Immaginate una città sorta dal nulla in brevissimo tempo. Fatta su misura come un abito di sartoria. Ogni palazzo, ogni strada, ogni spazio verde accuratamente progettato per trasmettere una sensazione di armonia. Una città nuova di zecca e completamente vuota. Questo era Brasilia, la capitale edificata in mille giorni. Oppure provate a immaginare case costruite interamente su zattere che formano vere e proprie città galleggianti. Pensate ad un territorio dove la popolazione si ammassa sulle coste, lasciandosi alle spalle un entroterra quasi disabitato come il selvaggio Mato Grosso dove le montagne tendono a spuntare nei luoghi meno opportuni e scorrono fiumi poderosi come il Rio Negro dalle acque scure. Queste sono solo alcune delle realtà descritte da John Dos Passos in Sulle vie del Brasile (Brazil on the Move), edito da Donzelli Editore e tradotto da Nello Giugliano. Esponente di primo piano della Lost Generation, critico, attivista, volontario durante la Prima guerra mondiale, ma anche giornalista e instancabile viaggiatore. È proprio da un suo reportage per la rivista americana Life che prende forma Sulle vie del Brasile, pubblicato per la prima volta nel 1963 e destinato a essere uno dei lavori meno conosciuti di John Dos Passos, autore prolifico che annovera tra le sue numerose opere alcuni capolavori della letteratura americana tra cui Manhattan Transfer (1925) e la cosiddetta trilogia USA che comprende i romanzi Il quarantaduesimo parallelo (1930), Millenovecentodiciannove (1932) e Un mucchio di quattrini (1936). Dos Passos si affermò come profondo conoscitore della società americana e nei suoi romanzi ne mise in luce le falle e le disuguaglianze, ma nel corso della sua vita varcherà spesso i confini della madrepatria per esplorare altri paesi, tra cui Portogallo, Messico, Russia, Brasile e l’Isola di Pasqua (i quali gli forniranno materiale sufficiente per scrivere diversi libri di viaggio). Un rapporto speciale lega inoltre Dos Passos al Brasile, come lui stesso sottolinea nel volume: «Non posso fare a meno di sentire una certa familiarità verso i brasiliani. Forse anche perché mio nonno era portoghese. Quando qualcuno mi chiede perché voglio sempre tornare in Brasile, rispondo che in parte perché il paese è davvero immenso, ancora selvaggio, e a volte mostruosamente bello, ma soprattutto perché lì mi sento più a mio agio tra la gente».
Il Brasile, che è l’unico paese di lingua portoghese nelle Americhe, ha una cultura che si distingue rispetto al resto delle nazioni ispanofone che lo circondano ed è in grado di affascinare non solo turisti e viaggiatori, ma anche scrittori: infatti, ha fatto da sfondo a diversi romanzi e racconti e sono stati proprio i suoi scorci descritti in Ecco la storia di Daniel Pennac (dove il Brasile degli anni Settanta fa da cornice al racconto) ad incuriosirmi e a spingermi ad acquistare l’opera di Dos Passos. Chiaramente il libro non è un romanzo nel senso letterario del termine in quanto non c’è una trama vera e propria. Gli eventi narrati sono quelli vissuti dallo scrittore durante i tre viaggi che compì tra il 1948 e il 1962 in un Brasile agli albori del suo sviluppo economico, politico e culturale. L’autore è testimone dei cambiamenti rapidi che in pochi anni trasformano il Brasile in una nazione proiettata verso il futuro che avanza imperterrita verso l’industrializzazione nonostante gli ostacoli costituiti dall’iperinflazione, la minaccia costante di golpe e la povertà in cui versa ancora buona parte della popolazione. Le favelas, il lento processo di alfabetizzazione, la costruzione di strade e ferrovie nel tentativo di rendere unito un territorio immenso (il Brasile occupa circa la metà del Sud America) sono raccontati attraverso incontri e conversazioni con personaggi chiave dell’epoca e con gente comune; e se le descrizioni di paesaggi suggestivi e inusuali non mancano, i veri protagonisti sono i brasiliani, che, come viene osservato nel volume, sono la vera fonte di ricchezza del paese. Sono passati circa cinquant’anni dalla prima edizione del libro e sono cambiate molte cose (e altre sono rimaste uguali), ma mi sento di consigliare questo Sulle vie del Brasile non solo a chi volesse approfondire la conoscenza di un paese che troppo spesso viene ridotto a stereotipi, ma anche a chi piace viaggiare sdraiato comodamente sul divano.