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Il cammino dell’Italia lungo il sentiero della morte

Creato il 08 ottobre 2013 da Basil7

In questi giorni gli italiani stanno mostrando il proprio volto peggiore. C’è una manica di sedicente brava gente che indossa le vesti degli intellettuali anticonformisti e ritiene che sia fondamentale affrontare tecnicamente la tragedia dei migranti. Un po’ come quella brava gente che tuttora considera necessario rileggere in ottica tecnica le stragi compiute dai nazisti in Italia, oppure sottrae energie che potrebbero essere impiegate in modo più utile (per esempio dormendo) per spiegare il messaggio filantropico di Ahmadinejad, la profondità morale di Putin, la differenza tra 6 milioni di ebrei morti nei campi di sterminio e 5.999.999 milioni di ebrei morti nei campi di sterminio, misurando le rispettive conoscenze storiografiche nella disfida su chi ha ucciso più esseri umani tra Hitler e Stalin.

Gli italiani non sono brava gente: spesso sono buoni, compassionevoli, umanitari, ma non brava gente. Lo stiamo dimostrando. Ci sono campioni che inneggiano alla morte di centinaia di bambini, donne e uomini, mascherando l’insofferenza e il razzismo con falsi discorsi che, nelle loro intenzioni, dovrebbero apparire come tecnicamente legittimati e corretti. In realtà, siamo razzisti e barbari. Oltre che ignoranti.

Addirittura, c’è chi ha scritto che la responsabilità della tragedia di Lampedusa sia dell’Africa stessa, dei genitori africani che, nonostante la miseria nel continente stia diminuendo, acconsentono che i figli si imbarchino per terre lontane, privando le regioni delle braccia del futuro. C’è chi ha scomodato Senghor, Sankara e Fanon per spiegare che i migranti disonorano i propri idoli abbandonando l’Africa. Ovviamente, chi ha citato questi personaggi ha potuto contare sul fatto che in Italia non sappiamo minimamente chi siano Senghor, Sankara e Fanon.

Poi c’è il dibattito sulla Bossi-Fini, che, a dire di molti, tramite la minaccia di clandestinità dovrebbe prevenire le ondate migratorie. Certo: innanzitutto, chi scappa dalla dittatura di Afewerki ha sicuramente paura di una legge che forse nemmeno conosce, ma sicuramente talmente potente da convincerlo che sia meglio morire fucilato per strada ad Asmara, oppure dilaniato da una bomba a Chisimaio oppure ancora sventrato a Damasco, piuttosto che rischiare una multa. In secondo luogo, che cos’è il clandestino? Chi è clandestino su questa terra? Strano che molti di quelli che ambiscono alla difesa del Crocifisso nei luoghi pubblici e che si vantano di lottare per la tutela della “cultura” italiana dimentichino che, per il Vangelo, in realtà siamo tutti clandestini. Tutti. Per qualsiasi religione l’uomo è clandestino sulla Terra.

Il reato di clandestinità dovrebbe difendere il patrio suolo europeo da… che cosa precisamente? Dai neri? Dai musulmani? Anzi, no: da quelli che arrivano in Italia per rubare il posto di lavoro agli italiani. Ma quale posto di lavoro? Crediamo davvero che in Africa siano totalmente abbindolati dalle soap opera europee? Ancora con questa storia? I migranti sanno perfettamente che in Italia la situazione è drammatica, ed ecco perché, per esempio, i somali vanno verso Londra, Birmingham, Amburgo, Helsinki, Stoccolma. Per molti di essi l’Italia è un approdo, non una meta. Il problema è che noi siamo talmente italocentrici, egoisti e presuntuosi che riteniamo certo che tutti nel mondo vogliano vivere in Italia. Sul serio: chi in realtà vuol vivere in Italia? Ormai, come nel Seicento, l’Italia è un Paese da morti.

Il reato di clandestinità è un obbrobrio concettuale prima di tutto, quindi anche legale, perché prendere uno di quelli che per molti è un criminale che cercava di entrare illegalmente sul sacro suolo italico e pertanto è morto a suo rischio e fargli una multa o condannarlo al carcere non è altro che un aggravio per i fondi pubblici. Però ci sono i voli di rimpatrio – dice l’esperto di politiche migratorie del barrino. Vero, ma verso dove? Dimentichiamo che, tanti dei morti nel Mediterraneo, come giustamente ha affermato il presidente Napolitano, arrivano dalla Siria, che, per i non esperti, non è in Africa ed è attraversata da una guerra civile, riguardo alla quale l’Italia parteggia per gli insorti. Per di più, è paradossale che noi italiani ci lamentiamo dell’immigrazione, e parlo con cognizione, dato che miei familiari sono emigrati in Svizzera negli anni Sessanta, all’epoca dei divieti d’accesso ai bar per i nostri concittadini insieme con turchi, portoghesi e cani.

