Il baradello: torre, prigione, rudere, simbolo.

Creato il 26 ottobre 2012 da Bagaidecomm @BagaideComm
Quando andavo alle elementari, la mia classe organizzò una gita alla torre del Baradello: un’uscita abbastanza ordinaria per gli studenti della zona. Il giorno prima della visita però mi ero ammalato e la fortificazione non la vidi mai se non dalle pendici della Spina Verde; questo fino all’estate scorsa. La mancata occasione ha fatto crescere negli anni la mia curiosità verso il forte, che agli occhi di un ragazzino, capirete, sembrava uscito da un libro dei fratelli Grimm. Col tempo, all'immagine fiabesca si è sovrapposta quella storica: castellani e militi che sorvegliavano l'accesso alla città, stretto tra le alture della Spina Verde e del monte Goj; vedette che scrutavano l’orizzonte in cerca di nemici (quasi sempre milanesi o canturini) arrivando con lo sguardo alla pianura e agli Appennini. La posizione del complesso è tale che da qualsiasi punto della città murata è possibile scorgerlo (per poter dare più velocemente l’allarme in caso di pericolo), così come da tutte le sedi della nostra università. Nella tradizione il Baradello è legato all’imperatore Federico I Barbarossa che, all’epoca delle lotte con i comuni lombardi, trovò nei comaschi dei preziosi alleati; per le indubbie qualità strategiche di cui abbiamo già detto costruì l’avamposto su una struttura preesistente, stanziandovisi negli anni 1159-60, e donandolo alla città a guerra conclusa. Episodio meno conosciuto invece è quello di Napo Torriani, sotto molti punti di vista simile alla storia del conte Ugolino della Gherardesca di cui parla il Sommo Poeta nella sua Comedia. Il Torriani succede al cugino Filippo (1265) come leader del partito guelfo lombardo, divenendo signore di Milano e contemporaneamente podestà di Como, mentre il fratello Raimondo siede sulla cattedra che fu di S.Abbondio; avversari della Torre sono i Visconti con a capo Ottone, arcivescovo del capoluogo meneghino. Questi, in seguito alla battaglia di Desio (1277), imprigiona Napo insieme con il figlio, il fratello e i quattro nipoti in gabbie appese all’esterno della torre del Baradello, così come nell’Inferno del Durante (perché, badate bene, Dante è una contrazione, come Napo per Napoleone) Ugolino ci racconta di essere stato rinchiuso (1289) nella torre della Muda, a Pisa, dal vescovo Ruggeri con i figli e i nipoti. Gli eventi comaschi si concludono in maniera meno tragica di quelli toscani: l’unico a perire è Napo, inumato poi nella chiesa di S. Nicola, mentre gli altri prigionieri vengono liberati l’anno successivo. Altre vicende vedono protagonista il forte, che con il passare del tempo muta la propria architettura per rispecchiare il colore politico dei castellani che si succedono nel suo controllo. Così le merlature guelfe lasciano il posto a quelle ghibelline, le feritoie per le balestre alle bombarde, un’altra torretta compare con i dominatori iberici che alla gente del Lario non fecero del gran bene, come ricorda il Manzoni nella sua opera antiasburgica, tanto che nel 1527 Don Pietro Arias fece smantellare il Baradello per paura che fosse conquistato dalle truppe francesi. Il secolo breve ha visto la rinascita dell’edificio che, dopo i lavori di recupero della struttura (svolti negli anni 70’), venne aperto al pubblico e una scarpinata da Camerlata, per quanto ripida, vale la pena farla per vedere e apprezzare un monumento che ha accompagnato i comaschi anche nella storia recente: dal risorgimento alla seconda guerra mondiale. Un'ultima cosa: il castello fa parte del Parco della Spina Verde ed è punto di arrivo e di partenza di numerosi itinerari panoramici, storici e naturalistici comprendenti la chiesa di S. Carpoforo, il monte Caprino, la croce di S. Eutichio, l'abitato protostorico di Pianvalle. Ma di questi sarà meglio parlare un'altra volta. Per ora andate a vedervi il Baradello! 
 Jacopo Borghi

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