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Il calendario del lutto

Creato il 29 dicembre 2014 da Salone Del Lutto @salonedellutto

La gente muore ogni giorno. Tutti i giorni. Di tutti gli anni. Ogni calendario, in fondo, è un memento mori. Un susseguirsi di martiri, vergini, beati e commemorazioni di esecuzioni. E uno scandire il tempo che ci avvicina, ogni giorno di più, alla fine. Ma il Salone del Lutto con i fatti di religione c’entra poco, pur apprezzando chiese, cimiteri, e innumerevoli altre attestazioni devozionali. E così, da un paio di anni, il calendario se lo fabbrica da sé, giocando ad assegnare ogni giorno a qualcuno che in quel giorno è morto e chiamandolo a dire la sua. Sulla morte. Ma anche su innumerevoli altri argomenti. È un calendario laico: pieno di scrittori, musici e cantanti, ballerine, pittori, attori, e molto altro ancora.

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Ed è un calendario che è stato “divertente” fare, fra giorni in cui sembra che non muoia nessuno e date zeppe di morti, come il 20 novembre che schiera, nell’ordine Robert Altman, Benedetto Croce, Giorgio De Chirico, Ennio Flaiano, Leonardo Sciascia e Lev Tolstoij, o il 22 dello stesso mese, con Michael Hutchence degli INXS, Aldous Huxley John Fitzgerald Kennedy, Jack London e Mae West… Che la gente preferisca morire a novembre?

Vi invitiamo ad andare a leggerlo e sfogliarlo, cliccando qui, ma nel frattempo proviamo a giocare insieme sviluppando alcuni percorsi narrativi, pescando i nostri morti dall’edizione 2014 e 2015 di questo oggetto che non esiste altrove se non nella rete – (cartaceo, ci piacerebbe, ma avrebbe costi di produzione troppo troppo alti). E vi ricordiamo che se queste non dovessero bastare, ce ne sono altre ancora, su Bizzarro Bazar.

28 novembre 1899 o della paura di invecchiare

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All’opposto di chi mostra le rughe senza alcun timore, come Doris Eaton, c’è chi invece, ne ebbe così tanta paura da aver trascorso gli ultimi anni della propria vita in una casa priva di specchi ma ingombra di foto che la ritraevano nel pieno della propria bellezza. Stiamo parlando di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, cugina di Cavour, amante di molti potenti dell’epoca – da Napoleone III a Vittorio Emanuele II – e moglie di colui che lei stessa definì il «povero becco».

È una donna che ha potentemente condizionato l’immaginario collettivo anche dopo la propria morte, come testimoniano film e libri a lei dedicati e, recentemente, una piccola sezione della mostra “Shit and Die”, curata da Maurizio Cattelan proprio qui, a Torino. Altra particolarità che testimonia il legame con un passato ormai perduto fu il fatto che conservò fino a vecchiaia avanzata, a mo’ di gelosa reliquia, all’interno di una piccola teca sferica di cristallo, la vestaglia di seta verde con la quale, secondo lei, durante la notte passata con Napoleone III di Francia cambiò la storia d’Italia – lo stesso Cavour l’aveva mandata in Francia presso la corte dell’imperatore, per perorare l’alleanza franco-piemontese. Avrebbe voluto essere sepolta proprio con quell’indumento ma i suoi eredi non rispettarono le sue volontà. Attualmente la “storica camicia da notte di Compiégne” è al Museo Cavouriano di Santena. Le sue carte, che testimoniavano i contatti da lei avuti con molti importanti personaggi dell’epoca, furono sottratte e, pare, bruciate dalla polizia subito dopo la sua morte.

16 gennaio, 3 agosto e 7 dicembre o dell’estinzione di una famiglia particolare

L’ultimo è stato, quest’anno Ken Weatherwax. Forse il nome non vi dice nulla, ma se diciamo Pugsley Addams, invece cambia tutto. Proprio così. Ken, una volta, era il bambino lentigginoso e cicciotto che amava il fai-da-te. Da solo, infatti, si ghigliottine giocattolo e piccole bare, mentre con zio Fester realizzava catastrofi in miniatura utilizzando esplosivi. La sua esperienza attoriale non fu felice, dopo quel primo fortunato ruolo, e neppure la sua carriera da studente. Nel calendario non compare, ancora.

