Nanni Moretti, da anni, strombazza ai quattro venti la necessità di un cinema cosciente, in grado di guardare ai temi socio-politici con scopi catartici. E il suo, manco a dirlo, a detta tanto dello stesso Moretti, quanto di certa critica, è il cinema ideale, quello più lucido, il più originale, "il più" in generale. Fatto fuori il proprio alter ego Michele Apicella e tralasciando la parentesi de La stanza del figlio, dagli anni '90 Moretti ha dato corpo a delle opere che a suo modo e con uno stile tutto personale - ma che in fondo non è tanto diverso da quella commedia all'italiana che sin da Io sono un autarchico dichiara di odiare a morte - si propongono di analizzare la società, le dinamiche politiche, la crisi di identità, di valori e d'ideali. Una sorta di (ma anche no!) nuovo Pasolini. Sfortunatamente, quest'ultimo è morto senza lasciare eredi e Moretti è il sotto-prodotto di un cinema che tenta disperatamente di essere diverso, pur essendo "più uguale degli altri". Se, difatti, bastasse mostrare esempi di malcostume per essere considerati lucidi ed esperti conoscitori della realtà italiana, dovremmo seriamente rivalutare Neri Parenti e considerarlo il miglior antropologo attualmente in circolazione.
Il caimano rappresenta il totale fallimento della capacità di analizzare e comunicare in maniera convincente. Non punge, non affonda e, cosa peggiore, non spiega. In primis, nella storia di cornice, recupera un cliché, quello delle difficoltà di lavorazione di un film, che da 8 ½ di Fellini ed Effetto notte di Truffaut è trito e ritrito affidandosi ad una storia di relazioni pericolanti tra personaggi patetici e divorati dalle nevrosi, con un Silvio Orlando che spacca il capello in quattro e tenta di reggere le sorti del film pure quando condivide la scena con una Margherita Buy fastidiosamente assente (si segnala anche una serie di inutili camei, quali quelli di Paolo Sorrentino e Tatti Sanguineti). Poi, cosa ancora più grave, in quelle occasioni che gli sono concesse per parlare del tema principale, ossia l'Italia berlusconiana, non lo fa. Si ritira all'angolo come un pugile timoroso e assiste dalle corde, affidandosi unicamente alle apparizioni macchiettistiche di un Berlusconi intepretato da Elio De Capitani, ad un altro incarnato da un Michele Placido che sembra capitato lì per caso, ad immagini di repertorio (Berlusconi vs Schulze) e infine ad un processo con Moretti nei panni di Berlusconi. E anche qui, dove più il tafano dovrebbe pungere, si ha la dolorosissima impressione che non vi sia alcuno sforzo nel raccontare una delle pagine drasticamente più importanti dell'Italia degli ultimi trent'anni. Almeno su una cosa, però, Moretti era stato sincero: non è un film su Berlusconi. Ottimo. I guai cominciano quando ci si rende che non è nemmeno un film su berlusconismo e antiberlusconismo. Manca il martellante introdursi della televisione nelle case degli italiani (soltanto accennato), mancano i volti della gente "invaghita" del fenomeno mediatico, manca la degenerazione sociale e l'appiattimento politico del paese, manca quell’Italietta cui allude il produttore (Jerzy Stuhr) fatta di arrivisti, arrampicatori sociali pronti a prendere la scorciatoia, di puttane, corrotti, raccomandati, di moralisti della domenica, di intellettuali da salotto, di nani e ballerine, di politicanti da strapazzo, di giornalisti “giornalai”… insomma manca l’Italia nella quale agisce il “caimano”, manca lo psicotico e grottesco teatro fatto di paranoie, apparizioni patinate e sterile opposizione che ha contraddistinto tutta la parabola berlusconiana, mancano toni veramente feroci ad una satira morta che non riesce in alcun modo a mettere alla berlina. Mancano persino la protesta e l’impegno civile d’opposizione: Teresa, interpretata da Jasmine Trinca, è l'unica che praticamente la incarni, ma assume i toni di un angelo scolorito che ripete le stesse frasi e gli stessi concetti senza nemmeno troppa convinzione e non regge l’allegoria della gioventù senza speranze, non quando si assegna ad un simile personaggio il compito di fare da “grillo parlante”. Si arriva, com'è e come non è, alla scena finale, quella del processo a Berlusconi, l'unica che Bonomo riesca a girare, oltre che l'unica che conferisca un po' di dignità a questo prodotto: nell'attacco di Moretti/Berlusconi alla magistratura e la protesta finale con tanto di lancio di bombe carta contro il tribunale, si scorge quel pizzico di ferocia e di lucidità che era mancato per tutto il film, laddove finalmente il grottesco personaggio è messo a nudo nella sua viscidità e nella noncuranza della sfida perenne alle istituzioni che pretende di rappresentare. Ma si ripete: è un eco nel nulla. Non bastano 9 minuti per considerare brillante quella che è la tortuosa operazione di un regista che continua a considerarsi il migliore in circolazione, ma tratta un argomento tanto importante da immaturo, facilone, imborghesito. Il caimano è vuoto, mancante tanto nella parte destruens, quanto nella costruens, non ha nulla da offrire al suo pubblico, neanche un serio spunto di riflessione. In poche parole, proprio il Moretti che accusava D'Alema in "Aprile", non riesce a dire niente che sia "de sinistra". Lo pseudo-intellettuale che fa appello all’impegno sociale di una vecchia gloria come Gian Maria Volontè (il “principe” degli attori di sinistra) è un piccolo borghese come tanti confinato nella propria immensa presunzione, egoismo e mediocrità. Non vale più nemmeno la scusa dell’auto-ironia. Sul banco di prova, il re è nudo. E non basta la cricca compiacente dei suoi fan a coprirlo.
di Pippo Di Mauro
Regia: Nanni Moretti
Cast: Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Michele Placido, Jerzy Stuhr, Nanni Moretti
VOTO: **