Non ci siano dubbi (…) sulla nostra felicità per la scelta del nostro Paese come sede di questa grande manifestazione calcistica nel 2014. Questa felicità, però, non ci può annebbiare la vista davanti all’abisso che ci separa dalle condizioni necessarie per aver meritato questa designazione. (…)La mancanza di condizioni è stata evidente sin dai primi passi per la candidatura del paese e, a partire da oggi, sarà evidente per quanto riguarda l’organizzazione di questo mega evento. Dando uno sguardo ai vertici che minacciano di mettersi a capo di questo processo, è possibile anticipare il futuro: l’appropriazione dei beni comuni, la personificazione maliziosa di estese iniziative sociali, la preponderanza di interessi indegni e illegittimi a proprio vantaggio o del proprio gruppo ristretto di persone e la difesa del piccolo potere eterno che caratterizza queste pratiche nel mondo del calcio.
Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, meglio noto come Sócrates
Il commento rilasciato da Sócrates nel momento in cui la FIFA ha ufficializzato l’assegnazione dei Mondiali 2014, sembra adatto anche ad altre recenti manifestazioni sportive. Basti pensare a Pechino 2008, ai Mondiali in Sudafrica del 2010, alle Olimpiadi Invernali di Soči. Il Brasile, in particolare, si è visto assegnare ben due grandi eventi, i Mondiali 2014 e le Olimpiadi 2016, rispettivamente nel 2007 e nel 2009. Ma perché? Scordiamoci la visione romantica del futebol bailado o della tradizione sportiva, siamo costretti a parlare di soldi. E a mettere in luce soprattutto (se non esclusivamente) le criticità che l’organizzazione di un Mondiale reca con sé nel mondo dell’economia globale finanziarizzata.
Sviluppo a tutti i costi. Durante il secondo mandato presidenziale di Luiz Inácio Lula da Silva (2006-2010), non si fa che parlare della percentuale di crescita del Brasile, che ha permesso al paese sudamericano di celarsi sotto la B dell’acronimo BRICS,[1] e della gran quantità di investimenti governativi, culminati con la PAC, un progetto monstre di “accelerazione economica” diviso in due fasi, che hanno previsto enormi stanziamenti di fondi per infrastrutture nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’edilizia, dell’acqua e dell’elettricità. Si parla di 503,9 miliardi di Reais, quasi 200 miliardi di Euro, tra il 2007 e il 2010.
Parallelamente, Lula ha anche avviato una politica di welfare al limite dell’assistenzialismo, mirata alla parte più povera della popolazione brasiliana, all’insegna del mito della deproletarizzazione delle classi meno abbienti. Tramite incentivi economici, insomma, è stata creata una classe media (fino a quel momento perlopiù assente), allargando il numero di potenziali consumatori, con tutto ciò che ne conseguirà in termini di inflazione, contraddizioni sociali e prezzo dello sviluppo.
Questo scenario macroeconomico, che sembrava trascinare il Brasile fino a diventare la quinta economia mondiale, non è di certo sfuggito alla FIFA e al suo tentacolare plenipotenziario Joseph Blatter. Certo, la decisione di affidare la manifestazione alla Confederazione del Sud America (la Conmebol) è stata presa nel 2003 e quattro anni dopo, al momento della scelta finale, il Brasile è rimasto l’unico candidato. E poi il Brasile è la “patria del calcio”. Ma la decisione del 2003 è conseguenza di un vincolo sulle candidature introdotto dalla stessa FIFA, un vincolo che porterà la kermesse in Africa nel 2010, non a caso nel paese che si cela sotto la S del già nominato BRICS. Come fare a non sospettare allora che la nuova norma sia stata pensata per arrivare con più facilità a mercati in evoluzione, alla faccia delle eventuali tradizioni calcistiche? Qatar docet.[2]
Le infrastutture. Inizialmente la FIFA prevede che le città ospitanti siano da otto a dieci, ma i governatori dei vari stati non contemplati iniziano a fare pressioni alla Federcalcio brasiliana, che chiede e ottiene di alzare il numero a dodici (come a Italia ’90). Ciò corrisponde ovviamente, a dodici stadi, alcuni sorti da zero (ben cinque) e altri ristrutturati, ma forse sarebbe meglio dire stravolti. La spesa finale supererà quella per gli impianti di Germania 2006 e Sudafrica 2010 messi insieme, parliamo di un totale di circa 2.6 miliardi di euro, quasi tre volte in più di quanto previsto.
