Centomila copie giornaliere, 250mila utenti unici sul sito ufficiale, con punte di 300mila, 330mila fan sulla pagina Facebook, settimo posto tra le parole in ascesa più cercate su Google (secondo Google Zeitgeist): sono questi alcuni dei numeri che hanno segnato l’annata 2010 de Il Fatto Quotidiano, il giornale diretto da Antonio Padellaro capace di imporsi all’attenzione nazionale partendo poco più che da zero e cercando di mantenere – per quanto possibile – una certa indipendenza di fondo rispetto al sistema politico-economico, pur senza nascondere una linea editoriale ben precisa e “coerentemente di parte”.
Da queste cifre sono emerse alcune riflessioni di Peter Gomez sul bilancio annuale della testata, che ben presto si sono allargate all’intero mondo dell’editoria e ai suoi presunti o reali problemi.
[Questi numeri dimostrano che] non ci eravamo sbagliati. Davvero in Italia, anzi sopratutto in Italia, c’era spazio per un’impresa editoriale che avesse un unico fine: scrivere tutte le notizie che i suoi giornalisti erano in grado di trovare. In questi mesi si è parlato spesso di crisi dei media, della carta stampata che verrebbe uccisa da Internet, di giornali costretti a licenziare o a mettere in cassa integrazione i colleghi. Nessuno, o quasi, si è invece posto una domanda semplice, semplice: perché un lettore o un navigatore dovrebbe scegliere un quotidiano o un sito internet piuttosto che un altro?
Beh, noi questa domanda ce la siamo posta già due anni fa quando, grazie ad Antonio Padellaro e Giorgio Poidomani, fondammo Il Fatto. E la risposta fu univoca: un giornale viene scelto per conoscere qualcosa (sia essa una notizia o un’opinione) che non si sa. Una considerazione quasi lapalissiana che però, in un periodo caratterizzato da quotidiani e siti Internet tutti uguali tra loro (o condizionati dalle proprietà), diventa in qualche modo rivoluzionaria.
Inutile girarci intorno: è questo il principale motivo per cui il 2010 è stato per noi un buon anno. I lettori e navigatori, anche quando non sono d’accordo con noi, si rendono conto di come da queste parti ci sia sempre qualcosa che gli altri non dicono. Sanno che, anche quando sbagliamo, lo facciamo solo per colpa nostra e con la nostra testa, e non perché un editore o un inserzionista ci ha condizionati.