Magazine Diario personale

Il cane nero di Nicola Losito

Da Nictrecinque42 @LositoNicola

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Puglia, estate 1953. Masseria dei nonni materni.

Nicola, che all’epoca aveva undici anni, doveva assolutamente risolvere un problema che si trascinava dall’estate precedente e che lo aveva tormentato lungo tutto l’inverno.

Durante le passate vacanze estive era accaduto un fatto increscioso che aveva dato un duro colpo alla sua convinzione di avere uno speciale talento nel fare amicizia con chiunque, persona o animale che fosse.

I nonni Palmieri, potendo disporre di parecchi ettari di terra coltivata a grano e ortaggi, di un esteso vigneto, di molti alberi da frutta e di diverse specie di animali, per quel che riguardava i viveri, erano praticamente autosufficienti. Erano ben pochi i generi alimentari che dovevano acquistare per preparare pasti nutrienti e saporiti per se stessi e per i tanti parenti che d’estate si riunivano sotto lo stesso tetto. All’occorrenza le provviste che mancavano all’appello potevano trovarle nell’unico spaccio esistente nella zona ma che, oltre al non essere molto fornito, aveva la scomodità di distare più di un chilometro dalla masseria.

Nei lunghi periodi dell’anno in cui rimanevano da soli nel podere, facevano benissimo a meno di tutto ciò che non erano in grado di coltivare nei campi. Però, in estate, la presenza di parenti che normalmente vivevano in città ed erano abituati a cibi più elaborati di quelli che essi potevano offrire, consigliava a nonna Marietta di fare, di tanto in tanto, compere mirate in quella lontana rivendita di alimentari. Così ci sarebbero state in dispensa delle leccornie gradite ai nipoti piccoli, spesso schizzinosi davanti a certi piatti tipici della campagna pugliese.

La nonna, preparata la lista, affidava quasi sempre a Nicola il compito di andare a fare quei particolari acquisti.

Per raggiungere più rapidamente il piccolo spaccio alimentare, situato in un agglomerato di quindici, venti case che tutti chiamavano “paesotto”, di solito il bambino attraversava i campi di grano del nonno e anche quelli della proprietà confinante, delimitata da una rete metallica e crollata in più punti, che tutti varcavano senza farsene un problema.

Un giorno dell’estate passata, durante il tragitto verso il paesotto, in prossimità di un pozzo artesiano dislocato lontano dalla masseria dei vicini, era improvvisamente comparso, abbaiando all’impazzata, un enorme cane nero che, per sua fortuna, era legato a una catena non molto lunga e resistente. La sorpresa era stata così grande che aveva perso l’equilibrio ed era caduto all’indietro, gambe all’aria, riuscendo in questo modo a evitare di essere azzannato. Letteralmente impietrito dall’abbaiare furioso del cane che cercava di afferrarlo, era rimasto per un bel po’ lì disteso a guardare le fauci piene di bava dell’animale che contribuivano a rendere ancora più spaventosa la sua aguzza dentatura. Una volta capito di averla scampata, raccolte le forze, Nicola si era alzato da terra e, quasi per vendicare l’onta del ruzzolone, aveva preso a sbeffeggiare e aizzare il cane, col risultato che quello, completamente impazzito, aveva continuato i suoi inutili assalti, incurante delle ferite al collo causate dai rimbalzi della catena tesa al massimo.

A convincere il bambino a non insistere in quella stupida spavalderia era stato il pensiero che si era fatto tardi e che se non si fosse affrettato avrebbe rischiato di trovare chiuso lo spaccio. Espletata la commissione al paesotto, il viaggio di ritorno prevedeva un nuovo passaggio in vicinanza del pozzo, ma stavolta, consapevole del pericolo, si era tenuto a debita distanza. L’animale, accortosi della sua presenza, aveva ripreso ad abbaiare in modo spasmodico e aveva continuato finché lui non era scomparso dalla sua vista. Tornato alla masseria Nicola aveva subito messo al corrente i nonni della sua brutta avventura e loro, senza dare grande importanza alla cosa, gli avevano consigliato di girare al largo da quel cane che evidentemente era stato addestrato per proteggere il pozzo dei vicini da estranei non sempre armati di buone intenzioni.

Quella notte Nicola aveva dormito poco, perseguitato dalla visione del cane nero e aveva rivissuto più volte al rallentatore la scena del capitombolo che lo aveva salvato da una brutta fine. Dentro di sé però, era anche consapevole di avere sbagliato nell’insistere a irritarlo: per colpa del suo sciocco comportamento l’animale si era ferito il collo con la catena e questo pensiero lo faceva stare ancora più male. Qualche giorno dopo, di nascosto dai nonni, era tornato al pozzo dei vicini per rivedere il cane nero e tentare di farselo amico offrendogli un pezzo di pane. Non ci fu verso. L’animale disdegnò il cibo che gli aveva lanciato e continuò ad abbaiare in modo forsennato, smettendo solo quando lui si fu allontanato.

