12 giugno 2013 di Redazione
Il mitico, fiabesco, Fasciuliscu della tradizione magliese da tutelare con i suoi habitat e ridiffondere in natura
di Oreste Caroppo
Il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon Linneus, 1758) è l’unica specie di camaleonte presente in Europa.
Autoctono, anche se rarissimo, ma presente in natura anche in Salento, sud della Puglia, dove vi si riproduce, non a caso, spontaneamente; ne è stato ritrovato un nucleo selvatico negli anni passati nella contrada Arneo (1), l’ ultima vasta contrada salentina ad esser stata selvaggiamente disboscata nel Salento, denaturalizzata dall’ uomo, e per questo ancora con alcuni interessanti relitti floro-faunistici da salvaguardare e ridiffondere.
Si tratta di una specie diffusa in maniera ormai frammentaria in diverse località dell’ Europa meridionale: in Grecia, Penisola Iberica (come in Andalusia), ex Jugoslavia, Bosforo, Creta, Puglia, e alcune segnalazioni di questa specie europea anche in Sicilia e a Malta, e nei decenni passati anche in Sardegna, Friuli e Delta del Po. La medesima specie vive poi anche nel Sud-Est Asiatico e nel Nord Africa.
Tale diffusione selvatica della specie ancor oggi, a macchia di leopardo purtroppo ormai, è comunque una prova ulteriore, se ve ne fosse bisogno, dell’autoctonato di questa specie selvatica in Europa meridionale, sin da tempi remoti, quando nel passato la sua diffusione era certamente ben più omogenea. Ma oggi, il paradosso: tale rarità, e gli occasionali rinvenimenti, la perdita della memoria storica naturalistica, portano talvolta taluni, come accaduto nel Salento, a gridare all’ alloctonato e alla specie aliena da “sterminare”, al ritrovamento di un così importante assolutamente innocuo ed importante vivo fossile vivente dell’antica fauna euro-mediterranea! Immaginate che assurdità, si rinviene qualcosa dal passato, ancor vivo, e invece di gridare “evviva, ergo massima cura, tutela e impegno ambientalista”, si rischia di scatenare follie sterminatrici eco-suicide.
E poi come può meravigliare la presenza di un rettile così discreto di un genere dalla maggiore diffusione nella vicina Africa, che tanti dimenticano è un continente vicinissimo all’ Europa e che bagna tante coste mediterranee!? E lo stesso Salento è geologicamente connesso alla zolla-placca tettonica africana, geologicamente parlando. Come può meravigliare tale fauna odierna, quando i nostri progenitori sapiens incontravano in Europa, e rappresentavano sulle pareti delle nostre grotte in epoca paleolitica, leoni, elefanti e rinoceronti, che molto probabilmente i nostri stessi progenitori contribuirono ad estinguere localmente?
Nel centro storico di Lecce è persino ben rappresentato questo nostro camaleonte in un antico fregio in locale pietra leccese sul prospetto di una casa. Questa la foto del camaleonte scolpito a Lecce, scoperto, fotografato e pubblicato dall’ amico e studioso, Sandro d’Alessandro
e di cui segnalo anche un suo studio proprio dedicato al Camaleonte nel Salento (leggi studio).
Nel Salento, il camaleonte è un animale ammantato di tante leggende.
Alcuni esemplari recentemente ritrovati, mi hanno raccontato, pare siano stati definiti da cittadini locali, di cultura “grika”, cioè greco-salentina, “dracuddhi”, draghetti, traducendo dal dialetto grecanico salentino. Un termine greco, “drago”, frequente e di lato impiego per la designazione di animali nel regno dei rettili.
Ma il camaleonte salentino era, con ogni provabilità, anche il mostruoso mitico “fasciuliscu”, della tradizione basso salentina, ed in particolare del magliese. Raccontavano le anziane di Maglie (città nel cuore del basso Salento), fosse un piccolo mostro che nasceva dall’uovo deposto eccezionalmente da un gallo, che notoriamente in quanto maschio non depone le uova come la sua femmina, la gallina. Tale essere mostruoso e dalle piccole dimensioni, si credeva che con il suo sguardo terribile fosse in grado di uccidere gli animali, solo puntando i suoi occhi negli occhi delle sue vittime, motivo per cui se si osservavamo strane, difficilmente spiegabili altrimenti, morti di animali domestici, anche di grandi dimensioni, si immaginava fosse nato un “fasciuliscu” e si doveva andare alla ricerca del mostruoso piccolo essere per ucciderlo e fermare così la moria.