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C’è invece Ted Cassidy, il gigante di 2,6 metri che interpretò sempre parti consone al suo fisico: in Star Trek, Strega per amore e poi, quello dell’indimenticabile Lurch, domestico taciturno e poco incline al sorriso che somiglia al Mostro di Frankenstein cinematografico, suona il clavicembalo e risponde al gong con il celebre e cavernoso «Chiamato?» (You rang?). Il sottile humour e la profondità della voce con cui pronunciava questa frase, inizialmente improvvisata, la rendeva più un’affermazione che un interrogativo, e divenne immediatamente una hit della serie tanto da essere regolarmente prevista nella sceneggiatura, finendo per diventare il marchio di fabbrica di Cassidy. Forse non tutti sanno che Cassidy aveva anche un’altra parte, nel telefilm, ossia quella di Thing T. Thing, Mano, eccezion fatta per le occasione in cui i due dovevano apparire insieme. In tal caso il ruolo di Mano era interpretato da uno dei tecnici. L’altezza spropositata fu, in parte, causa della sua morte, che avvenne a 46 anni, durante un’operazione a cuore aperto.

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Ma la più immensa di tutte, a nostro avviso, è Carolyn Jones, Morticia. La sua, fra amori frantumati e periodi difficili anche dal punto di vista della sua carriera artistica – nonostante il grandissimo successo gli Addams furono inspiegabilmente interrotti dopo due anni di programmazione – non fu una vita facile. Quando le fu diagnosticato un cancro al colon, lasciò disposizioni precise riguardo al proprio epitaffio, che recita: «Ha dato gioia al mondo». E noi non possiamo che darle ragione.

14 settembre 1927, 4 gennaio 1960 e 31 ottobre 1984 o dei maestri di divinazione

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Lei era una vera diva. Nata nella seconda metà dell’Ottocento, viveva – così immaginiamo – con grande difficoltà l’essere figlia di un altro tempo, il futuro. Emancipazione, passione, amori intensi ma brevi. E soprattutto un’arte che era solo sua, fatta di vesti leggere e piedi scalzi: un modo di danzare che non si era mai visto prima e che, inizialmente, la gente faticò a comprendere, come avviene con tutte le “cose” di rottura. Le foto che la ritraggono parlano di un corpo sinuoso e flessuoso, della capacità di assumere pose e sembianze che non sono umane ma superumane. Isadora Duncan un giorno salì in macchina, una Bugatti decappottabile. La immagino leggera ed elegante, mentre sventaglia la mano e dice: «Addio amici miei! Vado verso la gloria (o verso l’amore, poco importa)». Al collo porta una sciarpa, svolazzante, leggera, probabilmente di un tessuto pregiato. Lo direste che una sciarpa può essere un involontario strumento di morte? La macchina va, accelera, l’aria nei capelli è bella, le frange della sciarpa si impigliano nelle ruote. Ed è un attimo. Gertrude Stein, amica della Duncan, ebbe a commentare che «certi vezzi possono risultare pericolosi». È vero, ma a colpirmi di più sono le doti divinatorie della grande Isadora.

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Un altro maestro di previsione fu, a nostro avviso, il grande Albert Camus, morto il 4 gennaio 1960 in un tragico incidente d’auto occorsogli mentre stava rientrando a Parigi insieme al suo editore Gallimard (morto pure lui, alcuni giorni dopo). Camus aveva dichiarato che la più assurda delle morti fosse appunto quella provocata da un incidente d’auto. Sembrava che l’avesse profetizzata, questa cosa. O comunque ci fu qualcuno così bravo da realizzarla, la sua profezia. Ma le profezie di Camus, in merito alla sua morte, le tragiche coincidenze che riusciamo a mettere in fila prima di quel 4 gennaio sono molte altre. Ad esempio, in quell’ultimo viaggio, Camus e Gallimard discussero di assicurazioni sulla vita. E all’editore, che voleva stipularne una, lo scrittore replicò che a loro, entrambi tubercolotici, difficilmente qualcuno avrebbe mai stipulato una polizza. In più, viaggiando, si trovarono d’accordo sul fatto che, se fossero morti insieme, si sarebbero fatti imbalsamare e collocare nel salotto di Janine… Se fossero morti insieme. Non hanno un suono tremendo, queste parole? Camus, inoltre, alcuni giorni prima scrisse una lettera in cui comunicava il proprio rientro per quel giorno, il 4 gennaio, salvo i rischi dell’auto. Sauf les hasards de l’automobile. Ma Camus non era un profeta, per quanto la sua capacità d’analisi fosse decisamente superiore alla media. E allora, piuttosto che sposare l’ipotesi di un mago che divina la sua stessa morte, ripieghiamo sull’altra teoria, quella che vuole che qualcuno su questa “profezia” ci avesse seriamente lavorato. Per farla avverare. E, leggendo Camus deve morire, il nemico numero uno dello scrittore emerge chiaramente, ed è potente come pochi. È una Russia opprimente e sanguinaria, contro cui Camus stava mobilitando la coscienza collettiva europea.

