In questi giorni di fine maggio il mondo del calcio pare attraversare un altro dei suoi ciclici momenti di crisi, investito dall'ombra delle scommesse, dalle dichiarazioni fuori luogo di un neo vicepresidente impacciato che creano l'imbarazzo generale, di tifoserie e tecnici del settore già pronti a prendere le parti di alcuni, esprimendo solidarietà incondizionata in nome di rapporti di amicizia considerati più autorevoli di qualsiasi indagine e prova o viceversa a manifestare sdegno e feroce condanna prima ancora che la giustizia sportiva e non, abbia fatto il suo corso. Un quadro complessivo in cui, per altro, la presunzione di innocenza diventa una pura formalità.
Del resto, l'arrivo delle volanti a Coverciano tra giocatori e dirigenti azzurri nelle prime ore del mattino, con tanto di conferenze stampa e dichiarazioni clamorose su chi avrebbe ricevuto gli avvisi di garanzia, social network già stracolmi di commenti e discussioni da bar, sono tutti eventi di gran lunga molto più spettacolari e più emozionanti di un noiosissimo discorso sulla pericolosità dell'associazione indagato uguale colpevole. Sensazionalismo dei media e giustizialismo imperante diventano allora due ingredienti scontati in un momento di crisi generale come quello che sta vivendo l'Italia e ottengono l'utilissimo risultato di distogliere l'attenzione dai problemi che riguardano davvero le nostre vite offrendo su un piatto d'argento dei facili capri espiatori, spesso anch'essi vittime di un sistema più ampio, su cui sfogare il malcontento e l'insofferenza diffusi.
Sembrerebbe proprio che l'arrivo plateale delle volanti, le notizie fresche del Tg che riescono a passare davanti alla strage in Siria e allo scandalo in Vaticano, la rabbia e la maldestra demagogia di chi si affretta a trattare la vicenda calcio scommesse come metafora della crisi economica, siano in realtà parte dello stesso sistema contro cui ci scagliamo. Un sistema che è capace di mostrare la sua forza quando ci porta tutti in piazza per festeggiare la vittoria dei mondiali facendo leva su sentimenti patriottici condivisi (solo temporaneamente), ma fa in fretta a logorarsi per auto consunzione, ed è allora che urliamo allo scandalo. E poi tutto si ripete.
Non so quanto sarebbe interessante riprendere vecchi è già ampiamente trattati discorsi sulla situazione del calcio maschile in Italia, ad esempio parlare del fatto che il calcio " vero" da alcuni anni ormai non sia più o non sia solo più uno sport, o sostenere che gli interessi economici abbiano di gran lunga superato e scavalcato le qualità del calcio come gioco prima di tutto, che gli stipendi dei giocatori siano troppo alti e troppo sproporzionati rispetto ad altri professionisti sportivi, che il sodalizio tra sponsor e interessi televisivi ci suggerisca uno scenario più simile ad un libero mercato di squadre come imprese in concorrenza spietata tra di loro e pronte ad annientarsi. Sono tutte questioni che meritano interesse, ma non sarebbero così utili adesso, perché tutto questo è un po' troppo banale e facile da dire: non ci va molto coraggio a condannare un sistema quando questo è già saltato, quando tutti invocano punizioni esemplari e quindi anche l'indignazione, per quanto comprensibile e legittima, diventa parte dello stesso sistema. Perché oggi siamo indignati e, sull'onda delle notizie e del clima creatosi, mettiamo alla gogna giocatori, dirigenti, allenatori, ma domani, quando tutto sarà appianato, continueremo a guardare i nostri eroi scendere in campo, e se l'Italia dovesse vincere gli europei, una folla festosa scenderà in piazza di nuovo unita dal tricolore; e ancora, quando il prossimo anno rinnoveremo l'abbonamento a sky o allo stadio, questi avvenimenti saranno solo un brutto ricordo. Già. E non ci sarà nulla di male, non ci sarà nulla di ipocrita nel continuare a seguire il calcio. Io stessa domani guarderò la mia Sampdoria tentare i playoff per tornare in serie A sperando in una nuova festa a Marassi.
