Monica è la proprietaria della maggioranza delle azioni di una grossa industria, la Erozonas, che ha come presidente il marito di Monica, Federico.
Quest’ultimo ha un passato molto oscuro;tradisce la moglie con una fotomodella bisessuale, Eva, che mantiene contemporaneamente una relazione saffica con Elena a sua volta amica di Monica.
In questo ristretto ambito le gelosie hanno quindi modo di crescere esponenzialmente ed un giorno è proprio Elena, gelosa della sua amante, a rivelare a Monica la relazione adulterina di Federico.
Messo alle strette dalla moglie, Federico confessa ma giura a Monica di poter ritornare l’uomo di una volta e la moglie, pur non persuasa del tutto, acconsente a concedergli una nuova chance.
Federico parte per un viaggio di lavoro ma a Monica capita di essere aggredita da un uomo armato nella villa in cui vive isolata dalla città.
La donna spara al misterioso aggressore e in contemporanea arriva Federico che, caricato il cadavere dell’uomo in un auto con l’aiuto di Monica occulta il corpo in un laghetto.
Ma per Monica le brutte sorprese non sono finite: una misteriosa telefonata la fa recare in casa di Eva dove scopre con orrore la morte sia della fotomodella che della sua amante Elena.
Le due amanti: Karin Schubert (Elena) ….
… e Barbara Rey (Eva)
Grazie all’aiuto di Arturo, socio in affari del marito, Monica che è convinta sempre più che dietro l’aggressione e la morte delle due donne ci sia suo marito, affronta Federico.
Ma è davvero lui il colpevole?
Il cinema spagnolo degli anni 70 ha per molto tempo imitato i modelli di altri paesi, in particolare per quanto riguarda i gialli/thriller proprio l’Italia; questo La muerte ronda a Mónica, tradotto quasi letteralmente in italiano con Il buio intorno a Monica è una pallida, sbiadita imitazione dei gialli lenziani a cui deve più di un. tributo.
Il guaio, o meglio, i guai, iniziano da subito perchè per tre quarti di film assistiamo solo a dialoghi abbastanza piatti e a scene in cui predomina l’inazione, con la conseguente narcosi che coglie lo spettatore distratto solo dalla generosa esposizione dei corpi delle quattro protagoniste femminili tutte generosamente spogliate dal regista Ramón Fernández.
Sorpresa: una doccia…
Il film senza sussulti si trascina stancamente fino alla sorpresona finale, che poi tanto sorpresa non è in quanto le tre morti riducono al lumicino i sospettati e facendo due conti scoprire l’identità del colpevole è un gioco da infanti.
A proposito del finale, c’è da dire che se la sceneggiatura è quanto di più anonimo e piatto si riesca a produrre, il finale dicevo lascia allibiti per la cialtroneria che lo distingue.
Ennesima doccia…
Vediamo il famoso colpevole fuggire dalla villa di Monica e scappare nel prato della stessa, finendo però per trovarsi circondato da auto della polizia, mentre un fotogramma buio ci informa che il film è finito.
Poichè la cosa arriva dopo 90 minuti di tedio e di sbadigli, si può dire che arrivi a fagiolo e che liberi lo spettatore dalla noia che lo ha attanagliato fino a quel punto.
Nel film per tre quarti ci sono solo dialoghi, qualche blanda scena erotica e qualche nudo affidato alle protagoniste ovvero Karin Schubert (Elena), Nadiuska (Monica, la protagonista) che in alcuni momenti ricorda nelle fattezze del viso una giovane Sofia Loren e infine la bionda Barbara Rey che riveste i panni (pochissimi e succinti) di Eva.
Gli omicidi avvengono in sordina, segno inequivocabile di mancanza di fantasia e di padronanza della MDP; del resto il prode Fernandez da noi è conosciuto per il lacrima movie Luca bambino mio e per il decamerotico Metti le donne altrui ne lo mio letto…
Insomma, un filmetto dozzinale come ce ne sono stati tanti negli anni settanta, forse troppi anche se va detto che con 10.000 pellicole uscite in un decennio nel nostro paese c’era sicuramente da aspettarselo.
Il cast vivacchia in attesa di tempi migliori; il buon Jean Sorel ormai oltre i 40 anni sembra imbolsito e privo di reazioni, mentre l’unica a recitare su livelli accettabili è la bella Roswicha Bertasha Smid Honczar,che scelse per motivi di opportunità visto il cognome impronunciabile il nome d’arte di Nadiuska.
L’attrice tedesca sembra prendere sul serio la sua parte e da brava professionista eleva di una spanna il suo personaggio sugli altri.
Film quindi decisamente evitabile, con atmosfere quasi languide e poco adatte ad un giallo/thriller, cosparso di nudità femminili che appaiono sospette; il regista, a corto di idee, propina tre docce e un bagno in vasca, emulando anche in questo uno dei pilastri di alcune commedie sexy all’italiana, ovvero le docce della bellissima Fenech.
Il buio intorno a Monica
Un film di Ramón Fernández. Con Jean Sorel, Karin Schubert, Barbara Rey, Sandra Alberti, Nadiuska Titolo originale La muerte ronda a Monica. Giallo, durata 89 min. – Spagna 1976
Nadiuska … Mónica
Arturo Fernández … Arturo
Jean Sorel … Federico
Karin Schubert … Elena
Damián Velasco … Diego
Barbara Rey …. Eva
Isabel Luque … Trini
Yelena Samarina … María, cameriera di Monica
Luis Barboo … Isidro
Regia: Ramón Fernández
Sceneggiatura: Juan José Alonso Millán
Produzione: Ramiro Gómez Bermúdez de Castro
Musiche: Adolfo Waitzman
Editing: José Antonio Rojo
Ennesimo pallido thrillerino morboso alla Lenzi, dove nonostante i presunti complotti di famiglia ed i ripetuti colpi di scena (concentrati quasi tutti nella parte finale) la noia regna sovrana ed incontrastata a causa di un plot narrativo visto migliaia di volte e quindi per forza di cose prevedibile ed incapace di sorprendere. Consigliato solo agli amanti sfegatati del genere.
Giallo spagnolo con venature morbose, alla Umberto Lenzi. Difatti gli intrighi e i complotti si sprecano, così come i full-frontal delle protagoniste. Vi sono anche scene lesbiche. In sostanza è un gialletto senza infamia né lode; non un capolavoro, certo, ma neanche una schifezza. Una visione gliela si può dare.
Il thriller anni ’70 in salsa andalusa: risultato poco convincente. Prima parte ordinaria, situazioni deboli, qualche pennellata saffica. Poi iniziano i misteriosi omicidi, l’attrice Deniuska (che in Spagna conta molti fan) che diventa tarantolata e anche qualche momento ilare tipo i cadaveri penzolanti. Il massimo del trash viene raggiunto nel finale con la comparsa degli ispettori di polizia (sembrano una band musicale) e la fuga dell’atleticissimo conte.
Regia misera, fotografia da vergognarsi, erotismo becero softcore tipico di certi cinema degli anni settanta e apprezzabile solo da chi ama sbandierare la propria eterosessualità. Jean Sorel sprecato, qualche buona sequenza azzeccata, ma nel contesto sembra un fotoromanzo trasmesso da qualche rete privata della Lombardia.