E’ sabato, ed ho riposato più del solito. Bene, anzi no: dovrei, dovremmo farlo più spesso. Non per il gusto di sognare più a lungo, ma per la nostra salute: da una ricerca condotta su 1741 volontari durata ben 14 anni è emerso che il tasso di mortalità è superiore al 50% negli uomini con insonnia cronica, rispetto al 9,1% in quelli che dormono normalmente [1]. Viva le dormite, dunque. Ma non quelle eccessive: uno studio durato sei anni che ha coinvolto ben milione di adulti ha stabilito che la durata ideale dormire più di 8 ore o meno di 4 è comunque negativo, mentre la misura ideale è fra le 6 e le 7 ore [2]: in medio stat virtus.
Coi ritmi frenetici di oggi però non sembra certo quello di prendersi a letto il problema, semmai quello di non stazionarci troppo poco: rispetto a trent’anni fa, infatti, dormiamo in media due ore in meno a notte. Ed è un problema. Anche perché mentre riposiamo, in particolare durante la fase REM, pare diminuiscano i neurotrasmettitori legati allo stress, aiutando così il cervello a rendere meno dolorose le memorie e ad attenuare i traumi [3]; dormire adeguatamente, insomma, contribuisce ad attenuare molto sensazioni spiacevoli legate a ricordi negativi.
Certo, poi non è detto: anche chi dorme poco – come dimostrano i casi di Napoleone, Churchill, a Margaret Thatcher – può compiere ugualmente grandi imprese nell’arco della propria vita. Ma è difficile non provare invidia per chi, come Albert Einstein, riusciva a serrare gli occhi per ben undici ore filate, e pure durante le pause di lavoro: comodo in poltrona, si appisolava con una matita in mano così – racconta Sean Coughlan [4] – non appena, addormentandosi, questa gli scivolava fra le dita cadendo a terra, il rumore della caduta lo risvegliava costringendolo a rimettersi all’opera.
Che gran personaggio, Einstein: capace di esprimere la propria genialità perfino nel modo di addormentarsi. E tutti noi che purtroppo non possediamo una simile intelligenza faremmo bene– almeno in questo, dove possiamo -, ad imitarlo il grande scienziato. Bene, il pezzo si conclude qui: conto di non avervi annoiato e che siate riusciti, armati di pazienza, ad arrivare alla fine di questo breve articolo. Però in caso contrario, nell’eventualità cioè vi foste addormentati, per una volta non rimarrò deluso. Tutt’altro: saprò di avervi totalmente convinti.
Note: [1] Cfr. Vgontzas A.N. – Liao D. – Pejovic S. – Calhoun S. – Karataraki M. – Basta M. – Fernández-Mendoza J. – Bixler E.O.(2010) Insomnia with short sleep duration and mortality: the Penn State cohort. «Sleep»; Vol. 33 (9): 1159-1164; [2] Cfr. Kripke D.F. – Garfinkel L. – Wingard D.L. – Klauber M.R. – Marler M.R. (2002) Mortality associated with sleep duration and insomnia. «Archives of General Psychiatry»; Vol. 59 (2): 131-136; [3] Cfr. Els van der Helm E. – Yao J. – Dutt S – Rao V. – Saletin J.M. – Walker M.P. (2011) REM Sleep Depotentiates Amygdala Activity to Previous Emotional Experiences. «Current Biology»; Vol. 21 (23): 2029-2023; [4] Cfr. Coughlan S. The Sleepyhead’s Bedside Companion, Random House UK 2010.