Non è infatti mia intenzione attaccare gli appassionati di calcio, quale io stessa sono, perché continueranno a guardare le partite nonostante la rabbia di oggi, né amo la superficialità di quelle dichiarazioni post scandalo che concludono " il calcio fa tutto schifo", o il populismo di autorevoli esponenti politici alla ricerca di consensi che auspicano di risolvere la crisi sospendendo i campionati per 3 anni. Come se il calcio fosse la causa di tutti i mali e dimenticando, per altro, il numero di persone oneste che lavorano in questo settore, di gran lunga più imponente rispetto al numero dei corrotti individuati da questa caccia alle streghe. Banalità, demagogia che lasciano il tempo che trovano e ignorano la realtà sociale di cui anche i non appassionati dovrebbero essere un po' più consapevoli e rispettosi: il calcio è storicamente lo sport più popolare e amato, diverte e appassiona i più, talvolta riesce ancora ad essere imprevedibile, dunque la maggior parte di noi vuole continuare a seguirlo. Ed è vero che ci sarebbero alcune considerazioni da fare su quanto questa passione diffusa sia frutto di un sentimento spontaneo o quanto invece l'attaccamento al calcio sia in realtà solo un prodotto veicolato dall'alto, ma non è questa l'ora di una riflessione sui massimi sistemi. Questo è il momento di prendere atto della crisi di un sistema importante che coinvolge la maggior parte delle vite degli italiani, un momento di crisi su cui riflettere in modo complesso e ripartire, se possibile. Negare e minimizzare, o al contrario concludere che " tutto il calcio fa schifo" sono atteggiamenti equivalenti, banali allo stesso modo, entrambi privi di senso realmente critico.
Sarebbe bello riuscire ad andare oltre e domani provare a sedersi ancora e senza vergogna alcuna davanti alla tv per seguire la propria squadra del cuore ma con più onestà intellettuale, con più consapevolezza, andando oltre l'indignazione, la condanna unilaterale e il disprezzo. Perché queste sono emozioni, seppure comprensibili, che cavalcano l'onda, ma non sfociano in riflessioni razionali e costruttive, mantenendo il sistema sportivo italiano nello stesso immobilismo di ieri, senza che nulla sia veramente messo in discussione. Un sistema immobile e sempre uguale a se stesso, appunto, in cui il calcio maschile continuerà comunque a rimanere il nostro punto di riferimento, il nostro unico modello e idealtipo attorno a cui far ruotare tutte le nostre discussioni, i nostri dibattiti, seppure polemici e critici. Sarebbe più onesto ammettere con serenità che lo sappiamo, che anche quando in occasione di questi episodi tristi ci arrabbiamo, continuiamo in realtà a considerarlo l'unico sistema possibile, e in fondo ci va bene così, dal momento che noi stessi, continuando a seguirlo, abbiamo contribuito ad alimentarlo, pur con la nostra buona fede e la nostra passione sincera.
E non è una vergogna, ma allora l'indignazione fine a se stessa non serve proprio a niente, perché da un lato sappiamo di doverci turare il naso nel guardare una partita dietro cui ogni tanto torna l'ombra di un risultato già scontato, ma proprio non siamo capaci di farne a meno, proprio non vogliamo privarcene, nonostante tutto. Preferiamo, infatti, tenerci il calcio " vero", anche se logoro, sputare sentenze nei momenti di crisi invece di lavorare silenziosamente e molto più coraggiosamente dall'interno per impedire che gli scandali lo corrodano definitivamente, e infine continuare a ignorare un'alternativa, che pure esiste, e si chiama calcio femminile. Ma i più lo sminuiscono, lo chiamano calcio minore, dilettantistico e ancora non sono capaci di strapparsi di dosso quello stramaledetto pregiudizio che fa del calcio una prerogativa maschile, perché ha ragioni storiche e sociali talmente radicate da non riuscire più a scardinarlo, da non riuscire a scorgere quanto sia solo una costruzione sociale figlia di una cultura maschilista e cattolica tutta italiana cui siamo talmente abituati da considerarlo l'unica realtà possibile.
Chi si indigna oggi infatti, non sarebbe affatto pronto a scambiare domani le sue domeniche allo stadio " vero" con undici ragazze "altrettanto appassionate", in nome di un'etica sportiva che nel microcosmo femminile ancora esiste e che oggi invochiamo a grande voce. Sebbene il calcio femminile sia ancora vergine di scandali sul doping e sulle scommesse, rimaniamo attaccati al nostro unico calcio possibile, perché ci hanno insegnato che il femminile è " meno spettacolare", " è diverso", " non è la stessa cosa". Già. Di solito amo smontare queste obiezioni e rispondere ai detrattori e agli scettici con lunghe e noiose argomentazioni sulla cultura italiana e sul valore del calcio femminile in altri paesi, invece mi sa che oggi quasi quasi mi approprio di quelle stesse obiezioni, anche se è politicamente scorretto, e forse un po' retorico e rispondo così: forse è vero, il calcio femminile non c'entra niente con quello maschile, non è la stessa cosa, non si presta al sensazionalismo dei media, è ancora molto e troppo diverso. Per fortuna.
Silvia Paio
Laureata in Sociologia
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