Oggi una delle manifestazioni che sempre più sovente si incontra è quella di veder denunciato il fatto che l’attuale sistema economico-politico è riuscito a mettere le classi sociali in lotta fra di loro, ricavandone poi - visto che a mio parere l’affermazione è da ritenersi non solo vera ma frutto di un esercizio già sperimentato dai tempi dei primi grandi regni -, l’utile indiretto di trovarsi a confrontare con una popolazione divisa e pertanto meno difficile da condurre. Divide et impera non casualmente è motto che ben definisce la filosofia dell’allora potere romano per tenere a bada le popolazioni italiche. Esercizio dunque che si perde nella storia ed a cui appartiene, seppur con risultati drammatici quanto nettamente contrastanti, la rivolta iniziata l’11 gennaio 532 nell’allora Costantinopoli. A quel tempo già la fama di Costantinopoli aveva oscurato quella che non molto prima era stata di Roma, non solo perché era divenuta capitale del residuo impero, quanto per la naturale predisposizione della città bizantina ad essere non solo baluardo ma anche punto di incontro e di scambio, complici le caratteristiche morfologiche del territorio circostante ricco di protezioni, facili approdi e ripari, facilmente difendibile. Là, come obbedendo ad un disegno sovrannaturale, le culture, gli eserciti, le civiltà e le popolazioni, avevano deciso di scontrarsi e di convivere, di unirsi e di combattersi. La fama probabilmente all’inizio ne aveva superato lo splendore, ben lontano e diverso nelle architetture da quella che oggi conosciamo come Istanbul, anche se proprio in quegli anni fu iniziata la costruzione della basilica di Hagia Sophia (al tempo chiesa patriarcale, poi moschea ed oggi museo), ma il commercio, quello sì, già era sviluppatissimo e con esso, quell’intrecciarsi di lingue, abitudini e modi di vivere che la pax bizantina ancora riusciva non solo a controllare, ma, nel suo complesso, a far progredire.
Orbene, secondo una tradizione che derivava dai giochi circensi di epoca romana, a Costantinopoli v’era non un circo ma un vero e proprio Ippodromo, al centro del quale vi era un obelisco (di Teodosio) ed una colonna serpentina in bronzo di cui è possibile ancora oggi osservarne i resti. Inoltre, la zona destinata all’imperatore era ornata, tra l’altro, da quattro cavalli in bronzo che oggi decorano la Basilica di San Marco a Venezia, parte del bottino della storia futura.L’appuntamento immancabile era quello delle corse dei carri, attività intorno alla quale si sviluppavano non soltanto passioni sportive ma veri e propri interessi politici tanto che le due fazioni a quel tempo sopravvissute, quelle dei Verdi e degli Azzurri, rappresentavano a tutti gli effetti i due maggiori partiti politici della città, volendo in questa identificazione raccogliere le classi sociali della stessa. I Verdi rappresentavano quelle componenti sociali costituite da commercianti e borghesi, molto legate ad un precedente imperatore, Anastasio, ed alla sua corrente religiosa (giudicata eretica) monofisita, secondo la quale la natura umana e divina di Gesù non erano scindibili. Gli Azzurri invece, rappresentavano le classi più povere, per la maggior parte rurali o a tale estrazione legate, classi dalle quali proveniva addirittura Teodora, la quale, grazie all’abrogazione di una precedente legge, pur appartenendo ad una classe sociale povera, aveva potuto convolare a nozze con l’imperatore Giustiniano I (nipote di Anastasio). Vi era dunque uno stretto legame tra l’imperatore e la fazione degli Azzurri che, anzi, erano stati fautori, al momento della successione, del suo insediamento.
Giustiniano e Teodora inoltre, applicando alla lettera la già vecchia massima romana del divide et impera, avevano buon gioco nel tener in competizione e divisa la popolazione, sia per la sua eterogeneità culturale e religiosa, sia per non ritrovarsi mai di fronte un popolo avversario compatto e difficilmente governabile se non tenendo impegnate forze che, in quegli anni, servivano altrove a guardia dei confini, specie ad est con la Persia. V’era comunque il perpetuo bisogno di cassa di ogni impero che tale si voglia chiamare ed anche a questo scopo una bella divisione all’interno delle classi sociali serviva a mantenere limitati e circoscritti gli eventuali fuocherelli di rivolta che potevano di volta in volta infiammarsi. A Costantinopoli in verità la situazione era anomala essendo, per l’appunto la classe più povera quella che potremmo definire filogovernativa, per quella comune appartenenza sociale che la legava all’imperatrice la quale, d’altronde, spesso e volentieri aveva mostrato, seppur seguendo ben più complessi politici disegni, una certa condiscendenza, avallando, all’occorrenza, qualche libertà laddove ora un nemico, ora un fomentatore di parte verde, rimaneva inspiegabilmente vittima di un qualche incidente. Tuttavia, la maggior parte delle imposte di cui necessitava l’impero provenivano, per quanto riguardava la città, dalle classi sociali in maglia Verde alle quali gli Azzurri restavano dunque indigesti per l’ovvia infinità di motivi che contrappongono una fazione governativa ad una reazionaria. Nel frattempo tutta questa turbolenza si nascondeva sotto gli impeti sportivi. Gli scontri all’ippodromo si avvertivano come imminenti ogni anno ma, in quel 532, altri elementi si erano aggiunti al malcontento generale. Da un poco di tempo infatti, in virtù del novello Codice Giustinianeo (tra l’altro in fase di completamento), il sistema di tassazione era completamente cambiato, ma la sua attuazione, che avrebbe voluto essere fondamentalmente più equa, finì per diventare invece una vessazione vera e