Devo ancora fare un’enorme revisione, ma ho pensato di iniziare comunque a postare la prima stesura del mio nuovo romanzetto per sentire che ne pensate e vincere il panico da primo contatto col mondo esterno ehehhehehe
Il prologo è tratto quasi completamente da un raccontino che avevo scritto per Effemme.
Beh, bando alle ciance! Ecco il prologo
***
Mia dolcissima musa
musa sublime,mostruosa,
accompagnami nel tragitto
che hai allestito per me.
Che mi siano da guida
i tuoi occhi ciechi,
che sia per me una maschera
il tuo dolore eterno.
Ti saluto, amara me,
con un sorriso tirato
e la gioia nel cuore che
palpita, palpita, palpita.
***
Ibrido
E.E.
Prologo – Lara
Il rito
È vero senza menzogna, certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso:
per compiere il miracolo della Cosa Unica.
[Dalla Tavola di smeraldo di Ermete Trismegisto]
Sembrava che danzasse. I singhiozzi la scuotevano in movenze disarticolate, al ritmo assordante del suo cuore. Le mani artigliavano i capelli corvini mentre si avvicinava allo specchio imponente e si ritraeva, come le onde s’infrangono sulla spiaggia senza poter mai toccare terra.
Trattenne il respiro e le sembrò di trovarsi sott’acqua. Rimase immobile per un attimo, poi si voltò lentamente a cercare la sua immagine riflessa, che non poteva vederla.
“Siamo belle” disse. “Presto i nostri pensieri si fonderanno in uno e saremo insieme.”
Il suo riflesso tese il braccio a cercarla. Allora la fata mosca, ancorata con i piccoli artigli alla spalla di Lara, allungò a sua volta la mano verso lo specchio e con una vocina biascicante intonò un lamento d’amore. Il canto risuonava nel salone producendo un’eco stridente. Raschiava sui marmi del pavimento e sul legno centenario delle librerie, spegnendosi negli angoli più bui, dove si nascondevano i topi. Fuori delle alte finestre pioveva un’acquerugiola lieve e tutto era quieto.
Lara si strappò la fata dalla spalla e la depose rudemente sul pavimento.
“Ama solo te, questa creatura ingrata” disse.
Il suo riflesso rimaneva immobile, ma sembrava offeso. Lara gli volse le spalle, sperando che lui facesse altrettanto.
“Non volevo essere cattiva con te, mi dispiace” disse. “Puoi perdonarmi?”
Quando si voltò il suo doppio le sorrideva e dalla bocca schiusa colava sangue. Lara si portò meccanicamente la mano al volto, mossa come sempre da un istinto irrazionale, ma la ritrasse pulita.
“Tutta la vita non è stata altro che il desiderio di te e io sono solo il tuo negativo impotente. Per questo Dolore ama solo te, mio dolcissimo mostro” disse. Si sentiva piccola e inerme.
La fata era lunga quanto l’indice della mano di un bambino e nera come la pece. Le ali erano sottili e rigide come quelle di una mosca e in quel momento erano raccolte sulla schiena mentre avanzava piano verso lo specchio, adorante.
Il riflesso di Lara l’accolse schiudendo la bocca in una risata e un fiotto di sangue si riversò sul pavimento. Gli occhi ciechi si muovevano frenetici.
“Sì, piccolo Dolore, torna da me” disse ridendo. Si leccò le labbra: “Mi sei mancato tanto.”
Quando la fata toccò la superficie fredda del vetro il suo esoscheletro divenne lucido e le ali presero a muoversi in una danza frenetica.
“Smettetela adesso” disse Lara, spazientita. “Presto saremo insieme e potrete unirvi di nuovo.”
“Sì, sì” frinì la fata. Lara la raccolse per deporla nell’incavo dei seni.
Il suo doppio le sorrideva, avvolto in una nube di fate mosche che gli sciamavano intorno.
Lara fece per voltarsi e uscire, ma tornò a fissare il suo riflesso nello specchio, per l’ultima volta. Le sarebbero mancate le lunghe conversazioni che negli anni erano diventate un’abitudine, avrebbe provato nostalgia del brivido che sentiva ogni volta che il suo doppio la fissava con gli occhi bianchi come biglie di vetro. Ma non era il momento per lasciarsi andare all’emozione, così soffiò un bacio silenzioso che accompagnò per un tratto con lo sguardo, poi uscì dal grande salone. Chiudendo piano la porta si fermò a guardare il tatuaggio all’interno del polso. Ne aveva uno gemello sull’altro braccio, due sulle spalle e sulla pianta dei piedi, uno sulla nuca. Si trattava di un intricato sistema di simboli racchiusi da un Ouroboros, il serpente che si morde la coda, simbolo della ciclicità del tutto.
