Il cambiamento della politica di sicurezza di Abe

Creato il 21 agosto 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La politica di sicurezza del Giappone ha subìto una svolta nel dicembre 2012 in seguito alla vittoria del Partito Liberal-Democratico di Shinzo Abe alla Camera bassa. Ci sono stati tre cambiamenti fondamentali: il primo è stato l’allontanamento del governo dalla politica pacifista con la Cina, da quando Abe ha dichiarato che il Giappone si sarebbe preparato all’uso della forza in seguito alle informazioni riguardo alla presenza di otto imbarcazioni cinesi vicino alle Isole Senkaku, il 23 giugno. Secondo, il governo sta cercando di ricostruire i rapporti di fiducia con gli Stati Uniti indeboliti durante il governo del Partito Democratico del Giappone, ricevendo sostegno da Washington sulla disputa territoriale delle Isole Senkaku/Diaoyu. Durante il meeting fra il Presidente Obama e il Primo Ministro Abe avvenuto il 22 febbraio di quest’anno, Obama ha attribuito alla Cina la responsabilità delle tensioni sulla questione delle Isole Senkaku, utilizzando peraltro il nome giapponese delle isole (Senkaku) e non quello cinese (Diaoyu). Inoltre, le forze di autodifesa giapponesi e le forze armate statunitensi hanno rafforzato la cooperazione militare. Infatti, nel giugno 2013 gli alleati hanno fatto esercitazioni congiunte in California, inclusa l’esercitazione dell’atterraggio del nuovo convertiplano MV-22 Osprey sui caccia torpedinieri giapponesi. Dal canto suo, la Cina ha sollecitato le due parti a sospendere le manovre durante l’informale summit fra il Presidente Xi e Obama in California, ma la richiesta non ha ottenuto risposta.

Terzo, la strategia di sicurezza del Giappone nei confronti della Cina si sta trasformando da un potenziale conflitto attorno alla questione delle Isole Senkaku a uno scontro a livello internazionale più ampio. Invece di considerare la disputa Senkaku/Diaoyu una questione privata fra Giappone e Cina, Tokyo adesso vede il conflitto nel Mar Cinese Orientale come uno scontro direttamente connesso alle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale e alla più ampia questione riguardante le crescenti ambizioni militari di Pechino. Questa nuova direzione sta spingendo Tokyo a cambiare il suo approccio tradizionale verso le politiche di sicurezza in Asia Orientale.

Le modifiche al programma sulla sicurezza in Giappone possono essere divise in due parti: da una parte, sembra che il Giappone stia dando la priorità ai rapporti di amicizia con l’Occidente, anche a scapito dei suoi interessi. Un esempio è la reazione del Giappone in seguito alla crisi in Siria: contrariamente alla precedente posizione, in cui il Giappone si era astenuto da un suo coinvolgimento diretto (una posizione data dalla necessità di mantenere buone relazioni con i maggiori fornitori di petrolio), nel mese di giugno Tokyo ha annunciato di voler mandare imbarcazioni di aiuti umanitari a favore dell’opposizione in Siria. Questa decisione ha resuscitato il modello di cooperazione strategica già testato fra il Giappone e l’Occidente – i Paesi occidentali si occupano dell’aspetto militare mentre il Giappone gestisce quello umanitario. Il contributo del Giappone alla politica estera dei governi occidentali dovrebbe essere valutato alla luce degli interessi giapponesi di rafforzare la solidarietà con l’Occidente nell’ottica di un problema molto sentito, ovvero l’affermazione di una posizione solida sul programma nucleare della Corea del Nord.

Dall’altra parte, Tokyo sta portando avanti la sua strategia di sicurezza in Asia Orientale. Infatti, la politica di avvicinamento del Ministro Abe verso l’ASEAN – inclusa la sua visita nel febbraio di quest’anno in tutti i Paesi dell’organizzazione, la sua dichiarazione sui cinque principi della diplomazia del Giappone nei confronti dell’ASEAN e la visita del Ministro della Difesa giapponese Itsunori Onodera nelle Filippine – è vista da molti come una mossa del piano a lungo termine di Abe nel formare una coalizione anticinese nella regione. Abe ha anche introdotto l’idea del “security diamond”, che coinvolge Giappone, Australia, India e lo Stato americano delle Hawaii per garantire la sicurezza delle rotte marittime nella parte dell’Asia sul Pacifico. E dopo aver riconquistato la sua carica da Primo Ministro nel dicembre 2012 Abe ha invitato la Francia e il Regno Unito a partecipare attivamente alla sicurezza asiatica, proponendo l’ingresso del Giappone nel Five Power Defence Arrangements , che al momento include Gran Bretagna, Malesia, Singapore, Australia e Nuova Zelanda.

I cambiamenti nella politica di sicurezza del Giappone stanno rendendo diffidenti i vicini asiatici in merito ai suoi obiettivi. Per dissipare queste preoccupazioni, Abe sta cercando di riabilitare l’immagine del Giappone, presentandolo come un Paese dedito alla pace e alla stabilità, ma i suoi sforzi sono stati seriamente danneggiati dai suoi personali intenti nazionalisti e dalle azioni dei membri del suo governo. Difatti, sono nate preoccupazioni sulle azioni e i commenti di Abe e del suo Gabinetto riguardo alle controverse questioni storiche, che potrebbero sconvolgere i rapporti con gli altri Paesi e, in particolare, ledere gli interessi statunitensi. Per attenuare questi timori, Abe ha confermato l’adesione del suo governo alla famosa dichiarazione di Murayama del 1995. Allo Shangri-La Dialogue a giugno, il Ministro della Difesa Itsunori Onodera ha affermato che l’idea del Giappone di abbandonare la sua identità di Paese pacifico e “di tentare di sfidare l’attuale ordine internazionale” è una falsa percezione ; il vero obiettivo del Giappone è di “dare un contributo creativo e attivo alla stabilità regionale”. È difficile evitare di pensare che il Ministro della Difesa giapponese sia stato incaricato di compiere la missione per nulla invidiabile di scusarsi per le azioni maldestre del suo Gabinetto.

La politica di sicurezza del Giappone è cambiata in modo significativo da quando Abe è diventato premier a dicembre. Tuttavia, sembra che la nuova strategia di sicurezza del governo Abe stia danneggiando l’immagine pacifica del Giappone agli occhi dei suoi vicini asiatici.

(Traduzione dall’inglese di Chiara Pasquin)


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