Ma noi abbiamo portato il lavoro – continua il commissario dei Bar Uniti. Sicuro. E poi abbiamo portato la mafia, anche. E qualche rissa. E tanti morti, in mare, sulla terra e sottoterra, nelle miniere. Non si tratta di preistoria, perché la fase acuta del fenomeno è terminata negli anni Settanta. Chi non ci crede, legga i rapporti del Congresso degli Stati Uniti d’America, le opere letterarie di Steinbeck e Fante, oppure guardi qualche documentario di Zavoli, con tanti italiani bassi e neri in canottiera che portano il coltello tra le bretelle e adocchiano le bionde tedesche. Eppure, i nostri migranti hanno salvato anche interi Paesi, contribuendone al rilancio, un’opportunità che la brava gente del 2013 preferisce non concedere.

Sinceramente, a me non interessa proprio niente dei dibattiti piccoli dell’Italia: stiamo diventando uno sputo nel mondo, nemmeno degni di una compagnia aerea di bandiera. Le dinamiche geopolitiche stanno compiendo il loro corso, gli equilibri globali si stanno riassestando, ed è inevitabile, perché si tratta di un fenomeno naturale, come lo sono anche le migrazioni. Qualche migliaio di anni fa, un uomo dalle fattezze di un somalo contemporaneo avrà alzato lo sguardo, preso il bastone e accompagnato la moglie di là dalle acque salate, dando il via alla marcia che ha condotto la nostra specie alla colonizzazione del mondo.

Non m’interessano le diatribe piccole piccole e razziste. Mi ripugnano anzi le false ipocrisie di chi si lamenta perché l’Italia dovrà farsi carico delle salme dei migranti, di chi sostiene che per quei clandestini il gioco valga la candela, che tanto non avrebbero pagato le tasse, rubando posti di lavoro, di chi si chiede se le lacrime versate da quella gente siano vere o meno.

Io immagino solo una barca bagnata e scivolosa che cigola sotto il peso di centinaia di persone. La paura e la speranza. Le fotografie un po’ kitsch dei giovani che sognano di incorniciare quelle immagini e compiacersene in vecchiaia, magari con un tocco di imbarazzo. Immagino le mani giunte, una sura del Corano e un’Ave Maria in arabo, un Padre Nostro in aramaico. Il terrore di chi viene dal deserto e non ha mai visto il mare, il terrore di chi sa che potrebbe morire, ma, soprattutto, che potrebbe infrangere le speranze della famiglia. Il pensiero alle dune del Sahara, alle acque del Giuba e alla chiesina diroccata annerita dalle fiamme a Homs. La sorella, il fratello, il vecchio scemo del villaggio, il cane pulcioso. Oppure quel locale così occidentale inaugurato tre anni fa, il cinema, l’università, le gonne delle ragazze prima della guerra. E poi la madre, il padre, l’amico che non è potuto partire, la lotta di un corpo che ha continuato a vivere, con i suoi ritmi e i suoi meccanismi biologici, per quindici o venti anni, e che ha bisogno d’aria e acqua e cibo. Donne strette che cullano i bambini. Un’altra canta la ninnananna tradizionale al figlio che ha in grembo.

E d’improvviso le urla, le spinte, il panico, il cuore che batte, lo stomaco che si chiude, il calore che dal ventre sale verso il torace e il collo. Il tuffo in mare, il peso che porta in basso, le membra che si dimenano, una boccata d’aria e poi l’onda che spinge ancora sottosopra. I vestiti gonfi d’acqua, i gesti istintivi della sopravvivenza, il corpo cerca l’aria, i polmoni bruciano, la testa esplode e infine l’ultimo sapore dell’acqua salata e il silenzio che non può essere ascoltato. Se Dio vorrà – Insha’Allah – qualcuno verrà a ripescarti, altrimenti i pesci avranno più pietà di te che gli uomini.

E così muore un Hassan o una Aisha qualsiasi, tanto erano neri, clandestini e se non fossero affogati in mare, sarebbero finiti accoltellati spacciando droga per mano di un Rodrigo Hernandez o di un Adrian Iliescu, magari dopo essere passati in quelle carceri con gente che non ha ancora capito che, anziché lamentarsi ora perché stanno con altre trenta persone in cella, avrebbero dovuto evitare prima di delinquere.

Noi, però, si italiani, dobbiamo già pensare a Berlusconi, Renzi, Grillo, Scalfari, al Pd, a Balotelli, alle vacanze sul Mar Rosso, quindi, per favore, vi aiutiamo là, a casa vostra, grazie.

Beniamino Franceschini



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