“Per compiere il miracolo della Cosa Unica” sussurrò tra le labbra.
Ricordava il rituale, la Congrega disposta in circolo e lo zio nelle vesti sacerdotali. Ricordava i canti e le rune, il turibolo e l’Athamè, gli aghi che le dipingevano la pelle rendendola un pentacolo vivente. La luna la guardava sorridendo, quasi che anche lei aspettasse con impazienza di ricongiungersi alla sua gemella.
Accarezzava distrattamente Dolore mentre avanzava a grandi passi verso la Torre Ovest. Era tempo che suo zio si preparasse.
Quando irruppe nello studio lo trovò semisepolto dai suoi tomi, come sempre.
“Buonasera, mia piccola Lara, sei pronta?” le chiese, senza staccare gli occhi da una pagina fitta di simboli alchemici.
“Meno male, credevo che te ne fossi dimenticato, cosa ci fai ancora qui?” chiese lei.
“Ricontrollo i calcoli. Con la vecchiaia si diventa paranoici, sai.”
“Io presto sarò pronta, la Congrega è pronta, il mio doppio è pronto. Manchi solo tu.”
“Oh, ecco, bene allora, andiamo” disse lui scostando le carte e tirando indietro la sedia.
Lara indossava un semplice saio nero stretto in vita da una fascia rossa, niente a che vedere con le tuniche elaborate che suo zio avrebbe indossato nella vestizione cerimoniale.
“Ti lascio ai tuoi preparativi, zio, io devo incontrare Marta. Ma sii puntuale, mi raccomando.”
Il vecchio la rassicurò in ogni modo, strappandole un sorriso.
Sorrideva ancora, pensando allo zio che avrebbe sbuffato dando filo da torcere alle accolite, mentre scendeva al piano terreno in tempo per vedere i domestici impegnati a trasportare il grande specchio dal salone alla radura nel bosco. Le streghe aspettavano appena sotto la scalinata d’ingresso reggendo ognuna un sacrificio, chi un agnello, chi un coniglio dal pelo candido. Nell’aria fredda di Samhain serpeggiava una sensazione d’attesa e gli animali erano irrequieti.
Sobbalzò quando sentì un tocco lieve sulla spalla, ma prima di allarmarsi riconobbe Marta, la capo Congrega e sua buona amica, pronta a guidarla nell’ultima meditazione.
“Sei pronta, piccola Lara?”
La ragazza sorrise, pensando a come una lunga convivenza potesse portare persone molto diverse tra loro a esprimersi quasi nello stesso modo.
“Non sono piccola” recitò come un riflesso condizionato.
Marta le sorrise, incoraggiante:”No, è vero, oggi sei tutt’altro che piccola. Sei pronta, lo sento, eppure temo per te. “
Lara prese fiato per replicare ma la donna la precedette: “So cosa vuoi dire, non ho intenzione di distoglierti dal tuo compito, Ecate mi protegga. Però voglio che la tua mente e il tuo cuore siano aperti, e le orecchie tese ad ascoltare i consigli dei numi. Se ti dicessero di fermarti lo faresti, vero tesoro?”
Non sbuffò. Negli anni di studio aveva sviluppato un grande autocontrollo, inoltre le preoccupazioni di Marta le facevano tenerezza. Eppure le trovava completamente infondate. Non riusciva a capire come mai quella donna tanto saggia non accettasse l’assoluta perfezione del piano che suo zio ordiva da decenni.
Proprio quella notte si faceva venire dei dubbi? La notte di Samhain, in cui la barriera tra i mondi era più sottile.
“Se un Dio scendesse in terra e mi bisbigliasse all’orecchio di desistere forse lo farei, sì. Ma non accadrà” rispose, con più cocciutaggine di quanto avrebbe voluto.
“D’accordo allora, vieni con me” fece la strega cingendole le spalle col braccio esile, forse sperando di proteggerla.
Marta era piccola come un uccellino, tanto magra che le si vedevano le ossa e talvolta il cranio emergeva sotto la pelle tirata del viso. Eppure aveva una certa grazia, nei capelli d’argento e nei movimenti fluidi. Gli occhi erano chiari e sempre svegli, come intenti a cercare qualcosa.
