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In molti lo hanno definito il “racconto perfetto”. Il ballo di Iréne Nèmirovsky, edito da Adelphi, riuscirebbe infatti a trattare con acume e delicatezza temi scottanti quali il rapporto madre-figlia, l’ipocrisia sociale e la vendetta. La storia, che si sviluppa in poco più di ottanta pagine, vede protagonisti i membri della famiglia Kampf, parveneu parigini in attesa del loro trionfante ingresso in società, che si ritroveranno non solo a dover domare istinti e abitudini poco consone al loro nuovo status sociale, ma soprattutto la rabbia e la sete di vendetta della quattordicenne Antoinette, figlia della coppia. Antoinette, infatti, è la classica adolescente timida e malinconica dalla fervida fantasia, che viene tacciata di cocciutaggine e stupidità dai genitori, in particolar modo dalla madre. La signora Kampf, invece, al contrario della figlia è una donna dagli orizzonti limitati, che tenta di recuperare, visto la posizione sociale conquistata dal marito, spirito e avventure di una giovinezza che le è stata negata. Il signor Kampf, infine, risulta non pervenuto. La Némirovsky, quindi, dipinge un classico anti-idillio familiare e tenta di inserire, all’interno della narrazione, una serie di elementi tipici della narrativa del Novecento: la leggerezza unita alla febbrilità dello stile, la mancanza di pietismo nei confronti dei personaggi e l’assenza di figure pienamente positive e totalmente negative. Inoltre, come degna rappresentate di una minoranza oppressa, la Némirovsky abusa del termine “ebreo” in senso dispregiativo come se, per osmosi, avesse assimilato l’odio che la circondava. Se devo essere sincera tutti questi elementi nel racconto della Némirovsky li trovo solamente accennati e non definirei mai Il Ballo come “il racconto perfetto”. La lettura, infatti, non è stata coinvolgente come mi aspettavo e non ho intravisto quella genialità e la delicatezza che, a detta dei suoi lettori, caratterizzano i romanzi della Némirovsky. Più che un “racconto perfetto”, infatti, definirei Il Ballo come “un romanzo allo stato embrionale” visto che, all'interno della narrazione, neanche la vendetta di Antoinette trova il giusto spazio. Non c’è infatti quel climax e quella febbrilità utile a giustificare il suo gesto e, per come viene presentato, più che frutto di una vendetta apparirà come una birichinata. L’arte del racconto la possiedono in pochi e, a mio modesto parere, la Némirovsky non sembra essere una sua degna rappresentante. Alla prossimaDiana
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