A 50 milioni di anni-luce, in M100
di Silvia Fracchia
Un cucciolo di buco nero. Di soli 30 anni. Un vero e proprio lattante per gli standard spaziali. E’ l’ultima scoperta di Chandra, il telescopio spaziale della NASA che da oltre 10 anni osserva il cielo in raggi X.
La supernova SN 1979C nella galassia M100. Bella, eh? Beh, scordati di poterla vedere coi tuoi occhi, perché questa è una composizione di immagini X, nel visibile e nell'infrarosso. (Cortesia: NASA/CXC/SAO/D.Patnaude et al./ESO/VLT /JPL/Caltech)
Il giovane buco nero è stato trovato nella galassia M100, distante circa 50 milioni di anni-luce dalla Terra, ed è probabilmente ciò che rimane della supernova SN 1979C. E’ stato rivelato grazie ai dati forniti da Chandra e da alcuni altri strumenti spaziali: una brillante sorgente di raggi X rimasta stabile durante i 12 anni di osservazione, dal 1995 al 2007. I risultati ottenuti sono riportati in un articolo di futura pubblicazione su “New Astronomy”, firmato da Daniel Patnaude e altri due astrofisici dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, negli Stati Uniti.
L’ipotesi più accreditata per spiegare le osservazioni è quella di un baby buco nero, un neonato piuttosto vorace che si nutre del materiale liberato dalla supernova originaria o proveniente da una compagna se in un sistema binario. I raggi X osservati sarebbero proprio quelli emessi dalle particelle inghiottite. Tutto ciò ha dei risvolti notevoli. Infatti di solito i buchi neri in galassie lontane sono rivelati attraverso i Gamma Ray Burst (GRB), violente emissioni di raggi gamma provenienti dal materiale del disco di accrescimento. Tuttavia SN 1979C non si adatta al modello che descrive i GRB, anche perché è piuttosto vicina (si fa per dire: son sempre 50 milioni di anni-luce) e pare essersi formata dal collasso di una stella con una massa circa 20 volte più grande di quella del Sole.
Ci troviamo quindi davanti al classico (e più comune) meccanismo di formazione di un buco nero dall’esplosione di una supernova di tipo II. Una stella massiccia, di almeno 9 masse solari, giunge al culmine del suo processo evolutivo quando il suo nucleo inizia a sintetizzare il ferro. Poiché la reazione di fusione nucleare del ferro è endotermica (ossia richiede energia per avvenire, anziché fornirne), il ferro prodotto resta inerte e viene accumulato nel nucleo fino a quando questo non supera il limite di Chandrasekhar, pari a 1,44 masse solari. A questo punto il nucleo non riesce più a resistere al collasso gravitazionale: vengono spazzati via gli strati circostanti e quello che resta è un ammasso compatto di materia in uno stato altamente degenere. Che si tratti poi di una stella di neutroni o di un buco nero dipende soltanto dalla massa della stella progenitrice, a seconda che sia inferiore o superiore alle 20 masse solari. Rivelare la nascita di buchi neri che non producono GRB è però complicato: servono molti anni di osservazione in raggi X per poter trarre qualche conclusione. Ed è questo il caso, appunto.
C’è però anche un’altra possibile e interessante spiegazione delle osservazioni di Chandra. Potremmo in realtà avere a che fare non con un buco nero, ma con una pulsar: una stella di neutroni in rapida rotazione che emette un flusso di particelle a velocità relativistiche, responsabili della radiazione X. L’interazione del vento di pulsar con i resti della supernova darebbe origine a una nebulosa detta pulsar wind nebula. Si tratterebbe allora della più giovane e brillante pulsar con nebulosa conosciuta. La ben più celebre pulsar della Nebulosa del Granchio, ad esempio, ha già raggiunto la veneranda età di 950 anni.