Vedendola al mercato poteva sembrare una vecchia pazza, rifletteva Lara, ma al centro di un Circolo rituale la sua essenza risplendeva forte di una volontà indomabile.
Questo e molto altro pensava Lara, mentre percorreva i corridoi della grande villa fino a raggiungere un minuscolo chiostro circondato da portici e rampicanti. Al centro sgorgava una fontanella che riversava l’acqua in una polla, tanto calma da riflettere perfettamente il cielo sopra di essa.
“È quasi il tramonto” sussurrò Lara.
“Non avere fretta” la rimbrottò la strega. “Preparati.”
La ragazza allora si avvicinò all’acqua, percorse la piccola penisola che consentiva di raggiungere il centro della polla e sedette nella posizione del Loto, la tunica che si tendeva sulle ginocchia.
“No, non così, stasera voglio che t’inginocchi, così da poter scrutare l’acqua.”
Lara si voltò a fissarla, chiedendosi se fosse un trucco per ritardare il rito da officiare a mezzanotte, ma l’espressione determinata della donna la dissuase dal fare domande. Fece come la sua maestra comandava, raccogliendo i piedi sotto le gambe e chinandosi sull’acqua.
“Cosa vedi?” chiese Marta. Dal tono della voce Lara capì che la lezione era iniziata.
“Vedo il Mondo Specchio.”
“Bene, ora medita su ciò che vedi.”
La strega iniziò a bisbigliare una cantilena vecchia di secoli, ma Lara non riusciva a rilassarsi. La mente correva al rito, ai preparativi, alle cose fatte e a quelle da fare, alla Congrega che aspettava, allo zio che si preparava, al suo doppio. Non trovava, per quanto si sforzasse, il senso di quell’ultima meditazione. Non riusciva a concentrarsi.
“Lara” disse la strega interrompendo il corso frenetico dei suoi pensieri. “Non ti permetterò di officiare il rituale se non avrai prima eseguito questa meditazione, perciò rassegnati. C’è una verità che devi comprendere e accettare prima di proseguire, altrimenti perderai la mente, ne sono certa.”
“Dunque” riprese, “cosa vedi?”
La ragazza chiuse gli occhi, rilassò i muscoli delle spalle, incrociò i piedi sotto le gambe e tornò a scrutare l’acqua.
“Vedo il Mondo Specchio” disse. “Vedo un villaggio e campi coltivati, filari di alberi da frutto, bambini che giocano coi cani.”
Allora capì, gli occhi le si riempirono di lacrime e la vista si sfocò. Rimase immobile, il corpo congelato in posizione prona, i capelli corvini che sfioravano l’acqua infrangendone le visioni.
Quando si alzò era buio fitto e faceva freddo.
“Dunque? Sei ancora convinta che sia la cosa giusta?” chiese Marta, fissando per un attimo gli occhi nei suoi.
Lara poteva sentire che il proprio volto aveva assunto una piega dura, che non se ne sarebbe più andata.
“Sono pronta” disse solo. “Siamo in tempo?”
“Sì” rispose la strega guardando la luna.
“Allora andiamo.”
Era da molto tempo che suo zio Alfonso e la Congrega preparavano quel rito. Avevano iniziato più di dieci anni prima, quando avevano saputo che era venuta al mondo una bambina capace di vedere il Mondo Specchio attraverso qualunque superficie riflettente. Così tutta la loro esistenza aveva preso a ruotare attorno a Lara, alla necessità di raggiungerla e istruirla. Erano passati dieci anni da quando si era trasferita nella villa di collina dello zio e in tutto quel tempo non aveva fatto altro che studiare, per recuperare gli anni di scuola perduti durante l’infanzia ma soprattutto per prepararsi a officiare il rito. Aveva studiato innumerevoli libri di alchimia e magia cerimoniale, aveva meditato e pregato per gran parte delle sue notti insonni, annullato se stessa per accogliere un’altra essenza nella sua. Tutto questo aveva fatto per poter officiare il rituale di quella notte.
Non ci furono cenni di saluto o istruzioni dell’ultimo momento. Tutto si svolse nel silenzio più assoluto.
Marta e Lara scesero la scalinata lentamente, accolte dalle streghe e dal vecchio alchimista imponente nelle vesti sacerdotali. Accanto a lui stava Neriano, le mani allacciate dietro la schiena che gli conferivano un aspetto formale. Era il precettore di Lara, un giovane filosofo orientalista che si era occupato della sua istruzione. Le sorrideva, incoraggiante come sempre, e Lara si chiedeva cosa pensasse di lei, ora che i rapporti di forza erano invertiti.
