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Sembra di assistere a quel filmato Rai in bianco e nero nel quale un giovane Enzo Jannacci, interpretando Vengo anch’io. No, tu no, si produce in esilaranti piroette, mentre va avanti e indietro sul palcoscenico. Al momento, si intuiscono molti ballerini, tutti animati da buone e legittime dosi di ambizione. Il balletto però è quello. Non si balla da soli, ma quasi. Ogni aspirante sindaco raccoglie attorno a sé tre-quattro fedelissimi, apre la ruota del pavone e aspetta di vedere “l’effetto che fa”. Se la reazione non è incoraggiante, fa un passo indietro e si ripropone a distanza di tempo.
Uno degli effetti più disastrosi della politica senza partiti è l’improvvisazione. A livello locale, è ancora più evidente che tutto si è ridotto alla capacità del singolo di compattare gruppi di supporto alle proprie velleità. Leaderismo in sedicesimo. Per i programmi sulle prospettive future della comunità e per la visione d’insieme su quel che si intende fare, meglio ripassare. D’altronde, interessano a qualcuno, in elezioni che si riducono a scontro tra le solite famiglie o gruppi di potere, per cui si vota il fratello, il cugino, lo zio, il compare, il datore di lavoro, indipendentemente da ogni altra considerazione?
Nonostante lo scoppiettio di fuochi di paglia più o meno duraturi e credibili, l’attesa maggiore è per le mosse dei due big della politica eufemiese, il consigliere regionale Luigi Fedele e il sindaco Enzo Saccà, entrambi fino ad ora abbottonatissimi e ostentatamente distaccati. Un po’ troppo per non alimentare i sospetti di tatticismo. I tempi stanno stringendo, le elezioni della prossima primavera sono alle porte e chi ha fiato deve cominciare a correre. L’inciucio immaginato da alcuni settori dell’opinione pubblica appare altamente improbabile, dopo il siluro agostano scagliato contro Saccà da Scopelliti – del cui “cerchio magico” fa parte Fedele – sulla gestione allegra e impropria dei fondi Asi. Chi vivrà, vedrà.
Il bilancio dell’amministrazione Saccà, a meno di un anno dalla sua naturale scadenza, è sufficiente soltanto se non si tiene conto delle promesse fatte in campagna elettorale. Che sono state tante. Probabilmente troppe. Nulla da eccepire sull’ordinaria amministrazione, sulla gestione finanziaria dell’Ente (che non è poca cosa) e sui finanziamenti per opere pubbliche e progetti che pure hanno impinguato le casse comunali. Le aspettative però erano altre, gli interventi strutturali in grado di promuovere lo sviluppo economico e migliorare la qualità della vita dei cittadini non si sono visti. Dei centodieci posti di lavoro, settanta dalla realizzazione di un impianto per la produzione di energia con combustione di biomassa, quaranta dallo sviluppo di un grande mercato ortofrutticolo, neanche l’ombra: “su questo impegno, io scommetto la credibilità della mia storia politica”. Scommessa persa. Sono rimasti chiusi nel libro dei sogni anche il riconoscimento di origine protetta dei prodotti ortofrutticoli locali, il piano di promozione turistica e artigianale, la casa della cultura, il centro di aggregazione giovanile e quello per anziani.
Quando ogni cosa, anche la più insignificante, deve passare dalle mani del sindaco, diventa tutto molto complicato. Per questo motivo esistono le deleghe. Un nuovo modo di fare politica non può prescindere da un processo di responsabilizzazione generale. Perché costituisce anche un comodo alibi quello di nascondere l’inerzia dello staff dietro il protagonismo del capo. Gioco di squadra. Ognuno ha un compito preciso da svolgere e, in caso di inadempienza, va sostituito senza esitazione. Non è necessariamente questione di persone, quanto di una mentalità nuova, di un differente modo di rapportarsi con il cittadino, più sincero, meno propagandistico e meno arrogante. Diventa un problema di nomi se si persevera nell’autoreferenzialità e nella strafottenza, sordi e ciechi di fronte ai segnali di malcontento e alle richieste di un rinnovato approccio nella gestione della cosa pubblica.
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