[Articolo pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 5/2012 Intellettuali e Potere]
Nel XIX secolo, il potere politico si appropria dell’indubbia forza comunicativa insita nella tecnica fotografica, non solo per trasmettere messaggi efficaci anche ai molti che continuavano a non saper leggere, ma anche come strumento di schedatura e di controllo. Si può far risalire al Secondo Impero francese di Napoleone III (1852-1870) il primo utilizzo sistematico di fotografie per documentare successi politici, mentre, al crollo della Comune di Parigi (1871), il Governo della Terza Repubblica usa immagini scattate dai giornalisti nei giorni delle barricate per identificare e arrestare i capi dell’insurrezione.
Il venticinquesimo Presidente degli Stati Uniti, William McKinley (1843-1901), è il primo a condurre le aggressive campagne elettorali del 1896 e del 1900 stampando migliaia di volantini illustrati e diventando un esempio per rivali e successori. Già pochi anni dopo, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i Paesi coinvolti sviluppano una massiccia propaganda iconografica: si va dai manifesti che invitano ad arruolarsi, o a sottoscrivere prestiti per finanziare il costo del conflitto, ad altri che fomentano l’odio verso il nemico, mentre, con le fotografie, i giornali avvicinano i lettori alla realtà del fronte. Il Governo degli Stati Uniti è favorevole all’entrata in guerra accanto alla Triplice Intesa, ma l’opinione pubblica si mostra contraria a un conflitto ritenuto solo “europeo”, per cui nel 1916 il presidente Thomas Woodrow Wilson istituisce una Commissione Governativa per la Propaganda, nota anche come Commissione Creel: nel giro di pochi mesi, l’uso sapiente di messaggi di vario tipo trasforma un popolo sostanzialmente indifferente in una massa di potenziali combattenti, pronti a salvare il mondo da un’incombente minaccia tedesca.
[Per continuare a leggere quest'articolo, clicca qui e vai a pagina 54]
Media: Scegli un punteggio12345 Nessun voto finora