Per la prima volta nella sua esistenza, e proprio in ragione di tale avvenimento, Nicola aveva realizzato che qualcuno poteva non gradire le sue richieste di amicizia e, anche se si trattava solo di un animale, il rifiuto subito aveva lasciato una traccia sgradevole nella sua mente di bambino. Quell’estate un sottile malessere aveva intaccato in maniera irreversibile il carattere, fino ad allora, troppo sicuro di sé di Nicola.

Tornato a Bologna e ripresa la normale vita di città, pur con le preoccupazioni della scuola, dei compiti a casa e le distrazioni dei giochi con i compagni di strada, la sofferenza per quella brutta avventura estiva ci mise parecchio ad attutirsi. Lo scontro col cane nero fu il primo di una lunga serie di esperienze, non importa se brutte o belle, che, una volta vissute e metabolizzate, nel tempo si sarebbero accumulate una sull’altra nei meandri della memoria come mattoncini di un muro, emblema e ossatura del suo carattere in formazione. Forse proprio per questo Nicola, con grande fantasia, chiamava ossi di pollo i ricordi delle sue battaglie adolescenziali.

A metà giugno del ’53, all’inizio della nuova vacanza estiva alla masseria dei nonni, il ricordo amaro di quell’amicizia negata ci mise un attimo a tornare vivo nella sua mente. Per questo, la sera stessa del suo arrivo, finita la cena ed esauriti tutti gli argomenti concernenti la scuola e i buoni risultati ottenuti, Nicola prese da parte nonno Pietro e gli chiese:

«Come sta il cane dei vicini?»

Il tono indeciso della voce e la faccia ansiosa con cui si era espresso, provocarono una reazione di segno opposto in suo nonno che, nel ripensare alla scena del nipote con le gambe all’aria, esplose in una lunga e grassa risata e, quando riuscì a ricomporsi, trattenendo a stento le lacrime per il troppo ridere, ripose:

«Mi hanno detto che è diventato ancora più cattivo e da quel che ne so, ti sta aspettando…»

Quasi offeso perché vedeva ridotta a farsa quella disavventura che solo per un pelo non era terminata in tragedia, Nicola controbatté, piccato:

«Ridi pure, nonno, presto, anzi prestissimo, riuscirò a fare amicizia con lui! Scommettiamo qualcosa?»

«Scommessa accettata! Se ci riesci, ti regalo il primo maialino che nasce quest’estate e potrai portarlo con te a Bologna!»

Nicola avrebbe voluto iniziare già dalla mattina seguente la battaglia con il terribile cane nero dei vicini, ma il lungo viaggio in treno lo aveva parecchio stancato e, soprattutto, non aveva ancora studiato una strategia per vincere la sfida.

Per avere una qualche probabilità di vittoria, doveva essere nel pieno delle sue forze, quindi temporeggiare era la cosa più intelligente da fare al momento.

I giorni di vacanza in campagna passavano lenti, riempiti di giochi, di piccoli compiti eseguiti agli ordini di nonno Pietro, lavoretti quali la raccolta delle uova nel pollaio, portare i tacchini in giro per l’aia o dare il mangime ai maiali. Anche se l’urgenza di iniziare la battaglia sembrava quasi non esserci più, Nicola non aveva dimenticato la sua scommessa. Stava solo accantonando il problema fino al giorno in cui avesse trovato un modo brillante per affrontare il grosso cane nero che non aveva voluto saperne di lui. L’unica idea che gli era passata per la testa consisteva nel portargli con regolarità del cibo e farselo amico prendendolo per la gola, ma poi convenne che quella sarebbe stata una soluzione molto banale. Per rabbonirlo e lavare in modo soddisfacente l’umiliazione del suo ruzzolone a gambe levate che aveva segnato il loro primo incontro, ci voleva qualcosa di ben più eclatante.

Siccome il tempo scorreva e una possibile soluzione faticava a presentarsi, a un certo punto capì che non poteva ritardare all’infinito lo scontro. Così una mattina, preso il coraggio a due mani e senza avere ancora nessuna idea precisa in testa, s’incamminò verso l’appuntamento con il suo pericoloso e temibile avversario.

L’incontro fu deludente.

Il cane nero lo accolse ringhiando e abbaiando con immutata furia e solo la resistenza della catena gli impedì di mangiarsi in un boccone l’incauto bambino che aveva di nuovo osato avvicinarsi al pozzo.