Poi la Congrega iniziò a muoversi verso il bosco e la mente di Lara si svuotò completamente. Percepiva il terreno freddo e umido, l’aria carica di pioggia, l’odore resinoso dei pini e il nervosismo delle accolite, ma nulla di tutto questo la riguardava.
Porta la carne al rito e la mente al fine, si ripeteva, avanzando a occhi chiusi e piedi scalzi.
Quando la processione si fermò aprì gli occhi. Si trovavano nella piccola radura che si apriva al centro del bosco davanti alla casa. Una nebbia chiara usciva dal folto degli alberi, resa traslucida dalla luce della luna. La stessa luce si rifletteva sul grande specchio, che saldamente ancorato al suolo si ergeva imponente nello spiazzo erboso.
Dopo un attimo di muta contemplazione le novizie tracciarono un cerchio di sale attorno allo specchio e si allontanarono.
Lara avanzò lentamente, sicura, e vi s’inginocchio davanti. Accanto a lei brillava gelido il contenitore d’argento che presto sarebbe stato rosso di sangue. Il suo riflesso le sorrideva, impaziente, dietro allo sciame di fate mosche che la fissavano incuriosite.
Lo zio prese a camminare lentamente in senso orario purificando il circolo, mentre le streghe guidate da Marta si disponevano all’interno dello spazio consacrato.
“Fuoco che vado creando, ti impongo questo comando, che nessun fantasma resti in tua presenza.”
La Congrega iniziò a cantilenare in risposta ai versi del Sacerdote.
“Per l’acqua e per il fuoco io ti evoco, che né ostilità né pensiero avverso restino in questa coppa” disse gettando acqua e sale nel bacile. Lara si alzò in piedi e afferrò l’Athamè, il coltello rituale dal manico nero. Con acqua e incenso purificò la lama, poi tracciò nell’aria i simboli alchemici del sale, dell’acqua, del fuoco e dell’aria.
“Tu sia benedetto, coltello dell’Arte” bisbigliò, baciando la lama affilata.
Quando il circolo fu consacrato Marta le consegnò il suo sacrificio, un coniglio bianco dalle orecchie lunghe.
Senza esitare Lara lo sollevò sopra il bacile d’argento e gli tagliò la gola. Non appena il sangue iniziò a sgorgare le fate mosche si agitarono, fameliche, brulicando ai margini dello specchio.
Lara strinse a sé il coniglio morto, lo baciò e lo consegnò alla seconda strega in cambio del sacrificio successivo. Ripeté sette volte il rituale prima di alzarsi e pronunciare, finalmente, la supplica.
“Io ti evoco e imploro, spirito dei due mondi, per i poteri che hanno generato i cieli, le terre e i mari; per le virtù degli astri che ruotano all’interno delle sfere celesti” si fermò e alzò lo sguardo a incontrare la luna. “Per le virtù delle piante e delle pietre, dei quattro elementi e dei quattro venti; qui, in questo luogo di sacrificio e di sangue, io ti evoco e imploro. Apri i portali dei mondi poiché è vero senza menzogna, certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso: per compiere il miracolo della Cosa Unica che è l’Ibrido.”
Sentiva i tatuaggi farsi di fuoco sotto la pelle, mentre tutto il suo essere era concentrato nel realizzare i gesti che la sua mente aveva pensato migliaia di volte. Sollevò il bacile colmo di sangue ancora caldo reggendolo in alto, e le maniche della veste scivolarono scoprendo le braccia pallide bagnate di rosso cupo. Mormorò una preghiera e rovesciò il sangue sullo specchio, che parve assorbirlo. Sembrava un lago mentre rifletteva una luna di sangue.
La Congrega iniziò a salmodiare, dapprincipio con voce flebile ma più stentorea ogni momento.
“Ibrido” sussurravano.
“Ibrido” ripetevano con più forza, dando alla voce il potere della forma sulla materia.
Lara gridava con loro, senza staccare gli occhi dallo specchio. In principio era quieto, poi sembrò ribollire. Dal sangue emersero le fate mosche che sbattevano freneticamente le ali fradice. Cozzavano l’una contro l’altra, cercando di uscire e allo stesso tempo di bere il più possibile per saziarsi.
Il coro aveva preso un tono concitato che divenne isterico quando la superficie di sangue si spezzò ed emerse il mostro. Il doppio di Lara squarciò il velo dei mondi, grondante. Gli occhi vitrei erano spalancati e vagavano sulla radura.