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Brava, ma non troppo, nel predire la propria morte, fu Indira Gandhi, primo ministro indiano fino al giorno del suo assassinio, il 31 ottobre 1984. La sera prima La sera del 30 ottobre, Indira Gandhi era appena tornata da un faticoso giro elettorale nell’Orissa. In quell’occasione aveva concluso il discorso con queste parole: «Non ho l’ambizione di vivere a lungo, ma sono fiera di mettere la mia vita al servizio della nazione. Se dovessi morire oggi, ogni goccia del mio sangue fortificherebbe l’India». La mattina del 31 ottobre del 1984, Indira scese i tre gradini della residenza per raggiungere il giardino. Vestita di un sari arancione si avviò verso le due guardie responsabili della sua sicurezza, e fece loro un cenno di saluto. La Gandhi conosceva bene uno dei due, quello più vecchio, Beant Singh, di circa quarant’anni. L’altro era il ventunenne Satwant Singh, in servizio da pochi mesi. Solo qualche settimana prima, un generale, Ashwini Kumar, che aveva ricoperto un ruolo importante nella polizia, le disse: «Signora, escluda i sikh dal suo servizio di sicurezza». Le ricordò inoltre come la comunità sikh aveva giurato vendetta per la repressione subita al Tempio d’oro. Ma Indira Gandhi si sentiva molto sicura dei suoi uomini, specie di Beant Singh, e rispose: «Finché avrò la fortuna di avere accanto a me sikh come lui, non avrò niente da temere». Non appena ebbe salutato le due guardie, il più vecchio, Beant Singh, impugnando una P38 esplose tre colpi in direzione del Primo ministro dell’India. Immediatamente, anche Satwant Singh esplose tutte le trenta pallottole del suo mitra Sten. Non meno di sette proiettili la colpirono all’addome, una decina il petto, alcuni perforarono il cuore. Indira Gandhi non ebbe neanche il tempo di gridare. Morì sul colpo.

6 giugno 1980, 18 settembre 2004, 10 dicembre 1978 (e 16 agosto 1956) o dei vecchietti più che “arzilli”

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Cosa accomuna Henry Miller e Russ Meyer? La vecchiaia gioiosa e giocosa. E la passione per il sesso. L’amore per le tette. Un amore e una passione che si traducono in grandi opere letterarie, nel primo caso, e in film non proprio indimenticabili, nel secondo. Tropico del cancro, Tropico del capricorno, Sexus, Plexus e Nexus sono probabilmente parte del nostro immaginario più di Faster, Pussycat, Kill! Kill!, Lorna, Vixen e Supervixen (ma forse mi sto sbagliando). Henry e Russ, due adorabili sporcaccioni che ebbero, fra l’altro, la fortuna di andarsene molto in là con gli anni: a oltre 90 e quasi 80 anni. Non c’è male. Tanto più che fino all’ultimo continuarono a giocare con il loro amore per il corpo femminile.

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Ma, giacché stiamo parlando di “sporcaccioni” è inevitabile citare pure Ed Wood, «il peggior regista di tutti i tempi». I suoi film erano caratterizzati, nell’ordine da: mancanza di mezzi, trama approssimativa e rapidità di realizzazione. Nell’ultima fase della sua breve carriera, a causa del dissesto finanziario, si dedicò anche al genere soft core e pornografico. E troviamo online un titolo abbastanza intrigante, per noi luttuosi: Necromania: A Tale of Weird Love. (Possiamo far partire la proiezione… ehm, no, non vi scaldate, stiamo scherzando, purtroppo per voi.)

