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“Il bambino che collezionava parole” – Juan Pablo Villalobos

Creato il 30 maggio 2012 da Temperamente

villalobosTochtli è un bambino messicano. Adora leggere il dizionario, lo fa ogni sera, e grazie alla sua incredibile memoria conosce e usa parole come “sordido” e “nefasto”. Gli piacciono i cappelli, ne ha una vasta collezione: modelli provenienti da tutto il mondo. Ama anche gli animali, soprattutto quelli in via di estinzione: ultimamente cioè che desidera più di tutto è allevare un ippopotamo nano della Liberia. Tochtli, in definitiva, è un bambino “avanti”: lo pensa la maggioranza delle persone che conosce, che, a dir la verità, non sono poi molte. Sarebbero di più se Tochtli potesse includere fra i suoi conoscenti anche le persone che ha visto diventare cadaveri: ma non può, perché quelle non sono persone, sono, appunto, cadaveri. A Tochtli capita ogni tanto di vedere cadaveri, o di sentire dalla sua stanza qualcuno diventare cadavere, perché la morte violenta fa parte del mestiere di suo padre: il padre di Tochtli si chiama Yolcaut, e di mestiere fa il narcotrafficante.

Se è vero che la letteratura interpreta e riflette in vari modi la realtà, e se è vero che le battaglie culturali vanno spesso di pari passo con quelle reali, non è difficile spiegare la nascita e il successo, in Sudamerica, della cosiddetta “narcoletteratura”. Villalobos, in questo breve, acclamatissimo romanzo di esordio, guarda alla piaga del narcotraffico messicano con occhi diversi, con gli occhi di un bambino. Il ritmo della narrazione è proprio quello che ci aspetteremmo se ascoltassimo un bambino raccontare: pensieri brevi ed eterogenei, avvenimenti specifici e del tutto autoreferenziali, linguaggio semplice, in cui le parole preferite ricorrono costantemente (nel mondo di Tochtli, tutto è sordido e nefasto oppure lindo, o patetico, o fulminante). L’idea, non originale in senso assoluto ma sicuramente innovativa nel filone letterario di cui il romanzo fa parte, è in questo caso geniale perché consente di eliminare i moralismi facili e di giungere all’essenza delle cose. Lo sguardo di Tochtli non è innocente e inconsapevole, ma attento, critico, spietatamente onesto. Molte atrocità sono entrate a far parte del suo quotidiano, alcune del suo concetto di normalità, ma non tutto lo convince; Tochtli coglie le contraddizioni, interpreta i cambiamenti che avverte intorno a sé e gli atteggiamenti di Yolcaut, suo padre, il quale riesce a fuggire con relativa facilità alla giustizia messicana, ma fallisce miseramente nel tentativo di sottrarsi anche al giudizio del figlio.

Marina Lomunno

Juan Pablo Villalobos, Il bambino che collezionava parole, Einaudi, 78 pp., € 10,00.


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