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Minita, quindi. Ripartivo dalla curiosità per ciò che mi accade attorno, dal desiderio di interpretare gli avvenimenti e di capire le persone al di là di ciò che appare a una prima, sommaria, osservazione. Ma anche dal bisogno di condividere con chi legge impressioni, considerazioni, emozioni. Con il maggiore tatto possibile, almeno nelle intenzioni.
Il nome di questo diario virtuale è Messaggi nella bottiglia proprio perché alle onde virtuali della rete affido periodicamente bigliettini che forse verranno letti, forse no. Oggi, domani o chissà quando. Giusto ieri ho ricevuto il commento alla recensione di un libro scritta quasi due anni fa!
Il blog è figlio di un esperimento fallito: quello di creare con il sito santeufemiaonline uno spazio di confronto che offrisse agli eufemiesi la possibilità di esprimersi liberamente, seguendo gli impulsi dati dalla sensibilità e dagli interessi culturali, sociali, politici. Nel momento in cui gli articoli finirono per essere firmati quasi tutti da me, quello spazio non aveva più senso. Era più corretto “sgravare” gli altri collaboratori dalla responsabilità delle cose che proponevo e guadagnare, se non una maggiore libertà (che era totale), certamente un rapporto più diretto e franco con i lettori. Questo per dire da dove si è partiti, da poche visualizzazioni che nel tempo sono cresciute e danno oggi un senso più compiuto a questa attività, ma inducono anche alla riflessione. Perché aumentano le responsabilità di chi scrive nei confronti di coloro che leggono.
Sono affezionato a questa mia creatura. Perché da qui sono partite proposte che la politica e le associazioni eufemiesi hanno spesso colto: su tutte, la riscoperta di Nino Zucco, un grande eufemiese dimenticato fino all’anno scorso.
Il blog mi ha fatto conoscere da gente che non immaginavo e mi ha dato l’opportunità di intrecciare rapporti e avere occasioni di confronto con persone altrimenti per me irraggiungibili.
E poi c’è l’aspetto “medico”: gli voglio bene perché mi ha aiutato a superare situazioni personali anche dolorose. Non mi stancherò mai di ripetere che scrivere è una terapia, ghiaccio a lenire i lividi lasciati sull’anima dai colpi bassi che la vita spesso riserva.
C’è anche molto di me qua dentro. In maniera esplicita o tra le righe, per ritrosia. Ma anche perché conforta il calore di un aggettivo messo lì, quasi per caso. Con la certezza che molti capiranno.
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