Solo la parola Borneo porta alla mente immagini di una natura incontaminata, ostile all’uomo e lontana dalla civiltà. Ancora oggi, nel tempo in cui quasi tutto il mondo si è visto calpestato da piede umano, chi viaggia in direzione Borneo sbarca sempre con le aspettative più alte. E a buona ragione: le specie animali di questo ecosistema non esistono altrove, vi è più di un parco in cui incrociare più esseri in via d’estinzione nello stesso giorno è la normalità, e alcuni dei più ricchi patrimoni terrestri si possono esplorare ad ogni altitudine, dai parchi marini alle vette tra le più alte in questa regione.
E con questo spirito la nostra partenza per il Sarawak, nel Borneo malese, sembrava promettere bene. Ci si arma di scarpe da trekking e crema repellente per le sanguisughe, e con un zaino leggero si raggiunge Kuching, per dirigersi verso est, in direzione Sabah, passando dalla micronazione del Brunei. La scarsa organizzazione rende l’idea dell’avventura più vivida, e la ricerca di un territorio ancora rurale sembra essere lo sfondo perfetto per una storia che non vediamo l’ora di raccontare. Ma Kuching è uno schiaffo in faccia.
Costruita intorno al grande centro commerciale Parkson, la capitale del Sarawak è conosciuta come la città più pulita della Malesia. Le sponde di un fiume un tempo utilizzato per pesca e commercio, oggi si trovano piastrellate per formare il waterfront che vede alla sua estremità un alto edificio sul quale si legge, a lettere cubitali, l’insegna Hilton. Più ostelli offrono letti a caro prezzo in camere con aria condizionata e lenzuola pulite, impedendo anche ai più schizzinosi di utilizzare il sacco a pelo preparato per l’occasione. I mercati chiudono presto, e così i negozi. Kuching alle nove va a dormire, e in questa assenza di frenesia, atipica dell’Asia meridionale, è difficile evitare di chiedersi se si è veramente atterrati nel posto giusto. È questo il Borneo?
Si e no. Il boom dell’industria dell’olio di palma, oltre ai già presenti giacimenti petroliferi hanno arricchito questa regione in modo esponenziale negli ultimi anni e tra i luoghi raggiungibili dal turismo è difficile trovare un luogo rimasto indietro nel tempo come, a volte, si vorrebbe. L’archittettura è spesso moderna, lo street food non è largamente disponibile come la parte peninsulare del Paese e i trasporti funzionano alla perfezione. Tutto bene, se non fosse che proprio le grandi piantagioni di palme per la produzione di olio hanno cancellato buona parte di quella foresta pluviale che ha reso questo luogo celebre, e i National Park diventano le uniche aree realmente protette.
Da Kuching la prima tappa è il piccolo Bako National Park, uno dei parchi in cui è possibile vedere le Nasiche, le scimmie elefante native del Borneo. Il parco è facilmente esplorabile senza una guida, i percorsi sono ben segnati e in una giornata si ha abbastanza tempo per raggiungere le cascate dell’interiore e tornare per la barca che riporta al centro accoglienza. Troppo facile. Una passeggiata resa più semplice da passarrelle sopraelevate costruite sulle tratte più difficili rende il trekking un po’ noioso, ma non potendo giudicare da un parco così vicino alla città, scegliamo di avvicinarsi il più possibile all’interno, proseguendo con un autobus a Sibu, dalla quale è possibile risalire il Batang Rajang, il Rio delle Amazzoni del Borneo, fino a Kapit e oltre.
Questo fiume è forse l’unica via per raggiungere la parte interna del Sarawak senza ricorrere a tour organizzati oppure dover volare, ma anche qui l’intraprendenza non basta. Kapit diventa oggi, non si capisce bene perché, una destinazione di vacanza, e nonostante gli ottimi scorci sul fiume che viene inghiottito dalla verde foresta, sono i numerosi hotel e ristoranti a conduzione cinese a rendere questo villaggio allargato un luogo particolare. Le longhouses per le quali la maggior parte dei visitatori arriva qui non sono più le abitazioni tradizionali delle tribù dei headhunters, ma lunghi edifici costruiti in materiali moderni forniti di impianti satellitari. Soltanto quelle lasciate in piedi per i turisti si avvicinano a quelle utilizzate un tempo, ma forse sono proprio le lunghe case in cemento a rappresentare meglio come vivono gli abitanti del Borneo al giorno d’oggi.
Attraversadno il Borneo malese sull’unica strada che si possa chiamare tale, il primo parallelo che salta in mente è quello con Sumatra. Mentre qui ciò che manca è una cultura legata al luogo, e nelle moderne città ormai si vive ad un livello occidentale, a Sumatra l’infinita giungla che circonda ogni strada è ancora oggi cosparsa di piccoli villaggi fermi nel tempo, e seppure la foresta dell’interno è comparabile, in Sarawak sembra essersi perso l’equilibrio tra vita, natura, sviluppo e turismo. La vita dei locali non ha radici nell’ambiente circostante, la natura dipende dallo sviluppo e lo sviluppo dipende dalla natura, e il turismo è rilegato ad alcune riserve chiuse, chiamate National Parks, tenute in piedi solo per questo scopo.
Miri è la porta d’accesso a due delle attrazioni principali del Sarawak e di tutto il Borneo, il Mulu National Park e le Kelabit Highlands. Entrambi si presentano come luoghi unici nel loro genere, ma è proprio l’interesse sempre maggiore nei loro confronti che sta trasformando queste destinazioni in qualcosa di diverso da quello che sono. Piccole strisce d’asfalto sono state stese per costruire piste d’atterraggio nei punti più improbabili, e il modo più comune per raggiungere questi parchi è tramite un tour, o almeno una guida, e attraverso un costoso, sia a livello economico che ambientale, volo in aereo. Insomma viene quasi da pensare che se un luogo è difficilmente raggiungibile, forse, dovrebbe restare tale. Il villaggio di Bario rimane comunque una destinazione attraente, ma decidiamo di sfruttare il tempo che ci rimane per esplorare invece lo stato di Sabah, nell’oriente più ricco a livello ambientale, e lasciarci alle spalle questo Sarawak un po’ deludente.