Chiuso in una gabbia dorata, avvolto nel mistero di un’aura color indaco, predisposto a un’intelligenza superiore e destinato a percorrere la via per una rigenerazione salvifica del mondo. È questo Il bambino indaco (Einaudi, 2012) immaginato da Marco Franzoso: un essere destinato a vivere un’esistenza superiore, un illuminato capace di modificare le proiezioni negative della Terra, trasformandole in vibrazioni positive e disponibili per tutti.
La previsione delle chiropratica parla chiaro: lui sarà un bimbo indaco, un ragazzino speciale, un uomo superiore. Ma qualcosa non va. È la madre, Isabel, che sprofonda in un vortice di sensazioni convulse e poco chiare, influenzate dalla cultura New Age e dal veganismo più estremo: uno stile di vita che mette a repentaglio la crescita del piccolo; un metodo di nutrizione «puro e sommo», un’alimentazione estremamente ricercata e distante dalla quotidianità, tanto da spingerla a sfamare suo figlio solo con cetrioli, succhi vegetali e pappine ipocaloriche: un sostentamento, se così si può chiamare, lontano da quello che ritiene «inquinato» e «non sano»; un’ossessione deviata verso una purificazione assoluta che metterà a repentaglio anche il naturale sviluppo del figlioletto Pietro.
Sarà in quel momento, quando si renderà conto della pericolosità involontaria della moglie, che Carlo deciderà di porre rimedio a tutto questo; quando capirà che il figlio rischia di pagare in prima persona l’avversione della madre per la carne; quando Isabel, pur di depurare l’aura di Pietro, gli somministrerà di nascosto dei purganti, causandogli un evidente ritardo nella crescita. Solo allora deciderà di trovare una soluzione a un problema che rischia di compromettere non solo la salute del bambino e della moglie — ormai anoressica —, ma anche il suo stesso matrimonio, già minato, tra l’altro, da incomprensioni e bugie.
È questa la trama del libro di Franzoso, un volume di appena 116 pagine, che in copertina riporta il volto tondo del bambino e una citazione: «Chi sei? Chiedo silenziosamente. Qual è il tuo segreto? Perché non ti conosco?». Una serie di domande che introduce il lettore in un’atmosfera di mistero e tensione, un’ansia che, sin dalle prime pagine, lo guida in un andirivieni di emozioni contrastate, a volte acide, a volte nervose, a volte ironiche.
Il breve romanzo, edito da Einaudi, è caratterizzato da una struttura a flashback e da paragrafi non estremamente lunghi che agevolano la lettura. Il tempo della narrazione è al presente, mentre l’io narrante, che è la voce di Carlo, conduce il lettore attraverso salti temporali non difficili da seguire.
La vicenda ha inizio con il ritrovamento del corpo di Isabel disteso sul tappeto del salotto, con il petto forato da diversi colpi di pistola; i carabinieri che perquisiscono l’abitazione e fanno i rilevamenti del caso; la madre di Carlo distesa sul letto, sedata dai farmaci perché in stato di shock.
Da questa scena partono le regressioni del protagonista che, alternandosi al presente, ricostruiscono la vita di Isabel e Carlo.
Franzoso, in sostanza, fa uso di una collaudata tecnica di scrittura creativa che — negli ultimi tempi — sta prendendo sempre più piede, soprattutto tra gli scrittori di genere: quella d’incentrare il romanzo sul “come”, ovvero di presentare al lettore un delitto, per poi ricostruire la vicenda. Una tecnica cara ai giallisti e agli amanti del noir che si può riassumere nelle più classica delle domande: come si arriva a questa scena?
Il linguaggio de Il bambino indaco è fluido e conciso, mentre i periodi sono brevi e ben si adattano alle intenzioni dell’autore che, evidentemente, tenta, grazie a tale scelta stilistica, di suscitare nel lettore agitazione ed ansia.
Il finale non è dei migliori. Il libro crea una forte attesa sin dalle prime pagine, decolla nel corso del testo con belle idee e pregevoli invenzioni letterarie, ma poi si perde, per concludere con un colpo di scena alquanto prevedibile.
Nel complesso, Il bambino indaco è un libro che merita di essere letto. Una lettura breve e piacevole, che porta il lettore a porsi molte domande e strappa, a volte, anche qualche sorriso.
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