Un caso emblematico tra gli stadi creati ad hoc, è quello dell’Arena Amazônia di Manaus, città situata nel mezzo della foresta amazzonica, che non ha nemmeno una squadra di calcio di categoria (il Nacional disputa il Campionato Amazonense e la sua ultima apparizione in serie A risale al 1985). Progettato da uno studio tedesco, costruito con materiali provenienti dal Portogallo e dalla stessa Germania, e costato circa 219 milioni di euro, questo impianto ospiterà quattro gare del Mondiale, tra cui Inghilterra-Italia. Un modo estremamente caro di confinare i tifosi inglesi in Amazzonia. E poi? E poi la sua manutenzione continuerà a costare 2 milioni di euro all’anno, tanto che c’è già chi ne paventa un uso più “utile”, cioè il giudice Sabino Marques da Silva, che propone di utilizzarlo per ospitare detenuti, visto il tasso di criminalità della zona e l’affollamento delle carceri, “ma senza far fare ai detenuti la fine di quelli all’Estadio Nacional di Santiago del Cile dopo il colpo di stato di Pinochet”. Non sia mai.[3]
Parlando invece degli stadi “ristrutturati”, è inevitabile citare forse il più importante, di fatto snaturato della sua essenza, cioè il Maracanã. Il tempio in cui il Brasile avrebbe dovuto provare a lavare l’onta del 16 luglio 1950 non esiste più. I posti ridotti da 96 a 76 mila, i prezzi dei biglietti alle stelle e il monumento al calcio mondiale diventato di fatto “territorio FIFA”, che come negli altri undici stadi avrà giurisdizione non solo all’interno, ma anche in un raggio di almeno 400 metri intorno a essi.
Questo per esempio significa che all’interno del “demanio” FIFA si potranno trovare solo cibi, bevande e prodotti di aziende che sponsorizzano il Mondiale, persino la Birra Budweiser, anche se la vendita di alcolici negli stadi brasiliani è proibita. Ma difficilmente si potrà trovare la torcida, che una volta costituiva la vera festa, immediatamente fuori dagli impianti, prima e dopo le partite.
Rimozioni forzate e internamenti coatti. Gli stadi sono solo una parte delle infrastrutture create per l’evento. Strade, piste di aeroporti, linee delle metropolitane, costruite in gran parte da multinazionali estere, appoggiate dal governo brasiliano nella loro retorica della creazione di posti di lavoro che però sono temporanei, oltre che sottopagati e in cui gli operai lavorano in condizioni di sicurezza minime (e le morti sul lavoro sono lì a dimostrarlo).[4]
Fare spazio a queste opere, però, a parte il creare buchi nei bilanci delle città e degli stati (400 milioni di euro solo a Rio de Janeiro, destinati a salire per le Olimpiadi), implica un altro prezzo da pagare, e ne fa le spese chi suo malgrado si trova a vivere in luoghi strategici per il megaevento.
Decine di migliaia di persone, infatti, sono state oggetto di continue rimozioni forzate, sradicate dalla loro vita in funzione dell’organizzazione del Mondiale, solo perché le favelas in cui abitavano sorgevano su terreni potenzialmente redditizi. Degli addetti passavano attraverso case e baracche, scrivendo numeri sull’intonaco delle case, per indicare alle ruspe cosa demolire. Ma dove sono state portate queste persone? Nel caso di Rio de Janeiro, parte della popolazione sfrattata ha ricevuto un indennizzo insufficiente per trovare un’altra collocazione, e ha dovuto pertanto accettare di entrare nel programma del governo federale “Minha Casa Minha Vida”, lanciato sempre da Lula nel 2009 e volto a costruire o acquisire nuove unità abitative per famiglie a basso reddito. Di fatto, però, queste abitazioni si trovano generalmente nelle periferie delle città, a volte anche a 60 km dalle residenze originarie, da cui accedere a trasporti, sanità e istruzione è quasi impossibile.
Interessante poi notare come un provvedimento che all’apparenza non ha nulla a che vedere col grande evento, abbia dato il proprio contributo in prossimità dello stesso. Parliamo del Progetto di Legge 7663/10, approvato a maggio del 2013, che rende possibile l’internamento coatto dei consumatori di crack in cliniche private o, meglio, lo fa passare come unica soluzione possibile. Rinchiusi nelle cliniche i “dipendenti chimici” sono sottoposti a una serie di trattamenti volti a disciplinare i loro comportamenti e i loro corpi.[5]
Bene, alla vigilia della Coppa del Mondo, questo provvedimento si è rivelato utile anche sul versante della pulizia delle strade, in quanto il trattamento è obbligatorio per i senzatetto, soggetti spesso al di fuori del sistema e per questo visti come “pericolosi” e “sgradevoli” alla vista, soprattutto dei turisti-tifosi di turno.
Brasile adesso. La cosa che balza all’occhio, in questi che sono pur casi limite, è che tutto ciò avviene nel 2014. Il passato è pieno di esempi di manifestazioni sportive in cui i governidi turno(spesso dittatoriali) tendevano a fornire al mondo un’immagine distorta della realtà, una cartolina propagandistica. Uno su tutti, Argentina 1978. Ma il Brasile attuale è un’altra cosa, è un paese vivo, democratico, un paese che per di più ha vissuto l’ultimo decennio cullando il sogno di una crescita economica che si accompagnasse a una equa distribuzione della ricchezza.
