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Il blogger è un'anima delicata

Creato il 21 novembre 2010 da Lucas
a Galatea«A volte, quando penso agli uomini celebri, sento per loro tutta la tristezza della celebrità.La celebrità è un plebeismo. Perciò deve ferire un'anima delicata. È un plebeismo perché lo stare in evidenza, l'essere guardato da tutti infligge, a una creatura delicata, una sensazione di consanguineità esteriore con quelli che provocano scandalo nelle strade, che gesticolano e parlano ad alta voce nelle piazze. L'uomo che diventa celebre perde le sua vita intima: le pareti della sua vita domestica diventano di vetro; è sempre come se il suo abbigliamento fosse eccessivo; e quelle sue minime azioni – stupidamente umane alle volte – che egli avrebbe voluto invisibili, sono filtrate dalla lente della celebrità che ne fa delle spettacolari piccolezze, con la cui evidenza la sua anima si corrompe o si infastidisce. Bisogna essere molto grossolani per potersi tranquillamente permettere di essere celebri.E poi, oltre al plebeismo, la celebrità è una contraddizione. Mentre sembra che dia valore e forza alle persone, le svalorizza invece e le indebolisce. Un uomo di genio sconosciuto può godere della voluttà soave del contrasto tra la propria oscurità e il proprio genio e, pensando che sarebbe celebre se lo volesse, può usare come metro del proprio valore la migliore misura: se stesso. Ma, una volta noto, non è più in suo potre il ritornare nell'oscurità. La celebrità è irreparabile. Da essa, come dal tempo, nessuno torna indietro o si accomiata. Ed è per questo che la celebrità è anche una debolezza. Ogni uomo che meriti di essere celebre sa che non ne vale la pena. Permettersi di diventare celebri è una debolezza, una concessione al basso istinto […] di volersi mettere in mostra ed essere chiaccherato». [1915?]Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Adelphi, Milano 1979, Volume Primo, pag. 80-81. (trattasi della sezione Appunti sparsi firmata dall'ortonimo F.Pessoa nellatraduzione di Rita Desti).
Il blogger non mira alla celebrità. Forse cerca soltanto, nel gettare la sua rete di parole nella rete, di catturare qualche viandante che gli dica: ti riconosco, sei il fratello (l'amico, l'amante, il mentore) che cercavo. Il mettere in mostra i propri pensieri (le proprie letture, i propri versi) gratuitamente senza altro fine che il riconoscimento: in qualche luogo del mondo, al qualcuno che parla corrisponde un qualcuno che ascolta. Comunicare. Comunione. Unione. Datità dell'essere come punto di partenza per una conoscenza profonda tra esseri. Il blog come tabernacolo ontologico. Il pensiero-corpo del blogger mangiato quotidianamente. Compenetrazione di essere nell'essere. Mistero della rete. Ognuno di noi, in fondo, nella propria vita limitata o espansa, potrà realmente entrare in contatto, in comunione, solo con un numero più o meno limitato di suoi simili. Non è possibile ri-conoscere la moltitudine (ricordarsi la fine di Penteo non riconosciuto dalla madre Agave). Essere riconosciuto senza ri-conoscere il conoscente è plebeismo, grossolanità, iattura, tracotanza. E il blogger è anima delicata o non è. C'è già troppa propagazione di stronzaggine nel mondo, soprattutto quella che viene detta, urlata fregandosene del volto del lettore, dell'ascoltatore. Il blogger non parla alle piazze (televisive o non). Il blogger parla a uno, non a molti, perché ogni volto a cui parla può essere il suo.

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