Il 2 Giugno di Napolitano: più che una parata, un clamoroso autogol

Creato il 04 giugno 2012 da Nicola Spinella @ioparloquantomi

Il popolo sconfessa il Capo dello Stato, colpevole di aver voluto fortemente una parata militare in tempi di austerity e di lutto a seguito dei sismi emiliani. Un flop di pubblico e la popolarità di Re Giorgio crolla e polemizza con Di Pietro

Non gli hanno creduto: a nulla son serviti i richiami ad un tono dimesso e l’aver lasciato nell’hangar le Frecce Tricolori e i carri armati. La sfilata del 2 giugno  ha registrato un calo  di pubblico  e di interesse, esaurendosi unicamente nello spreco di un pacco di soldi pubblici che potevano essere destinati ad altro utilizzo che non all’organizzazione di una stucchevole passerella per un vecchietto in odor di naftalina ed i suoi amichetti della casta.

L’Italia cade a pezzi, ancora si piangono i caduti dei sismi emiliani. Ma nonno Giorgio vuol vedere sfilare i soldatini con la divisa bella.

Mario Monti, Antonio Martino, Gianfranco Fini, Pierferdy Casini, la Severino, la Cancellieri, la Polverini, Schifani e tanti altri: autentici pezzi da museo, il peggio che la storia politica italiana possa offrire, degni membri di quella casta di cui il popolo invoca a gran voce la testa.

Risuonano le note del “Piave”, sfilano gruppi in divisa in una stucchevole messinscena che non piace. Troppo facile, da parte del presidente Napolitano, dedicare la parata ai terremotati: l’educazione del popolo emiliano terrà magari Re Giorgio lontano dalle parolacce che meriterebbe, ma questa è vera e pura demagogia, a tratti superiore a quella ostentata da Beppe Grillo e che il Presidente ha spesso messo in risalto nelle sue esternazioni.

Il palco è una pubblica gogna, un’infamia mediatica per chi non ha voluto rinunciare ad una inutile manifestazione. Il balzo in avanti è stato compiuto, Re Giorgio stacca di un bel po’ Scalfaro e Cossiga nella classifica dei peggiori presidenti della repubblica: ormai non lo prendono più, tra dichiarazioni sull’Ungheria dei tempi che furono e presidenti tecnici (di estrazione bancaria) è riuscito a vincere l’ideale classifica dei peggiori presidenti della repubblica, la stessa che sarebbe stata onorata portando conforto e aiuti concreti alle popolazioni colpite dalla tragedia del terremoto.

Ma lui no, Napolitano preferisce fare il nonnino dispettoso, uno di quelli che scoreggia e poi fa la risatina perché tutti l’hanno sentita, ma continuano a cercare un colpevole.

E il colpevole è uno solo, l’unico che avrebbe potuto evitare un inutile spreco di risorse che ha diviso più che unire una repubblica che è ormai sempre meno rappresentata dal garante dei privilegi delle banche e della politica. Colpevole e autore di un gesto di autentica irresponsabilità civile.

L’unica cosa che Napolitano potrebbe fare, per salvare quel pizzico di faccia che gli è rimasta attaccata alla salma, è dimettersi: riconoscere che non è più garante di alcunché che vada salvaguardato.

Non l’unità nazionale, se questa è intesa come la coesione tra le varie componenti sociali del nostro paese. Né della Costituzione che più volte ha dimostrato di non rispettare.

La polemica con i rappresentanti politici che non hanno preso parte alla manfrina tiene banco: Di Pietro è dalla parte dei terremotati, sottolinea l’inutilità della parata. Napolitano controbatte convincendo pochissimo, sostenendo che le polemiche sono strumentali e che il leader IDV non sa di quel che parla. Gli fa eco quel bontempone di Pierferdinando Casini, volto non certo nuovissimo della politica, che attribuisce le assenze al “tentativo di ricostruirsi una verginità politica“.  Sentire Casini che parla di verginità politica è come sentir parlare un diabetico di Sachertorte: sicuramente, in entrambi i casi, sono le persone meno indicate.

In momenti come quelli che stiamo vivendo, ci saremmo aspettati dal Presidente della Repubblica una paternalistica adesione a sentimenti di buon senso. E invece no, è più giusto dare un’idea di forza e stabilità che portare concreto ristoro ai popoli che ancora oggi hanno sofferto per un sisma che appare inarrestabile.

Assente anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che non ha preso parte ai tradizionali momenti istituzionali della festa della Repubblica.

Ma purtroppo il carosello non si è fermato: non bastano i morti, né la distruzione per arrestare l’avanzata di questa classe politica. E probabilmente, non basta più nemmeno la vergogna di doversi continuare a dire italiani. Per colpa di gente come “loro”…


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