Tutto ciò che venne raccontato sugli ultimi giorni di Muhammar Gheddafi, e quello che è possibile comprendere senza averne tuttavia le prove, si trovano nel post Dossier Gheddafi. La vicenda tuttora in corso di Saif è oggetto di altri post classificati alla tag omonima .
Si nutriva in quello scorcio finale del 2011 la superficiale aspettativa che da un assassinio potesse nascere la democrazia. Sarebbe occorso “un po’ di tempo” poi il paese sarebbe rifiorito nella “libertà”. Nessuno si curò di definire il senso dato a questa parola da coloro che l’avevano pronunciata per mesi durante le interviste ai media stranieri.
Emerse, poi, che v’erano quelli che cercavano la libertà di fare business e altri per i quali era libertà di rivalsa per antiche rivalità stracittadine. C’era chi voleva la libertà di aprirsi maggiormente all’ Occidente, altri che volevano chiudersi nei dettami più arcaici delle tradizioni religiose o tribali.
Ad impedire l’emergere del dialogo concorse l’afflusso della diaspora arrogante, dei terroristi, degli emissari di paesi stranieri votati a curarne gli interessi, cui si oppose la resistenza di chi, rimasto in patria, mirava alla supremazia degli interessi locali. La pigra superba borghesia di Tripoli e l’ottuso localismo di quella bengasina, estranee fra loro, furono parimenti cieche sulle popolazioni del Sud che sempre più subivano infiltrazioni dei gruppi di Al Qaeda del Maghreb.
I libici erano diventati inconsapevoli d’essere un rissoso insieme di diverse storie ed etnie perché il regime di Gheddafi aveva steso una quarantennale parvenza di unione.
E’ stata, quella della Libia, la “primavera araba degli equivoci”.
Le spinte autonomiste sempre più forti della Cirenaica , di Misurata e recentemente del Fezzan, l’indipendenza della tribù Zentan che si oppone al potere giudiziario nazionale, la morsa delle milizie capaci di bloccare l’attività petrolifera e quella dell’Assemblea Nazionale stanno rivelando quanto sempre più evanescente sia il concetto di stato libico e quanto poco presenti siano nel sentire collettivo i limiti della libertà d’azione affinché non si realizzi nello strapotere dei più forti.
L’evento clamoroso delle ultime settimane è emblematico. Il sequestro del primo ministro Ali Zeidan è stato compiuto da una milizia “regolare”, che risponde al Ministro della Difesa, rivale di un’altra milizia “regolare”, che risponde al Ministro degli Interni. La motivazione del sequestro è altrettanto significativa: la vendetta. Gli Stati Uniti hanno catturato in territorio libico il terrorista Abu Anas Al-Libi, pezzo grosso di Al Qaeda. Zeidan si era dichiarato all’oscuro, aveva protestato e chiesto la restituzione del prigioniero per sottoporlo a processo in Libia. Contemporaneamente John Kerry dichiarava che il governo libico era stato preventivamente informato. In un caso o nell’altro, spicca un vuoto di potere nel cuore delle Istituzioni, oltre a una raffazzonata politica estera della presidenza Obama. (Per maggiori dettagli sul “personaggio” vedere. Zeidan e gli altri «bugiardi di guerra» che nessuno ricorda)
Si rivelarono nel 2011 anche gli equivoci sui quali si era adagiato Gheddafi, convinto di esercitare nel paese un ruolo “paterno”. Si accorse che alla sua politica africana gran parte dei libici era avversa, i fondi da lui destinati allo sviluppo continentale erano considerati un furto, la sua ricerca di un ruolo internazionale di spicco per la Libia era incompreso e la vita dispendiosa della sua famiglia nel jet set suscitava invidia e odio, non ammirazione.
Dovette rendersi conto, Gheddafi, che i capi di stato che gli tributavano omaggio non lo stimavano più di quanto facessero i loro predecessori negli anni in cui si architettavano attentati alla sua vita. Aver preteso il versamento di miliardi alle famiglie delle vittime dell’attentato Lockerbie era stato un modo per confermarne la responsabilità nonostante le inaudite falle dell’indagine e del processo contro Al Megrahi. Particolarmente bruciante deve essergli stata la delusione dall’amico Silvio Berlusconi, con il quale intratteneva rapporti fraterni, da Nicolas Sarkozy, la cui campagna elettorale aveva finanziato, e da Barack Obama, da lui definito “ figlio dell’Africa”.
Aveva voluto credere, nonostante la ragione gli suggerisse il contrario. Nel 2008 durante il vertice della Lega Araba a Damasco, ricordando anche la vicenda di Saddam Hussein in ottimi rapporti con gli Usa e poi nemico da abbattere, esortò gli stati arabi a unirsi nonostante le differenze e a diffidare della diplomazia degli Stati Uniti: i prossimi sarete voi disse e tre anni dopo gli Usa effettivamente abbandonarono gli autocrati alleati di Tunisia ed Egitto, Ben Ali e Mubarak che in quella riunione a Damasco risero delle parole di Gheddafi come di una battuta di spirito.
Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e profondo conoscitore della Libia, ha dichiarato a Il Manifesto : La Libia che abbiamo conosciuto non esiste più, si è «somalizzata», con l’aggravante che è una «Somalia» dall’altra parte delle nostre sponde mediterranee.
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