E’ infatti “fasciuliscu” una corruzione locale salentina del nome dell’antico temibile “basilisco” dei bestiari antichi, simbolo oggi del paese griko di Sternatia (Lecce), dove è raffigurato nella sua iconografia più fantasiosa nell’ insegna civica. Termine di origine greca, “basilisco”, vuol dire piccolo re. Era ritenuto il “re dei serpenti”, da cui il suo nome greco. Del mito del basilisco abbiamo già attestazioni di epoca romana, ed è meraviglioso osservare come, con continuità culturale ininterrotta, il mito popolare sopravvissuto nella città di Maglie del “fasciuliscu” conservi elementi delle leggende sul basilisco riportate per iscritto già in età romana e poi nel medioevo.
L’identificazione con il camaleonte, pur nelle aggiunte mitico-fiabesche, è più che certa.
La conformazione della testa dell’animale, il camaleonte è un rettile, a mo’ di corona, o meglio di mitra, da cui l’appellativo di re dei serpenti, dei rettili. La sua cresta da cui l’ associazione con la cresta del gallo. La presenza nel mito del basilisco dell’ elemento dell’ uovo, e il camaleonte depone le uova, come in genere ogni rettile. La commistione con uccelli, il gallo, e anfibi, il rospo in particolare, che talvolta coverebbe secondo i bestiari medioevali l’uovo deposto da un anziano gallo, da cui nascerebbe il basilisco; la raffigurazione mitologica del basilisco che innesta elementi morfologici del gallo per la testa e del camaleonte, (ad esempio la coda e il busto del basilisco son quelli del camaleonte), e che affonda anche le sue ragioni nelle vicinanze ben visibili, e filogenetiche, tra anfibi, rettili e uccelli, osservabili nel camaleonte; e poi il discorso nei bestiari dello sguardo e del fiato mortale del basilisco, ben traducono a mio avviso la caratteristica del camaleonte di fulminare le sue prede con lo sparo della lunghissima lingua retrattile ed appiccicosa con cui cattura e porta fulmineamente alla bocca le sue prede, solitamente insetti. Siamo nella genesi dei miti anche spesso di fronte a forme di tentativi proto-scientifici di spiegazione dell’ osservazione naturalistica.
E poi l’incedere lento del camaleonte senza fuggire via, (sperando di passare inosservato, mimetizzato ad eventuali suoi possibili predatori), come quasi di chi non ha alcun timore, come un re coraggioso; lo sguardo del camaleonte quasi unico tra gli animali superiori, e dalle suggestioni misteriose, con i suoi bulbi oculari che possono ruotare indipendentemente l’uno dall’ altro, un aspetto che pare quasi conferire all’animale il magico potere di destabilizzare ed ipnotizzare la sua vittima.
Oggi, purtroppo, il camaleonte del mediterraneo è a rischio di estinzione e ciò è un pericolo da scongiurare assolutamente sia attraverso il suo ripopolamento e sia con la ricostruzione dei suoi habitat mediterranei. Questa è l’imperativo categorico che è necessario affermare nei confronti di tutti quegli enti preposti alla tutela della biodiversità originaria euro-mediterranea.
Dobbiamo amare il nostro Camaleonte salentino! E’ mio forte augurio quello di poter vedere nascere nel Salento intere riserve oasi naturali di tutela e ripopolamento con ogni cura scientifica del nostro camaleonte, (per poi da lì poter passare ad una sua ridiffusione in tutto il territorio), vive. Basta sperperi in inutilità vergognose che parlano di biodiversità nel Salento ma che in realtà son solo voragini inutili di speculazione, gli esempi, tantissimi … a cui è ora di dire basta, nella piena consapevolezza della ricchezza di biodiversità natura e paesaggio che oggi rischiamo irresponsabilmente e incoscientemente di perdere, ma che ancora possiamo per fortuna in tutto recuperare!
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(1) «Nella terra salentina il camaleonte è stato segnalato nella penisola italiana, per la prima volta, in Puglia il 5 settembre 1987 da Roberto Basso; sito di ritrovamento furono le campagne di Nardò, in provincia di Lecce. La scoperta suscitò non poche perplessità e diffidenze fra gli erpetologi. Successive ricerche portarono all’individuazione di un’area estesa (un rettangolo di circa 50 x 20 km), sempre sul versante jonico, dove la specie è diffusa e nota ai contadini, che anzi lo ricordano “da sempre”; basti dire che – per la sua stranezza e presunta pericolosità e comunque in accordo con l’atavica avversione dell’uomo agricoltore per tutto ciò che è rettile e selvatico – se lo trovano, puntualmente lo uccidono, o lo uccidevano (va registrata oggi un’acquisita sensibilità in seguito agli appelli, alle informazioni corrette e ad un’opera di divulgazione naturalistica)». (fonte internet)