Il bambino con il pigiama a righe, Mark Herman, Usa UK, 2008, 94 minuti.
A volte si ha la fortuna o la sfortuna di non capire il proprio tempo, vuoi per distrazione, per ignoranza, o per il semplice fatto di essere troppo giovani o troppo vecchi, per poter capire pienamente gli eventi che si sviluppano intorno all’uomo. Bruno è un bambino di otto anni, è tedesco figlio di un gerarca nazista dell’alta borghesia di Berlino. Ha un padre affettuoso e attento che è il più grande orgoglio del bambino, una sorella più grande di qualche anno e una bellissima madre con i quali vive in un’enorme villa di un quartiere residenziale.
Da Il bambino con il pigiama a righe
Arriva però un momento di svolta nella sua vita, in coincidenza con la promozione del padre, che costretto a lasciare Berlino si sposta in campagna con la famiglia per “servire” la nazione. Bruno si trova così a dover lasciare tutto il conosciuto, i suoi amici, la sua casa, i suoi nonni per trasferirsi in un’austera casa di cemento, dove incontra solo i suoi familiari e altri militari. Dalla sua finestra però, Bruno scorge qualcosa; una fattoria gestita da strane persone con il pigiama a righe.
Scatta così nel bambino quel meccanismo naturale di curiosità che porterà Bruno a scappare di nascosto dalla casa, per avvicinarsi a quella strana fattoria circondata dal filo spinato e abitata da strani contadini. Qui Bruno conoscerà Shmuel, un bambino suo coetaneo che vive dall’altra parte del filo spinato.
Il film di Herman, riprendendo un romanzo dell’irlandese John Boyne, analizza in maniera distaccata e obbiettiva il dramma della Shoà, utilizzando come chiave di lettura l’amicizia di due bambini: Bruno, tedesco e Shmuel, ebreo. Attraverso l’innocenza di Bruno, Herman mette in luce l’assurda razionalità del nazismo e della soluzione finale, evidenziando la doppia razionalità dell’uomo, capace da un lato di amare alla disperazione i propri familiari e dall’altra di trasformarsi in una cinica e violenta bestia che non ha scrupoli a sterminare uomini e donne considerati “diversi”. Il cinismo rappresentativo di Herman, propone nuovamente la tematica della Shoà vista da un bambino, lasciando da parte l’ottimismo narrativo per far spazio alla brutalità della Storia.