È la beffa che i primi di dicembre ha servito alla giustizia Massimiliano Avesani, 50 anni, romano, conosciuto come «il Principe», fedele della cosca calabrese di Palmi, con aderenze nel mondo della mala romana, con le vecchie conoscenze della ex banda della Magliana e con il cassiere Enrico Nicoletti.
È un altro pezzo da novanta della criminalità organizzata che ha fatto perdere le sue tracce. È la grande fuga che ricorda quella di un altro boss dell'ndrangheta, Roberto Pannunzi, avvenuta nell'aprile 2010 sempre a Roma da Villa Sandra, nella zona di Villa Bonelli, lasciando di stucco investigatori e magistrati.
Avesani si è conquistato il soprannome di Principe facendo il broker globale della criminalità calabrese, accusato di trattare la gestione di enormi quantitativi di droga, cocaina dal Sud America e hashish dall'Africa, per conto della cosca che faceva capo a Candeloro Parrello dell'omonimo clan di Palmi e figlio del boss Gaetano (deceduto), che aveva diretto per anni la criminalità nella Piana di Gioia Tauro.
Nel 2006, con l'operazione Ibisco i carabinieri del Ros avevano ricostruito rete e traffici dell'organizzazione con le radici in Calabria e i suoi uomini a Roma, da dove certi affari si gestiscono meglio. Erano stati emessi 47 ordini di custodia cautelare. Avesani era in buona compagnia.
Tra gli indagati c'erano il capo Candeloro Parrello (nel gennaio 2009 preso dai Ros in strada a Montesacro), gli ndranghetisti Piromalli, Facchineri e Stassi, ma anche il notaio romano Renato Cervo, l'ex poliziotto Robeto Utzeri (della scorta dell'allora ministro degli Esteri Gianni De Michelis) e l'altro trafficante genovese Marco Torello Rollero.
Come pochi altri, Avesani era latitante.
A Montercarlo Avesani stava tentando di riciclare un milione e seicentomila euro spacciandosi per un'altra persona. Nel novembre successivo i giudici monegaschi avevano dato parere favorevole alla estradizione, avvenuta il 5 agosto 2009, quando a Ventimiglia è stato preso in consegna dalla polizia di frontiera e dai carabinieri del Ros che hanno condotto le indagini.
Giunto a Roma, Avesani era sorvegliato speciale, condizione nella quale è rimasto per due anni: a una certa ora della sera doveva rientrare nell'abitazione, con l'obbligo di rendersi disponibile alle verifiche delle forze dell'ordine.
I primi giorni di dicembre, a ridosso della decisione della Cassazione, il mafioso ha avuto le informazioni giuste, ha saputo della condanna e si è reso irreperebile.
Quando i poliziotti che lo avevano in custodia sono andati a casa per prelevarlo e portarlo in carcere, lui non c'era più. Il nome di Avesani non è ancora finito nella lista degli irreperibili. Dovranno essere i magistrati a dichiararlo latitante. Di fatto già lo è.
(Fonte Il Tempo)