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E avendo nominato Ed Wood, nominiamo anche lui, l’innominabile, che con Ed Wood strinse un sodalizio artistico quando la sua carriera era ormai in declino. Di chi stiamo parlando? Il Conte Dracula, ovviamente, cioè Bela Lugosi. Solo due dettagli, su di lui: fu sepolto al cimitero della Holy Cross, il che mostra che Dracula e la croce vanno d’accordo. E fu sepolto con un manto nero. Bela Lugosi’s dead, ma anche Dracula lo è.

13 agosto 1896 e 10 aprile 1882, quei maledetti vittoriani
Quest’anno li abbiamo conosciuti di persona a Torino, i Desperate Romantics, come titola una serie televisiva a loro dedicata. Stiamo parlando dei preraffaelliti e di una storia che racconta di una delle più famose o della più famosa musa dell’era vittoriana Elisabeth, Lizzie Siddhal.

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Lui è John Everett Millais, quello bravo, una tecnica pittorica incredibile che lo lancia all’attenzione della critica londinese, accademica e un po’ retrograda anche prima che Ruskin si faccia paladino dell’arte della Pre Raphaelite Brotherhood, la confraternita dei pre-raffaelliti. Lui invece è Dante Gabriel Rossetti, quello carismatico, infinitamente meno bravo (dicevano di lui e lui in cuor suo forse lo sapeva) ma è lui che “reggeva” il gruppo, dipingeva e scriveva poesie, amava le donne, la vita e gli eccessi, lui era il maledetto, la vera rockstar.

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Entrambe le immagini dei due artisti, raffigurano la stessa donna, Lizzie Siddhal appunto, resa immortale da Millais come Ofelia e balzata alle cronache in quanto moglie di Rossetti. Cronaca nera, però, dal momento che la sua morte prematura causata da un’overdose di laudano, fece sprofondare Rossetti nel dolore e nella sua tomba Dante fece porre un’unica copia di un manoscritto di poesie d’amore a lei dedicate. Il quaderno venne infilato nei suoi capelli rossi. Fin qui tutto è “disperatamente romantico” come il titolo del serial, senonché sette anni dopo, Rossetti cambia idea e ossessionato dal voler pubblicare le poesie ottiene il permesso di “scoperchiare” la tomba di Elisabeth per recuperare il manoscritto. Charles August Howell, il suo agente raccontò che il corpo della Siddal era intatto e i suoi capelli avevano continuato a crescere a dismisura…

Da qui la leggenda del vampiro di Highgate, il cimitero di Londra che ha continuato a manifestarsi ancora nel Novecento a cento anni dalla morte di Lizzie, con storie di avvistamenti di una misteriosa donna dai capelli rossi…

15 aprile 1990, 6 maggio 1992 e 7 luglio 1973 o delle femmes fatales

Visto che abbiamo ricordato i vecchi “sporcaccioni”, diamo spazio anche alle donne, e che donne!, che gli uomini li usarono, e molto bene!

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Greta Garbo, la Divina, che la stampa rosa d’ogni tempo ha accanitamente studiato al microscopio dedicando pagine e pagine alle tendenze sessuali e rapporti interpersonali della signorina Greta Garbo, che per i fotoreporter era possibile immortalare solo di sfuggita, mentre – avvolta in un cappotto lungo fino ai piedi, grossi occhiali da sole, il capo avvolto in un’ampia sciarpa – usciva di casa per recarsi a fare la spesa, o per fare solitarie passeggiate. Attori del film muto, compositori, poetesse e altro, molto altro. «Sono una donna che è stata infedele a milioni di uomini», disse. Bravissima!

