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Il berlusconismo? Lo inventò Nonno Ugo

Creato il 10 giugno 2011 da Nicola Mente

Il berlusconismo? Lo inventò Nonno UgoC’è una bella storia da raccontare. Una storia che parla di maghi, recinti e montoni. Lustrini, self-made-men, avanspettacolo, belle donne. Fin qui –direte- nulla di nuovo. Ma cosa c’entrano i montoni? Assistiamo in questi giorni, con espressione tra l’attonito e quella di chi ha reso il sarcasmo un bene di prima necessità (un digestivo imprescindibile per mandare giù i bocconi amari ricoperti di zucchero, specialità del Bel Paese) allo sfacelo del marchio “Aiazzone”, brand lustrato e famosissimo in ogni angolo del territorio nazionale. Un’azienda che nei decenni passati ha fatto della comunicazione pubblicitaria un suo inequivocabile cavallo di battaglia, un martellamento psicologico che negli anni ottanta aveva portato il marchio biellese a divenire quasi un simbolo nazionale. Noi trentenni non possiamo non ricordare l’istrionico Guido Angeli, il testimonial della réclame più famosa di quel decennio, quel «Provare per credere» che così poco impiegò a inculcarsi nella cultura popolare (e non) di quel periodo (sconfinando addirittura nel cinema e nella musica con lo stesso inimitabile slogan). Un periodo, gli anni ottanta, molto particolare. Una sorta di nuova era della comunicazione, un decennio tanto diverso da quello precedente (quei ’70 tanto intrisi di contestazione e voglia di verità) che poco, pochissimo attinse dal passato, lanciandosi in una nuova crociata in cui l’immagine, la comunicazione illusoria, la strategia di marketing in stile “lustrini & paillettes” cominciavano a trasformare l’immaginario culturale italiano. Chi ha qualche anno in più può invece facilmente rimembrare l’epopea di Ugo Rossetti, quel “Nonno Ugo” che con la sua Città del Mobile imperversò per anni prima sulle reti private laziali, fino a giungere ad una fama in scala nazionale. Guido Angeli, Aiazzone, Nonno Ugo, la Città del Mobile. Tante, troppe affinità. Citando Giorgio Gaber in una delle sue più felici espressioni, quelli erano gli anni dell’avvento di Berlusconi. Ma non di “Berlusconi in sé”, quanto del “Berlusconi in noi”. Guido e Ugo non furono altro che dei precursori di un mondo che stava rapidamente  (e per certi versi forzatamente e inspiegabilmente) cambiando, ponendo la forza dell’”imbonimento” avanti a tutto. Come dimenticare la diretta-maratona condotta dallo stesso Angeli e da Wanna Marchi, nel 1986, per commemorare il defunto Giorgio Aiazzone (scomparso in un incidente aereo)? Una trasmissione quella improntata su temi esoterici, con Angeli e la Marchi a dare del “tu” al defunto, e con l’operatore a indugiare sulla ex scrivania di Aiazzone irradiata da un fascio di luce? Diretta televisiva tanto particolare da richiamare l’attenzione di Aldo Grasso nel suo “Il bel paese della Tv”? Come dimenticare le diverse soubrette lanciate da Nonno Ugo (Sabrina Salerno, Serena Grandi, Moana Pozzi, Carmen Russo) durante i suoi programmi, a metà tra il varietà, il surrealismo, e la pubblicità? O l’allora piccola Deborah Rossetti, ora apprezzata scenografa? Singolari strategie comunicative, tese a legare a doppio filo temi apparentemente lontani fra loro, come l’arredamento della casa, il rapporto con l’ultraterreno, le belle ragazze, gli status symbol. Triste ricordare la fine che accomuna molti dei personaggi citati: Wanna Marchi condannata per truffa, Guido Angeli scomparso dalla scena fino alla sua morte (2008), Aiazzone al centro di un gigantesco scandalo tra banche, finanziamenti e riciclaggio (con ex deputati socialisti a tessere le fila della diabolica macchina), Ugo Rossetti ritirato a vita privata dopo la caduta del suo Impero (adesso sulla Salaria possiamo trovare qualche capannone dismesso, un’insegna a ricordarci la Città del Mobile, qualche cane randagio e nula più). Vita ritirata, quella del Rossetti, giunta dopo un’improbabile avventura politica cercata tra le fila della Dc (guarda caso) e poi della Nuova Dc. Erano i primi anni novanta, l’inizio della fine scudocrociata. Brutta scelta per un segugio come Ugo, che forse avrebbe dovuto privilegiare il partito che più incarnava il suo mondo, quel Forza Italia di quel Silvio Berlusconi che tanto gli assomigliava. Quell’imprenditore che, nel giro di pochi anni, contribuì a raccogliere il testimone fino ad espandere a macchia d’olio la macchina dell’illusione, del paternalismo, dei regali, delle belle ragazze e dell’ultraterreno (“L’Unto dal Signore”). Un mondo che ci accompagna da sempre, ma che esplose proprio nel momento in cui la gente cominciava a non credere più a ciò che gli veniva detto. E allora, come insegnano i migliori latin-lover, se una donna non ci sta, conviene prenderla per la gola (nel senso culinario, è ovvio). O come raccontò lo scrittore armeno Gurdjieff: «C’era una volta un mago ricco ed avaro che possedeva moltissime mandrie di montoni. Non assoldava pastori né recingeva pascoli (perché troppo avaro). I montoni si disperdevano nei boschi, cadevano nei burroni, e, soprattutto, scappavano all’avvicinarsi del mago, poiché avevano sentore di ciò che egli voleva fare della loro carne e del loro vello. Cosicché il mago trovò il solo rimedio efficace: ipnotizzò i montoni e li convinse, per prima cosa ch’essi erano immortali, e che il fatto di scorticarli era eccellente per la loro salute. Poi, suggerì loro che egli era una buona guida, pronta a qualsiasi sacrificio per i suoi cari montoni, che non erano più montoni. A questi, infatti, inculcò che, lungi dall’essere montoni, essi erano leoni, aquile o perfino maghi. E così il mago visse senza preoccupazioni. I montoni rimanevano sempre aggregati in mandrie, ed andavano, con le loro stesse zampe, a farsi sgozzare e spellare…» A questo punto la domanda sorge spontanea: che sia arrivata la lenta, lentissima rivincita dei montoni? Oppure stiamo soltanto assistendo alla sostituzione del mago con un altro mago, più al passo coi tempi?

 

(Pubblicato su Gli Altri Settimanale dell’ 8 aprile 2011)



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