Non è più tempo di ripensare all’isola fantastica di Thomas Moore abitata da una società ideale, in quest’epoca caotica e drammatica dove le utopie inevitabilmente soccombono davanti a una realtà sempre più stretta che non lascia spazio ai sogni. Nonostante non valga la pena di posare lo sguardo su un mappamondo che non includa Utopia. Si escluderebbe l’unica terra cui l’uomo non ha mai smesso di approdare. Con la fine delle utopie l’inquietante mondo liquido moderno non può che precipitare negli abissi infernali, per parafrasare Bauman, dal momento che farne a meno vorrebbe dire precludere i sogni e quindi rinunciare a ciò rende più vivibile la vita. Infatti è tramite l’utopia che il mondo talvolta appare più tollerabile così come il dolore dell’esistere o l’angoscia della fine. La sua assenza ha provocato la perdita di una dimensione imprescindibile per l’umanità, che priva della capacità di attingere all’immaginario creativo con un conseguente impoverimento d’iniziativa progettuale che si ripercuote sull’intera società. Diventa quindi urgente l’esigenza di ripensare l’utopia - termine utilizzato per lungo tempo per definire l’impossibile e l’irreale -, perché rinunciare ad essa significa rinunciare a una parte dell‘esistenza. E quale ambito, se non quello delle arti visive si prospetta ideale all’immaginazione più sfrenata nonostante la sua condizione effimera, dal momento che, come sosterrebbe Magritte, i sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vi vogliono svegliare?Icarus’ Dream vuole essere uno sguardo diretto sui diversi aspetti dell’utopia in epoca contemporanea, sul bisogno - oggi più che mai - di mettere in atto un sovvertimento della realtà, un paradiso artificiale creato dall’uomo contro l’appiattimento imposto dalla società, poiché l’utopia riempie il vuoto fra un Paradiso perduto e una Terra promessa. Un vuoto che si configura come non-luogo, riferimento non a caso considerato che il termine non solo deriva da eutopia, ossia “buon posto”, ma anche da outopia che significa “nessun posto”. Il genere utopico sottintende un’utopia positiva (La Repubblica, La Città del sole), che propone mondi alternativi possibili per un futuro migliore, e un’utopia negativa o distopia (La fattoria degli animali, Blad Runner, Fahrenheit 451), che origina dalla consapevolezza di un destino tragico e inevitabile. Al primo gruppo appartiene la maggior parte delle opere in mostra: dal work in progress di Giulia Casula, un viaggio di esplorazione della memoria del passato per tradurre il presente, attraverso antiche immagini e oggetti che diventano reliquie; all’icona religiosa di Gianluca Vassallo, riproduzione seriale di un’utopia rassicurante dove trasferisce le inquietudini post-dogmatiche del presente; sino al presagio catastrofico dell’opera di Francesco Podda dove Icaro è prossimo alla morte e la speranza inevitabilmente morirà con lui. E se Elisabetta Falqui s’ispira all’agognata ora d’aria dei detenuti per esprimere l’utopia del tempo libero in una società frenetica e alienante, Paolo Carta insegue volutamente l’irraggiungibile poiché i trampoli sono il mezzo meno appropriato per spiccare il volo. Più drammatico lo sguardo di Franco Casu che s’interroga sulle conseguenze dell’abbandono che si riflettono sulla nostra esistenza quando i sogni vengono a mancare. Hanno una visione più positiva e propongono mondi alternativi ludici: Giusy Calia, con l’utopia di un’infanzia ritrovata, e Stefano Serusi, che prende in prestito il triplano del Barone Rosso per il modellino-giocattolo che precipita conficcandosi su un vaso con uno sguardo ironico che gioca sulle proporzioni. E mentre Monica Lugas provoca effetti stranianti con la foto-installazione al confine tra sogno e realtà, Elisa Desortes, armata di piume come Icaro e di un buon campo di partenza, volge definitivamente le spalle alla realtà. Così come Chiara Demelio, la cui opera scaturisce dall’indagine dei diversi aspetti di una società e di un territorio in continua evoluzione che omette punti di riferimento stabili per raggiungere ciò che sta altrove. In definitiva, dal momento che il nostro è il peggiore dei mondi possibili, l’utopia potrebbe essere l’unica via d’uscita da questo vortice devastante, se è vero che la parola utopia rappresenta nell’uso comune lo stadio ultimo dell’umana follia o dell’umana speranza. A voi la decisione finale.ICARUS DREAMgroup show a cura di Roberta Vanalidal 22 ottobre al 3 dicembre 2011Spazio Quimicaviale Diaz 104Magazine Arte