Forse per questo una parte dei brasiliani, nonostante tutta la forza delle misure repressive messe in campo dal governo centrale e da quelli federali, non accetta quanto il Mondiale FIFA ha direttamente o indirettamente imposto. Gli indios scacciati dai loro territori per far posto al “demanio” FIFA, una moltitudine di persone che protestano per le loro condizioni di vita e per l’aumento dei prezzi, una galassia di movimenti che avrebbe preferito veder destinato a sanità e scuole i soldi stanziati per il Mondiale, tantissime categorie di lavoratori che chiedono un adeguamento dei loro contratti a causa di una inflazione galoppante e di un indebitamento sempre maggiore dovuto alla possibilità di pagare tutto a rate. Questo si è visto nelle piazze e nelle strade all’inizio della Confederations Cup nel luglio 2013 e si vede ancora oggi, oltre alla violenza della polizia: gente che dal basso prova a diventare protagonista della vita politica propria e del paese. Con tutte le contraddizioni che una mobilitazione così ampia possa avere.
Sócrates concludeva le considerazioni inizialmente citate dicendo che appena la palla comincerà a rotolare tutto in Brasile rientrerà nella normalità. Se questo accadrà, ce lo potranno dire i prossimi mesi e non solo le quattro settimane del Mondiale, nelle quali i media mainstream faranno di tutto per scaricare sui fantomatici black block la colpa di ogni vetrina rotta e per convogliare le attenzioni del mondo solo sull’evento sportivo. Un modo per adeguarsi alla recente affermazione di Jospeh Blatter (“il calcio è più importante dell’insoddisfazione della gente”), affermazione per altro fatta a mo’ di giustificazione della politica seguita dalla FIFA negli ultimi anni.
Se, invece, quanto realmente accadrà durante il mondiale brasiliano inciderà nelle prossime decisioni del massimo organismo calcistico, lo potremo capire in tempi molto più lunghi.
daniele, federico, dalila
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[1] BRICS è un acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, ovvero i paesi più popolosi, con un’economia in espansione, vasti territori e grande abbondanza di risorse naturali. Parliamo del 42% della popolazione mondiale, il 25% dell’estensione della Terra, il 20% del PIL globale.
[2] Le nuove regole FIFA valide a partire dall’assegnazione per l’edizione del 2018 impongono che una confederazione non possa ospitare un campionato mondiale fino alla terza edizione successiva all’ultima disputata in un Paese ad essa iscritto. In modo ufficioso le stesse regole sono state utilizzate nell’assegnazione dei Mondiali 2010 e 2014. Le altre candidate sudamericane per il 2014 sono state Argentina (unitamente al Cile) e Colombia, ma le loro candidature sono state ben presto ritirate.
[3] Durante il golpe cileno del 1973 a opera di Augusto Pinochet, l’Estadio Nacional de Chile venne usato come campo di concentramento. Al suo interno transitarono circa 40.000 prigionieri, tra il settembre ed il novembre di quell’anno. Il campo da gioco e la galleria furono utilizzati per tenere imprigionati gli uomini, mentre le donne furono relegate nella piscina, negli spogliatoi ed in altri edifici. Altri spogliatoi e i corridoi furono luoghi di tortura e di esecuzioni, mentre gli interrogatori venivano svolti nel velodromo.
[4] Possiamo citarne alcuni. 28 marzo 2013, Raimundo Nonato Lima Costa, 49 anni, cade da un’impalcatura. 14 dicembre 2013, Marcleudo de Melo Ferreira, 22 anni, precipita dal tetto di 35 metri. Qualche ora dopo Antonio José Pita Martins, 55 anni, viene ucciso da una gru. Quasi tutti gli operai vivono in alloggi indegni e prendono stipendi da fame. Un lavoratore a giornata dice di guadagnare 3.9 reais all’ora (1.26 euro).
[5] Questo dispositivo legale categorizza tutti i soggetti consumatori di droghe come “dipendenti” (a prescindere dall’intensità e dalla quantità usata) e introduce l’internamento come unica soluzione. In questo modo, dato che nella salute pubblica non ci sono le strutture e le reti sufficienti per trattare i consumatori di droghe in aumento, invece di potenziare i servizi già esistenti e creare una presa in carico collettiva, si preferisce investire sull’aumento delle cliniche private (che tra l’altro sono di impostazione religiosa e prevedono un tipo di trattamento che disciplina i corpi dei “dipendenti chimici”), senza di fatto arrivare ad una diminuzione della dipendenza stessa, ma presentando piuttosto un sistema continuo di violazione dei diritti dei soggetti internati.