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Marlene Dietrich, l’Angelo azzurro, le cui testimonianze relative alla vita privata sono contenute in migliaia di lettere e diari da lei scritti. Atea e dichiaratamente bisessuale, collezionò molti nomi di amanti importanti, tra cui Ernest Hemingway e Jean Gabin. Fu sposata una sola volta, con il produttore Rudolf Sieber, che ne sopportò tutte le conclamate infedeltà. E quindi quando dici: «Capisci che l’amore è finito quando hai detto che saresti arrivato per le sette e arrivi alle nove, e lui o lei non ha ancora chiamato la polizia», Marlene, scusa!, noi non ti crediamo…

07-07-Lake
E che dire di Veronika Lake, definita da Bette Davis come «la donna più bella mai arrivata a Holliwood». Ebbe una vita meno avventurosa, per certi aspetti, rispetto alla Divina e all’Angelo azzurro. Tuttavia, a noi piace ricordarla così, con una battuta pronunciata in “Ho sposato una strega”: «Lo tratterò come uno schiavo e lo farò tanto tanto soffrire».

 1° luglio 1961 e 2 luglio 1977 o dell’arte della parola

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La chiusura, be’, quella è inevitabile lasciarla a quanti non sono protagonisti di vicende di morte particolari, e che tuttavia la morte hanno saputo raccontarla, benissimo, come meraviglia, intento programmatico, paura e molto altro ancora. Chi altri, se non gli scrittori? Il calendario ne trabocca, di costoro, forse perché è più facile rintracciarne le parole, che stanno scritte nero su bianco sulle pagine dei loro libri. E inizio da uno scrittore che amo moltissimo, Louis-Ferdinand Céline, autore di un libro che la morte ce l’ha dentro fin dal frontespizio, Morte a credito, appunto. Ma la frase di Céline che vi cito sta sera l’ho ripresa da Viaggio al termine della notte una teoria un po’ delirante, ma piena di fascino: «[…] Lola, così paura, vedi, che se muoio di morte naturale, io, più avanti, voglio soprattutto che non mi brucino. Vorrei che mi lasciassero nella terra, a marcire al cimitero, tranquillamente, là, pronto a rivivere, forse… Chissamai! Mentre se mi riducono in cenere, Lola, tu capisci, sarebbe finita, proprio finita… Uno scheletro, malgrado tutto, assomiglia ancora un po’ a un uomo… È sempre più pronto a rivivere che delle ceneri… Le ceneri è finita!… Che ne dici?…». Céline inventore degli zombies, un mito! Tuttavia, le ultime volontà dello scrittore – che riguardavano più semplicemente la sepoltura a Pére Lachaise – non furono rispettate dalla moglie, che temeva che il popolo francese si sarebbe opposto. E la sua morte fu quasi ignorata, aiutata anche, il giorno seguente dal suicidio di Ernest Hemingway. Su Céline pesarono sempre, fortemente, le accuse di razzismo, e giudizi un po’ superficialotti della stampa nazionale e internazionale. La Stampa, sì proprio lei, lo ricordò ad esempio con un breve articolo del 2 luglio, in cui lo scrittore viene definito «anarchico che predicò il razzismo», e viene liquidato come autore di libri dal «successo fugace», «pieni di oscenità, scetticismo, odio e antisemitismo» e ormai in «squallida decadenza». Ma davvero?

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Poi sì, il calendario del 2015, in data 2 luglio, è suo, di Ernest Hemingway, ma è con un altro autore, pure morto il 2 luglio, che chiudiamo. Il suo nome è Vladimir Nabokov e lo adoriamo perché seppe scrivere in due lingue: il russo, sua lingua madre, e l’inglese, di cui si appropriò, magnificamente bene, dopo il suo trasferimento negli Usa; perché era appassionato di entomologia – o forse appassionato è riduttivo, visto che nel 1940 gli fu affidato l’incarico di organizzare la collezione di farfalle al Museo di Zoologia Comparata dell’università Harvard; e perché giocava a scacchi e sugli scacchi inventava problemi, tuttora disponibili online. Era tremendamente snob. E tremendamente adorabile, anche perché, insieme a molti altri, come Walt Whitman, che dice: «E mostrerò che nulla può accadere che sia più bello della morte» o James Matthew Barrie, il padre di Peter Pan, secondo cui «morire sarà una splendida avventura» è uno degli inventori della “bellezza della morte”. In Fuoco pallido, infatti, Nabokov scrive: «La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande». Speriamo che abbia ragione…

Coraggio, andate a sbirciare il calendario, scopritene le storie, e siate luttuosi!

di Silvia Ceriani e Serena Fumero

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