Prima ancora di adesso, stavo pensando ad una cosa in particolare, che dopo di prima ancora di adesso ha preferito andare a nascondersi nel subconscio della mia mente. In questo caso le vie di fuga sono due: o ti rimbocchi le maniche e cominci ad operare come in sala parto per cercar di tirar fuori ciò che si ostina a non uscire; oppure – tentativo meno efficace – cominci a giocarci a nascondino. E alla fine della corsa, o ti butti a terra stremato, oppure scegli la via chirurgica di bisturi e tampone.
Proprio con buone e gustose ragioni un giorno ebbi uno strano risveglio.
Un giorno di quelli in cui ti alzi col piede giusto – esattamente con il sinistro se decidi di scendere dal lato sinistro del letto, e con il destro se preferisci scendere dal lato opposto – ed anche il caffè è quello giusto. I due cucchiaini di zucchero si sgranellano ammodo dentro la tazzina, e la marmellata si spalma sulla fettabiscottata in maniera uniforme quasi come a riempire delle crocette appositamente preindicate. E quasi come in una fiction, dopo aver consumato con gusto la tua colazione, ti alzi da tavola senza far rumoreggiare la sedia che dopo aver compiuto l’azione si accomoda composta sotto al tavolo senza disturbare le altre cinque sedie. Il sole, anche lui, sembra aver firmato lo stesso contratto della colazione: ti accarezza dolcemente e ti soffia addosso un pò di vento nel momento in cui i tuoi polmoni si attivano all’atto di inspirazione. Espiri e respiri come se il tuo copro avesse il bisogno respresso di prender aria da circa una ventina di anni. Il cielo collabora, e ti fa sentire a tuo agio, proprio come un massaggiatore giapponese… prima di darti un colpo di Shiatzu! E le giornate cominciano così, ti accarezzano, ti corteggiano, e subito dopo ti scaraventano a terra. Ti rinfacciano l’aria che ti hanno precedentemente donato, facendotela sputare fino all’ultimo respiro estremo di saliva e succhi gastrici.
Perchè certi giorni non è vero che si guardano al risveglio, a volte il mattino tarda. Oppure siamo noi a volerci tirare in piedi troppo presto, partoriamo pensieri con forza, pretendendo che anche il giorno faccia lo stesso. Vogliamo abituarci. Abituarci all’inettitudine, ricercando il bello nell’ideale, e viceversa. In questo modo vogliamo scartare il brutto in maniera razziale e definitiva.
Ma nei nostri progetti qualcosa non va: stiamo realizzando qualcosa di bello, da cui potrebbe nascere qualcosa di opposto. Oppure la nostra collaborazione con il brutto pensiero è già in atto, e non ce ne siamo accorti.