propria in quanto, i suoi applicatori, ovvero il prefetto della città e gli esattori, complici alti dignitari dello stato, avevano stabilito una sorta di balzello aggiuntivo, il cui pagamento diveniva necessario onde evitare il rischio di più approfondite verifiche che poi avrebbero prodotto multe ed altre pene. Anche questo non era sistema nuovo, ma, anziché perdersi nei secoli come tante altre abitudini, possiamo ben verificare come sia ben vivo anche oggi (risparmio gli esempi per una questione di spazio essendo questo un blog e non un dizionario enciclopedico). Ciò indusse a far sì che le due fazioni, entrambe pesantemente colpite dalle misure adottate trovassero di che unirsi, come spesso fanno tante aziende quando v’è un appalto troppo grosso per poter essere gestito da una unica impresa (ATI, associazione temporanea d’imprese), stigmatizzando l’indecente tassazione come motivo di comune rivolta. L’imperatore tentò inizialmente di calmare gli animi, facendo imprigionare alcuni funzionari, tra cui il prefetto stesso della città ma a poco ciò valse. Il fatidico 11 gennaio, quando Giustiniano e Teodora entrarono nell’Ippodromo per dare il via alle gare, vennero accolti dal consueto grido: “Nikā, Nikā”, cioè “vinci, vinci” stavolta non più esortazione ai gareggianti, quanto incitamento alla rivolta contro il potere costituito. Iniziarono così gli scontri mentre l’imperatore riparava a palazzo. La rivolta dall’Ippodromo si spostò poi nelle vie della città tanto che dopo due o tre giorni molti quartieri ne restarono coinvolti con l’imperatore barricato nelle sue stanze. Alla fine, vista a repentaglio la propria vita ed avendo la sposa, Teodora, contraria ad una ignominiosa fuga, decise di distribuire ai capi della rivolta una parte del tesoro imperiale quale indennizzo, ottenendo, per il tramite del capo delle guardie, inviato a trattare, che i rivoltosi si radunassero per la distribuzione, all’Ippodromo. Così fu fatto. Nel frattempo il generale Belisario che era stato inviato alla ricerca di rinforzi, era rientrato in città ed al comando di un esercito di mercenari, il 18 gennaio 532, riuscì a domare la rivolta compiendo un massacro che, raccontano gli storiografi del tempo, procurò oltre 35.000 vittime, tra le quali Ipazio (giustiziato il giorno successivo), altro nipote di Anastasio che, ovviamente spalleggiato dai rivoltosi, era stato nel frattempo dagli stessi proclamato imperatore. La Basilica di Hagia sophia che restò parzialmente distrutta durante i giorni di rivolta venne ricostruita, ancora più grande, fino a comprendere parte del terreno dell'Ippodromo, come a volerne diventare un memoriale.
Una rivolta finita nel sangue come molte ma una rivolta simbolo del fatto che la popolazione arriva ad un suo punto di rottura con la sopportazione, soprattutto quando non riesce a cogliere le ragione del sacrificio, tanto da annullare le divisioni interne e fare corpo unico contro i governanti. La società di oggi, come usa dirsi, è sostanzialmente più evoluta ma in questo cambiamento non intravedo una maggiore capacità di comprendere e convivere, quanto e soprattutto - evidentemente - una maggior capacità di sopportazione, oltre che una tendenza alla facile disgregazione. O forse ancora il fatto che la realtà trasmessa dai media, tutti, non sia poi così cristallina e che in realtà le cose non siano dunque così gravi. O forse ancora che, come allora, prima degli eventi, coloro che dalla situazione critica ricavano guadagno sono una lobby potente e capace di contenere il malcontento. O ancora che la paura di restare esclusi, isolati, al di fuori del consesso sociale sia male ben peggiore che appartenervi (per quanto lo si denunci), tanto da frenare gli ardori e le proteste. O ancora che la sfiducia verso il prossimo sia tale e tanta che abbia in gran parte annichilito la solidarietà. Difficile comprendere in realtà cosa stia accadendo. Ai media si stanno sovrapponendo unicamente (o quasi) le rivolte della rete dove però molto spesso la spinta si esaurisce nella denuncia postata, in questo rendendo la rete stessa complice dell’inazione, per quell’effetto indesiderato in base al quale surrogando la realtà con quella parallela della web-session, si esaurisce la carica nell’atto della partecipazione virtual-sociale, come se la protesta, una volta introdotta nella fibra ottica, è come se avesse avuto luogo ed effetto pratico, salvaguardando nel contempo la singolarità e - quantunque solo in apparenza - anche la privacy di un epidermico anonimato. Una lezione su tutte andrebbe però conservata: lo smembramento delle classi sociali, la loro divisione, non è mai stata foriera di buoni accadimenti, anzi, ha sempre rafforzato quella casta ch’è sulla bocca di tantissimi singoli ma non ancora della popolazione. Mille pietre spesso non costituiscono un muro compatto ma solo una franabile pietraia. Pietraia di cui notate bene, occorre mantenere ben vive le caratteristiche di ogni elemento ch’é diverso dall’altro ma che deve essere anche capace di aggregazione quando messo in pericolo. Ed oggi leggo sempre più tanti dazebao, elettronici e non, appartenenti a tutti ed a nessuno, ciascuno con la propria verità, con il proprio risentimento e con la comune impotenza a dirigere le energie verso il cambiamento dei timonieri, nazionali ed internazionali per rendere, anche là dove sono le leve di comando, nuovamente questo mondo sostenibile. Basta scegliere, anche nelle piccole cose di tutti i giorni. Non è necessario scendere all’Ippodromo ancora una volta. E aggiungo in extremis, quasi si fosse stabilita una sorta di sintonia questo video che reputo in un certo qual modo ... piovuto ad hoc.