Non è più tempo di ripensare all’isola fantastica di Thomas Moore abitata da una società ideale, in quest’epoca caotica e drammatica dove le utopie inevitabilmente soccombono davanti a una realtà sempre più stretta che non lascia spazio ai sogni. Nonostante non valga la pena di posare lo sguardo su un mappamondo che non includa Utopia. Si escluderebbe l’unica terra cui l’uomo non ha mai smesso di approdare. Con la fine delle utopie l’inquietante mondo liquido moderno non può che precipitare negli abissi infernali, per parafrasare Bauman, dal momento che farne a meno vorrebbe dire precludere i sogni e quindi rinunciare a ciò rende più vivibile la vita. Infatti è tramite l’utopia che il mondo talvolta appare più tollerabile così come il dolore dell’esistere o l’angoscia della fine. La sua assenza ha provocato la perdita di una dimensione imprescindibile per l’umanità, che priva della capacità di attingere all’immaginario creativo con un conseguente impoverimento d’iniziativa progettuale che si ripercuote sull’intera società. Diventa quindi urgente l’esigenza di ripensare l’utopia - termine utilizzato per lungo tempo per definire l’impossibile e l’irreale -, perché rinunciare ad essa significa rinunciare a una parte dell‘esistenza. E quale ambito, se non quello delle arti visive si prospetta ideale all’immaginazione più sfrenata nonostante la sua condizione effimera, dal momento che, come sosterrebbe Magritte, i sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vi vogliono svegliare?Icarus’ Dream vuole essere uno sguardo diretto sui diversi aspetti dell’utopia in epoca contemporanea, sul bisogno - oggi più che mai - di mettere in atto un sovvertimento della realtà, un paradiso artificiale creato dall’uomo contro l’appiattimento imposto dalla società, poiché l’utopia riempie il vuoto fra un Paradiso perduto e una Terra promessa. Un vuoto che si configura come non-luogo, riferimento non a caso considerato che il termine non solo deriva da eutopia, ossia “buon posto”, ma anche da outopia che significa “nessun posto”. Il genere utopico sottintende un’utopia positiva (La Repubblica, La Città del sole), che propone mondi alternativi possibili per un futuro migliore, e un’utopia negativa o distopia (La fattoria degli animali, Blad Runner, Fahrenheit 451), che origina dalla consapevolezza di un destino tragico e inevitabile. Al primo gruppo appartiene la maggior parte delle opere in mostra: dal work in progress di Giulia Casula, un viaggio di esplorazione della memoria del passato per tradurre il presente, attraverso antiche immagini e oggetti che diventano reliquie; all’icona religiosa di Gianluca Vassallo, riproduzione seriale di un’utopia rassicurante dove trasferisce le inquietudini post-dogmatiche del presente; sino al presagio catastrofico dell’opera di Francesco Podda dove Icaro è prossimo alla morte e la speranza inevitabilmente morirà con lui. E se Elisabetta Falqui s’ispira all’agognata ora d’aria dei detenuti per esprimere l’utopia del tempo libero in una società frenetica e alienante, Paolo Carta insegue volutamente l’irraggiungibile poiché i trampoli sono il mezzo meno appropriato per spiccare il volo. Più drammatico lo sguardo di Franco Casu che s’interroga sulle conseguenze dell’abbandono che si riflettono sulla nostra esistenza quando i sogni vengono a mancare. Hanno una visione più positiva e propongono mondi alternativi ludici: Giusy Calia, con l’utopia di un’infanzia ritrovata, e Stefano Serusi, che prende in prestito il triplano del Barone Rosso per il modellino-giocattolo che precipita conficcandosi su un vaso con uno sguardo ironico che gioca sulle proporzioni. E mentre Monica Lugas provoca effetti stranianti con la foto-installazione al confine tra sogno e realtà, Elisa Desortes, armata di piume come Icaro e di un buon campo di partenza, volge definitivamente le spalle alla realtà. Così come Chiara Demelio, la cui opera scaturisce dall’indagine dei diversi aspetti di una società e di un territorio in continua evoluzione che omette punti di riferimento stabili per raggiungere ciò che sta altrove. In definitiva, dal momento che il nostro è il peggiore dei mondi possibili, l’utopia potrebbe essere l’unica via d’uscita da questo vortice devastante, se è vero che la parola utopia rappresenta nell’uso comune lo stadio ultimo dell’umana follia o dell’umana speranza. A voi la decisione finale.ICARUS DREAMgroup show a cura di Roberta Vanalidal 22 ottobre al 3 dicembre 2011Spazio Quimicaviale Diaz 104Possono interessarti anche questi articoli :
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