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"Il buongiorno del mattino" (Morning Glory) è una commedia che ricalca con poche variazioni personaggi e situazioni di un campione del genere come “Il diavolo veste Prada”: anche qui c’è una giovane di belle speranze alle prese con un moloch lavorativo; anche qui il mondo si divide in buoni e cattivi senza alcune sfumature e la televisione come la moda risulta allo stesso modo affascinante e crudele. Se poi il punto di vista del film corrisponde a quello di un personaggio la cui centralità è il frutto di una scelta soggettiva piuttosto che meritocratica, Becky come Andrea la segretaria di Miranda Priestly è una pedina del sistema valorizzata da un primato assegnatole dall’esterno piuttosto che da un evidenza desunta dal contesto in cui opera dove invece la palma del primato spetta ad altri, allora le analogie diventano quasi imbarazzanti.D’altronde muovendosi in una situazione di rimozione generale che riguarda tanto gli aspetti del reale, ripulito di qualsiasi complessità, che quelli individuali, condizionati da pulsioni sessuali continuamente represse se non completamente assenti, la Commedia puritana pur mantenendosi attaccata alle proprie tradizioni nella costruzione delle sue storie, con la solita dialettica tra personaggi antitetici che finiranno per amarsi, e nei dialoghi, controllatissimi anche laddove si vorrebbe far credere il contrario, tenta di risollevarsi adottando un format intergenerazionale contente vecchie volpi come Harrison Ford e Diane Keaton, bloccati una recitazione così legnosa da contribuire non poco all’insuccesso del film, e nuove leve dello star system hollywoodiano come Rachel Mc Adams, in odore di santità per la partecipazione con un ruolo importante al nuovo film di Terrence Malik e qui impegnata ad interpretare un concentrato di virtù così esagerato da risultare incredibile persino ai fans più sfegatati.
Un tentativo destinato a riuscire quando le Muse ispirano i propri adepti (è il caso del Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato o della Streep nel ruolo della perfida Miranda Priestly ), ma il più delle volte semplice stratagemma per ampliare la fascia d’età dei possibili fruitori. E questo è appunto il caso di "Morning Glory", titolo dello show televisivo che fa da sfondo ad una vicenda incentrata sui tentativi di una giovane produttrice di evitare la cancellazione di quel programma, gravemente condizionato dalla scarsa attitudine di una vecchio giornalista costretto alla conduzione da una clausola contrattuale scovata dall’instancabile ragazza e deciso per questo a vanificarne gli sforzi. Monopolizzato dal conflittuale rapporto tra i due contendenti ed alleggerito dagli interventi semiseri degli altri comprimari, ivi compresi quelli di una Diane Keaton fortemente declassata da una sceneggiatura che riduce il suo ruolo ad un nulla rumoroso, il film si mantiene sulla superficie delle cose, promuovendo un etica del lavoro fintamente criticata ma in realtà consolidata in una progettualità matrimoniale che nella scena conclusiva di chapliniana maniera trova la sua triste apoteosi, e riducendo la televisione e le sue liturgie ad una serie di aneddoti, a volte divertenti a volte fastidiosi, che accompagnano la querelle al risaputo lieto fine. Ultimo esempio di un genere fortemente in crisi, (ancora peggio ha fatto Albert Brooks con lo sconcertante "Come lo sai?") il film diretto da Roger Michell segna un altro passo a favore di quelle produzioni concorrenti che pur segnalandosi per la loro arroganza verbale ed una certa sciatteria riescono però a dialogare con il proprio pubblico costruendosi una precisa identità, esattamente il contrario di quello che avviene in "Morning Glory". (pubblicato su ondacinema.it)
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