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Il braccio elettronico: cambi a convertitore di coppia

Creato il 30 aprile 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online
Il braccio elettronico: cambi a convertitore di coppia apr 30, 2014    Scritto da Matteo Ferraro Pelle    Attualità, Motori, News, Tecnologia 0

Il braccio elettronico: cambi a convertitore di coppia

L’era del cambio automatico si è intrufolata di prepotenza nel nostro mercato europeo, che per tanti anni lo ha ripudiato. Come abbiamo visto la scorsa volta le controindicazioni a questo automatismo sono diventante minime, mentre i vantaggi crescono esponenzialmente.

Generalmente parliamo di “cambio automatico” come se fossero tutti uguali ma, in realtà, le differenze sono molte e lasciano spazio ad una giungla di soluzioni fuori dagli schemi.

Per prima cosa possiamo dividerli in 4 “macro-categorie”: gli automatici tradizionali o a convertitore di coppia, gli elettroattuati (definizione valida per altre tipologie, ma ormai usata solo per le trasmissioni a frizione singola), i doppia frizione e quelli a variazione continua o CVT.

Il cambio a convertitore di coppia è stata la prima soluzione a funzionare bene, nella linea cronologica dell’evoluzione delle auto. Mentre il suo utilizzo è semplice ed intuitivo, il funzionamento può essere tremendamente complesso. Iniziando con le cose più “curiose”, questo sistema non richiede un collegamento meccanico tra motore e ruote: la funzione di trasmissione della potenza è svolta dal convertitore di coppia che, nelle sue versioni più semplici, non è altro che una coppia di “ventole” affacciate tra loro, che girano nell’olio; la rotazione della prima viene trasmessa alla seconda per mezzo del moto dell’olio e della sua viscosità. Nelle versioni più moderne c’è anche un sistema di bloccaggio per evitare tutti i “trascinamenti” che caratterizzano questa soluzione e che hanno sempre causato enormi perdite di potenza e un consistente incremento dei consumi. Dopo il convertitore di coppia si nasconde un abisso di circuiti idraulici con valvole che costituiscono i veri e propri “muscoli” del cambio e permettono la selezione dei rapporti. Questi, invece delle classiche ruote dentate a cui siamo abituati, sono prodotti attraverso una sequenza di ingranaggi epicicloidali (ovvero a solari e planetari) attuati attraverso dei pacchi di frizioni idraulici. Comprenderne a pieno il funzionamento è difficile anche avendone uno smontato sotto il muso, tuttavia, per i nostri scopi, l’importante è afferrarne le caratteristiche peculiari: sia il collegamento col motore che l’innesto delle marce è un effetto diretto dell’olio, questo implica che i “cambi a convertitore” sono impareggiabili per la dolcezza nel funzionamento (le migliori esecuzioni non permettono di avvertire la cambiata se non guardando il contagiri), ma ultimamente si riesce anche a dargli la cattiveria necessaria per un uso sportivo, attraverso la gestione del blocco del convertitore e un controllo certosino dei circuiti idraulici. Come se questo non bastasse, gli ingranaggi epicicloidali permettono grande libertà nella gestione del numero di rapporti di trasmissione, senza eccessive complicazioni. E, ultimo ma non ultimo, c’è l’estrema semplicità nell’inserire un motore elettrico prima del convertitore per ottenere un’auto ibrida.

Il fiore all’occhiello di questa tipologia è sicuramente lo ZF ad 8 marce, adottato da molti marchi premium come BMW e Jaguar. La raffinatezza della gestione permette di ottenere grande comfort e tanta cattiveria, in base al programma selezionato e la vastità di marce riesce a coniugare consumi contenuti ad accelerazioni brucianti.

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