come vorrebbe Gino, ma in fondo si tratterebbe comunque di una vittoria paterna quasi totale.
Ora, a me questa storia mette tristezza. Perché queste cose le ho vissute anch’io e non sono state belle.
Persone che sanno a prescindere da tutto e da tutti qual è il bene per noi: chi non ne ha mai incontrate? La frase “piuttosto che perdere tempo a scrivere impara ad aggiustare un motore!” era un refrain piuttosto gettonato, dalle mie parti. Diciamo che c’erano tutti i tipici pregiudizi secondo cui certe attività rappresentano il tempo ben speso e altre invece non servono a un’emerita mazza.
I fattori che portano a tali ragionamenti sono molteplici: ignoranza, scarsa cultura, una visione distorta e arcaica della realtà (l’uomo deve saper fare i lavori pesanti, la donna deve occuparsi della casa). Tuttavia, in fondo, sono più incline a scusare chi sostiene certe tesi assurde proprio per cause geo-sociali, che non chi lo fa per grettezza. Vale a dire: posso capire perché il vecchio contadino ritiene stupido che un ragazzo perda tempo a scrivere, mentre capisco molto meno uno come Gino, che ha studiato, è laureato, eppure ragiona ancora come l’uomo di Neanderthal da cui discende.