Il bisogno di una politica industriale… e di una classe dirigente internazionale!

Creato il 12 giugno 2013 da Fugadeitalenti

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C’è qualcosa che non torna, nell’ennesimo tormentone scatenatosi in Italia intorno al tema della disoccupazione giovanile. Leggiamo sui giornali di pacchetti già pronti, in vista del Consiglio Europeo di giugno e dei meeting comunitari di avvicinamento al summit (il primo a Roma dopodomani tra Italia, Francia, Germania e Spagna): si parla di forti decontribuzioni per i nuovi assunti, di stop ai paletti sui contratti a termine introdotti dalla Legge Fornero, di semplificazione dell’apprendistato, di maggiore e più incisivo ricorso ai fondi UE – questo solo per fare alcuni esempi.

Misure che possono essere considerate tutte assolutamente valide, ma concentrandosi sul particolare si rischia alla fine di perdere di vista il quadro generale.

Il quadro generale è quello di una politica industriale che va ridisegnata da zero. Dopo 20 anni di assenza di politica industriale, solo la messa in moto di una politica fortemente orientata all’innovazione e alla valorizzazione di settori che ci possono vedere competitivi può -automaticamente- creare posti di lavoro ad elevato valore aggiunto. Misure per i giovani, non inserite all’interno di un organico ridisegno dell’Italia come Paese produttivo, rischiano solo di divenire palliativi in grado sì di lenire i sintomi della malattia, rallentando però l’inevitabile agonia di un intero sistema-Paese. E’ dell’altroieri la notizia che la produzione industriale tricolore ha registrato ad aprile il 20esimo (ventesimo!) calo consecutivo. E’ evidente che è il nostro sistema industriale a non essere più al passo con i tempi, a livello generale. Troppi settori incapaci di competere sottraggono risorse utili a settori e aziende che invece innovano ed esportano, contro tutto e contro tutti.

E’ la questione più difficile da affrontare, che imporrà pesanti ristrutturazioni, con interi comparti che finiranno per estinguersi e finire fuori mercato: tuttavia, dopo 20 anni di inazione, l’unica cosa che resta da fare a un Governo serio è dirottare risorse, incentivi e sgravi sui settori più innovativi (siano essi web o tradizionali), fortemente orientati all’estero, con pesanti investimenti in ricerca e innovazione. Innovare per non estinguersi, questa deve essere la filosofia alla base di un’azione radicale dall’alto.

Innovare singifica anche abbandonare vecchie logiche e rendite di posizione. Torno ancora a ribadire che l’innovazione si esercita fin dall’istruzione e dalla formazione: un Paese che può vantare solo il 4% di studenti stranieri nelle sue università, non può permettersi polemiche e dibattiti su un’iniziativa sacrosanta quale quella del Politecnico di Milano, che ha imposto l’inglese come lingua esclusiva nelle lauree specialistiche e nei dottorati. La parte più retrograda e avversa al cambiamento del corpo docente dello stesso Politecnico ha fatto ricorso al Tar, vincendolo. Ora si è scatenata la solita guerra di ricorsi e controricorsi. A questi docenti “italianofili” l’unico messaggio che possiamo inviare è: ESPATRIATE! Non possiamo permetterci di avere autentiche -anacronistiche- zavorre quali il mondo che voi rappresentate. Il mondo ora è globale, i talenti circolano, e bisogna azzerare le barriere linguistiche che si frappongono al loro arrivo. Vi opponete al cambiamento perché siete voi fuori dal mondo. Uscite da questo Paese e andate a competere all’estero, se mai dimostrerete di esserne capaci…

E’ anche colpa di questa classe dirigente assolutamente inetta se i migliori giovani, quelli più aperti al mondo e al cambiamento, emigrano: l’ultima ricerca Datagiovani conferma quanto più volte sostenuto da questo blog. Il Nord Italia, la parte teoricamente più evoluta del Paese, rappresenta ora il maggior bacino di emigrazione. Il boom di disoccupazione in Emilia-Romagna e Lombardia, sostiene Datagiovani, si è accompagnato ad un boom di emigrazione da queste stesse regioni.

“Calcolando un punteggio, in base alle variazioni percentuali osservate per l’emigrazione e per il tasso di disoccupazione, sia a livello provinciale sia a livello regionale, ed assegnando all’Italia il valore 100 si nota che, non solo le prime 5 posizioni sono occupate da regioni del Nord e le ultime da regioni Meridionali, ma la differenza di punteggio risulta essere decisamente elevata: si va infatti dai 223 dell’Emilia Romagna e 211 della Lombardia ai 13 del Molise e 12 della Puglia. Questa distinzione emerge anche a livello provinciale: infatti, delle 60 province che assumono un punteggio superiore a quello nazionale, ben 42 appartengono a regioni del Nord, 13 al Centro e solo 5 sono nel Meridione.

LEGGI IL RAPPORTO DATAGIOVANI

Tempo di agire, insomma: nuova politica industriale, smantellamendo delle rendite di posizione, maggiore occupazione per i giovani… e maggiore circolazione dei talenti. Questi gli obiettivi di breve-medio periodo.

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