Il brigante

Creato il 21 maggio 2015 da Libereditor

In montagna il temporale fa paura, più che nelle campagne. Piove a scroscio da un paio d’ore, l’acqua cade giù come una maledizione. La notte avanza a strattoni, gli animali si spaventano. Poco prima del tramonto un’ombra sale verso la cima boscosa del monte, con un sacco sulle spalle. Avanza a fatica scavalcando le pietre che spuntano dal terreno muschioso, evitando cespugli e rocce. Cammina sotto le chiome di alberi altissimi e dritti, con i rami appesantiti dall’acqua. Un mare d’acqua, come non si vedeva da mesi. Il muschio, bagnato e caldo per il sole del giorno, manda attorno un odore di vita e di morte che stordisce. Le foglie marce sanno di orina e di putrefazione. I lampi aiutano il cammino, i boati dei tuoni si rincorrono nel cielo. Sulla collina di fronte un fulmine ha incendiato la cima di un albero, e la pioggia stenta a spegnere le fiamme. Un uccello canta disperato, lassù in alto, forse protetto da un grosso ramo.

Nel cuore dell’Appenino toscano, in una notte scura di burrasca, quattro uomini si trovano in una taverna attorno a un tavolo e si stanno raccontando delle storie.
In un angolo in disparte dorme (o forse è lì fermo che ascolta) Frate Capestro, brigante leggendarioÈ lì solo e sembra riposare, forse perché quella locanda è zona franca, appartata e libera, lontano da tutto e da tutti.
I quattro uomini raccontano le loro storie di miseria, lotta, violenza, amore e Frate Capestro li ascolta immobile, coricato davanti al camino.
La scrittura di Marco Vichi lascia al lettore il gusto dell’immaginazione e suggerisce magiche connessioni, appassiona e coinvolge. Sembra davvero di essere lì, di sentire l’odore della legna bruciata, il sapore del vino, il suono della pioggia e dei tuoni, il calore della pipa nella mano.

Marco Vichi, Il brigante, Narratori della Fenice, Guanda 2015.


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