Il PSG perde 3-2 in casa del Bordeaux e mentre le squadre si ritirano negli spogliatoi Ibrahimović inveisce contro l’arbitro e la Francia, dove scoppia il caos. Ora il campione svedese rischia come minimo tre turni di squalifica.
Il caso: le parole di Ibrahimović e le reazioni dei politici.
Perdere ci sta. Anche se a farlo è il Paris Saint-Germain, con un gol all’ultimo minuto, in casa del Bordeaux. Ciò che fa montare la rabbia in capo a Ibrahimović sono, più di tutto, le scelte discutibili dell’arbitro Jaffredo che vanificano la doppietta dell’attaccante svedese. A gara terminata, nel tunnel che conduce agli spogliatoi le telecamere di Canal Plus inchiodano Ibrahimović mentre si sfoga pesantemente in lingua inglese. Le sue parole hanno fatto il giro del mondo e a noi non resta che riportarle pedissequamente: “Non ho mai visto un arbitro così scarso in questo Paese di m… . Questo Paese non merita il PSG”. Purtroppo per Ibra, la Patrie è cosa cara ai francesi e tali affermazioni non sono passate ingiudicate nelle ore seguenti. Anzi, gran parte del panorama politico del Paese, già in fermento per la campagna elettorale, si è lanciato in dichiarazioni al veleno. Il Front National ha intimato lo svedese di abbandonare la Francia, attraverso il suo portavoce principale, Marine Le Pen, che non ha perso l’occasione per rincarare la dose: ” Quelli che pensano che la Francia sia un paese di m… possono andarsene”. C’è chi invece – la minoranza – si schiera dalla parte di Ibrahimović, come Gilles Dumas, specialista di marketing sportivo citato dal Parisien, che ricorda come Ibrahimović sia “apprezzato per il suo stile da bad boy e quindi non deve cambiare di una virgola”. Insomma, in Francia si è scatenato il dibattito, mentre si presume che non basteranno le scuse dello svedese per evitare la probabile sanzione dalle tre alle quattro giornate di squalifica.
Il retròscena di Zlatan Ibrahimović.
Robert Louis Stevenson non aveva di certo pensato ad Ibrahimović mentre componeva uno dei più grandi classici della letteratura mondiale : “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, la storia in breve di Henry Jekyll, uno scienziato che dopo numerosi studi sulla psiche ottiene una pozione straordinaria in grado di “conferire esistenza propria e distinta alle inclinazioni nascoste ma presenti nell’animo” ma che, una volta sperimentata su di sé, fa nascere in Jekyll una seconda identità, quella attratta al male, che soppianta la propria identità anche sul piano fisico. Una cosa però è certa. Oggigiorno, con le sue azioni e con le sue parole, Ibrahimović ci fa spesso pensare ad un campione dalla doppia personalità. Il suo lato negativo, a differenza del protagonista di Stevenson, non è nascosto ( Hyde letto “to hide” in inglese, cioè nascondere) ma, volendo, il campione svedese ci gioca sopra, interpretando spesso la parte del duro. Sono infiniti gli aneddoti che ci possono venire in mente. Ibrahimović inizia fin da piccolo, quando nel ghetto di Rosengård assieme ad altri figli di immigrati ruba le biciclette per recarsi all’allenamento. Poi il successo con la maglia dell’Ajax e la consacrazione nel calcio che conta, aiutato dal suo procuratore Mino Raiola, o “il ciccione” – così definito dallo stesso Ibra -. Arrivato in Italia, voluto alla Juventus da Moggi, Ibrahimović dispensa magie e fa incetta di coppe. Prima con la Vecchia Signora, poi nel post Calciopoli con Inter e Milan. Non mancano però le liti: in nerazzurro ha pessimi rapporti con Mancini – alias il “fighetto” – , con Chiellini è un continuo duello e potremmo andare avanti per ore. Il culmine della “cattiveria” arriva con il trasferimento nel 2009 al Barcellona dell’era Guardiola. Già dall’inizio il rapporto tra i due non è buono, poi l’allenatore gli dice che nel Barcellona bisogna “rimanere con i piedi per terra”, che il club non vuole che i giocatori guidino Porsche o Ferrari per andare agli allenamenti, che devono tenere un profilo più basso. Zlatan accetta, ma con un certo fastidio: perché deve essere il club a decidere quale macchina guidare? Neanche nello spogliatoio le cose vanno meglio: Messi, Xavi, Iniesta, sembrano “degli studenti a scuola che stavano a ubbidire a tutto senza mai protestare”. Proprio qui ci fermiamo nell’elenco delle azioni da Bad Boy di Ibra, indirizzandovi per un ulteriore approfondimento alla sua celeberrima autobiografia Io, Ibra (titolo originale in lingua svedese: Jag är Zlatan). Vogliamo ora sottolineare la seconda personalità, quella che pochi vedono e voglio far vedere, quella buona. Lo facciamo con due esempi: uno del passato uno del presente. Il primo risale all’epoca dell’approdo all’Inter, squadra che era divisa in clan. “Là in un angolo stavano seduti i brasiliani; gli argentini stavano in un altro e tutti gli altri in un terzo”. Sarà perché cresciuto in un quartiere ed un paese multietnico, sarà perché senza coesione non si sarebbe vinto niente, fatto sta che dal giorno dopo Ibrahimović cercò in tutti i modi di rompere queste barriere. Infine, l’esempio più recente, consiste nei cinquanta nomi di persone che soffrono la fame che Zlatan si è tatuato sulla pelle, svelati al mondo dopo il gol contro il Caen in Ligue 1. Chiudiamo proprio con la dichiarazione di Ibrahimović: “Ogni volta che sentirete il mio nome, penserete al loro. Non c’è disastro più grave della fame nel mondo, si parla di 805 milioni di persone. Se avessi potuto mettere tutti i loro nomi, lo avrei già fatto. Ma io non sono così grande. Grande, ma non così grande”. In queste tre righe, infatti, si nasconde la lotta interiore del fenomeno svedese, tra buono e cattivo, saggezza e ira, Rosengård e Parigi, amore e odio.
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