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Il 25 aprile in quattro righe

Creato il 26 aprile 2014 da Casarrubea
25-aprile

25-aprile

Una data. Ma non solo. Tutti i giorni hanno un loro senso, e se per caso a conclusione di una giornata dovessimo ritenere di non averne avuto qualcuno, dovremmo ricrederci pensando semplicemente al fatto che almeno uno ci è consegnato dal nostro destino. E’ l’obbligo che abbiamo di dare ai nostri figli, o a chiunque altro, ed anche a noi stessi, un preciso dovere, un mandato per il futuro. Questo mandato, sia pure quando tutto si disgrega, muore o si sgretola, è lo sforzo di immaginare un mondo diverso e di agire perché possa veramente esserlo. Una regola generale senza la quale anche lo sforzo supremo che compirono coloro che a questa missione credettero, combattendo, affrontando pericoli, e sacrificandosi, non avrebbe avuto ragione alcuna di esistere. Essi sapevano infatti che l’inerzia dava spazio alla violenza e alla morte, privava ciascuno del valore della sua vita e la consegnava al baratro della barbarie e della follia. Quella che si combatté tra il 1943 e il 1945 in Italia fu perciò la scelta decisiva e finale dei singoli e di tanti popoli di imprimere un cambiamento radicale alla loro e alla nostra vita, anche se molti hanno dimenticato la lezione, ritenendola ormai vecchia e inutilizzabile per le generazioni future. Ma non è così.
Il 25 aprile oggi è attuale per molti motivi, dei quali mi limito a elencare quelli, a mio giudizio, più indispensabili per la nostra vita quotidiana. Il rifiuto di ogni potere e dittatura come azione criminale contro gli indifesi e contro il diritto di tutti a vivere con dignità e nel benessere. Quindi l’obbligo ci ciascuno di battersi per tale scopo. L’esistenza di numerosi focolai di guerra nel mondo e di vere e proprie guerre che rischiano di allargarsi oltre i loro confini territoriali. Lo sgretolamento dei sistemi democratici e il graduale, ma costante, ricorso al leaderismo, al dominio dei pochi. Cioè il potere concepito come consorteria, che chiama attorno a sé l’uso spregiudicato delle proprie funzioni o del proprio posto di comando visti non più come servizio, ma costruzione di vere e proprie lobby, emersione di gruppi amicali, di amici degli amici. Lobby del consenso latente che utilizzano il successo dei pochi, dei più vicini al potere, ai padroni delle clientele pseudo culturali. Queste forme di potere introdotte dall’era berlusconiana contro i diritti di chi non ce la fa, oggi si sono perfezionate e moltiplicate fino a travolgere la stessa etica paternalistica ed edonistica, pervadendo in senso orizzontale e verticale la società e lo Stato. Con un connesso mutamento dell’estetica del consenso fatta passare come neocomunicazione politica: il nuovo valore aggiunto alla vacuità della diffusa decadenza dei valori. Non siamo al fascismo, perché nessuno si sente ancora sotto un regime. Ma se non si sta attenti, poco ci manca.

GC


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