Lara era scossa dai brividi, il suo corpo stremato dalla tremenda fatica del rito. Attorno a lei avvertiva solo un vorticare denso d’energia, non riusciva più a distinguere le forme dei corpi. Pensò di svenire e sentì che le gambe le venivano meno, ma non cadde. Rapido come un sogno il suo riflesso la prese tra le braccia, sostenendola.
Niente sembrava avere peso. Tutto era leggero e friabile. Un nugolo di fate l’avvolse in una nube nera e Dolore si unì a loro in una danza forsennata.
Prima di perdere conoscenza udì lo zio che proclamava: “È l’Ibrido, è stato creato. Aprite il circolo, mie dilette, e muovete i primi passi nel nostro nuovo mondo.”
Si svegliò nella sua stanza, i primi raggi di un sole pallido che le sfioravano il volto. Si mise a sedere sentendo i muscoli indolenziti e un dolore lancinante alla testa, ma non le importava. L’Ibrido era stato creato, solo questo contava. Nella nube inarticolata dei suoi pensieri avvertì una presenza estranea ma allo stesso tempo familiare. Senza indugiare oltre si alzò in piedi e barcollò fino alla toletta. Non appena si mosse, notò che tutto intorno a lei si svegliavano le fate. Alcune si alzarono in volo e le si avvicinarono, altre battevano fiaccamente le ali, ancora stordite dal banchetto di sangue della notte passata. Sedette sullo sgabello e guardò la sua immagine riflessa nello specchio. Per la prima volta da quando aveva memoria, ciò che vedeva corrispondeva alla realtà. Era molto pallida e i capelli erano arruffati, ma non era cambiata molto rispetto al giorno prima. I suoi lineamenti erano rimasti gli stessi, solo gli occhi erano diversi. Le iridi quasi nere a cui era abituata avevano lasciato il posto a un candore latteo e non riusciva a fermare il moto frenetico delle pupille.
“Così siamo insieme, ora” sussurrò.
Sapeva che sarebbe successo, aveva desiderato quell’unione con tutta se stessa ma constatarla sul suo stesso viso la scosse.
“Hai paura?” chiese una voce dolce nella sua mente.
“No” rispose Lara. “Sono felice.”
“Ci fa male la testa, dobbiamo prenderci cura del nostro corpo.”
“Lo so.”
“Assumi un farmaco, poi dovremo mangiare.”
“Sì.”
In un attimo era di nuovo in piedi, sorretta da una volontà più forte della sua. Iniziò a frugare nella scatola delle medicine alla ricerca di ibuprofene ma si bloccò di colpo.
“Aspetta” disse. “Il Mondo Specchio…”
Senza finire la frase corse fuori dalla stanza con indosso solo la camicia da notte candida e sgattaiolò per i lunghi corridoi, le fate che la seguivano pigramente. Scese le scale ed entrò nel salone deserto.
Lo specchio era lì, incrostato di sangue ormai secco che si era ritirato e lasciava intravedere ciò che stava dall’altra parte. Lara rimase dritta davanti ad esso, nel salone immerso nella penombra, guardando a occhi sgranati le praterie sconfinate che sprofondavano nel baratro del nulla. Quand’era bambina quelle visioni di campi e distese erbose l’avevano spaventata. I paesaggi erano immensi, troppo grandi rispetto a ciò cui era abituata. Il verde era troppo cupo e le montagne troppo ripide. Da bambina era terrorizzata dalla sensazione di impotenza che quelle visioni le instillavano nel cuore. Ora, invece, provava pietà. Ora che sotto il suo sguardo incredulo le montagne nere crollavano su se stesse senza che alle sue orecchie giungesse alcun suono. Il Mondo Specchio si stava spegnendo in silenzio.
Passarono alcune ore e Lara non mosse un muscolo. Infine, con rapidità indolente, lo specchio si oscurò e tornò ad essere un’antica superficie riflettente, incrostata di sangue secco.
Lara restò dritta a fissare la propria immagine riflessa. Era una figura snella dai capelli corvini. Gli occhi erano del colore del ghiaccio e tutto intorno a lei sciamavano, adoranti, le fate mosche.
“Siamo insieme, ora” sussurrò, senza poter definire chi esattamente avesse parlato.
Gettò un’ultima occhiata allo specchio, il terrore di un tempo lontano quanto il mare, e gli voltò le spalle.
Le fate frinivano di gioia.
—