Il ritorno a casa del piccolo guerriero fu molto mesto. Nicola, in cuor suo, aveva sperato che l’animale, passato un anno, si fosse in qualche modo ravveduto e lo avrebbe accolto con la stessa gioia con cui i due cani del nonno, anch’essi feroci con gli sconosciuti, lo salutavano ogni volta che lui tornava alla masseria. Le cose non erano andate così, anzi, come gli aveva scherzosamente anticipato nonno Pietro, la cattiveria e la rabbia del cane nero sembravano essere aumentate durante l’inverno. L’amor proprio del bambino aveva subito un nuovo e durissimo colpo: oltretutto, al momento, la mossa vincente per uscire dal vicolo cieco in cui si era cacciato era ben lontana dal concretizzarsi.

Per qualche giorno Nicola si chiuse in un mutismo malmostoso che fece pensare a sua madre che non stesse bene e che perciò avesse bisogno di un’immediata cura ricostituente a base di uova fresche di giornata. Lui odiava bere quel viscido miscuglio di albume e tuorlo che sua madre gli propinava a ogni accenno di malessere, perciò la cura peggiorò ulteriormente il suo umore. Ben presto però, per sopravvivere alle ansiose attenzioni della madre, capì che era opportuno scacciare dalla testa i brutti pensieri e tornare vispo mostrando agli occhi di tutti una buona cera. Il forzoso cambio di atteggiamento ebbe un miracoloso e del tutto insperato effetto anche sulle sue attività cerebrali.

Un’idea prese a farsi strada nella sua mente: una pazza idea che, forse, poteva funzionare.

L’unica cosa di cui aveva bisogno per attuarla era uno scudo che in qualche modo potesse proteggerlo durante la lotta. La ricerca durò un po’ ma, alla fine, quell’oggetto di difesa si materializzò in una vecchia sacca di cuoio porta attrezzi che stava appesa sulla parete antistante la stalla.

A quel punto Nicola era pronto a partire per la battaglia.

L’accoglienza che ricevette non appena fu in vicinanza del pozzo dei vicini fu rumorosa come la volta precedente. Pieno di paura ma convinto di ciò che stava per fare, il bambino appoggiò la grossa sacca davanti a sé e si sedette a tre o quattro metri di distanza dall’animale. Rimanendo immobile e silenzioso, con stampato sul viso un sorriso il più accattivante possibile in risposta all’abbaio furioso che gli rompeva i timpani, tenne costantemente lo sguardo fisso sul cane a seguirne i mille assalti, fermati solo dal fine corsa della catena che lo teneva legato al pozzo. Quando capì che l’animale era giunto allo stremo delle forze, si alzò e fece la mossa di avvicinarsi. Gli occhi del cane, quasi fuori dalle orbite, la bava che gli colava dalla bocca e il ringhio sordo, però, non promettevano niente di buono.

Il bambino capì che era inutile insistere e che era ora di concludere quel suo primo tentativo di approccio. L’aspetto confortante di tutta la faccenda fu che, allontanandosi dal pozzo con la sacca in spalla, l’animale, contrariamente al solito, smise di abbaiare molto prima che lui scomparisse alla sua vista.

Per parecchi giorni Nicola, armato della sola sacca, si ripresentò all’appuntamento con il cane nero, ripetendo sempre le stesse azioni: si sedeva per terra, muto e sorridente, ma ogni volta riducendo di qualche centimetro la sua distanza dal pozzo.

Finché una mattina, proprio mentre stava per sollevarsi dal terreno perché era ora di tornare alla masseria, il cane smise di colpo abbaiare, dando quasi l’impressione che gli dispiacesse che il bambino se ne andasse via.

Sicuro di essere ormai vicino alla vittoria, il giorno seguente, nel sacco che fungeva da scudo Nicola mise del pane e un pezzo di pollo recuperati in cucina. Il cane nero lo accolse col solito abbaio furioso, ma si capiva lontano un miglio che ormai lo faceva senza alcuna convinzione, i suoi assalti erano diminuiti di intensità. Il suo frenetico andare avanti e indietro sembrava dovuto più a un istinto atavico alla lotta per la sopravvivenza che a un effettivo desiderio di aggredire.

La distanza tra il bambino e l’animale si era ridotta a poco meno di mezzo metro: se Nicola avesse allungato il braccio, lo avrebbe potuto toccare, sempre che lui glielo avesse permesso.

Oramai solo la sacca divideva i due contendenti.

Quella mattina, senza nessun plausibile motivo, mentre Nicola era ancora seduto, il cane interruppe gli assalti, smise di abbaiare e, fermo in posizione di attesa vicino al pozzo, iniziò a uggiolare. Al che il bambino allontanò da sé la sacca e si alzò. Allungando lentamente la mano e scacciando dalla mente la paura per il pericolo che stava correndo, cercò di attirare a sé l’animale, spronandolo con un tono di voce il più suadente possibile.

Con riluttanza, ma nel contempo scodinzolando, il cane nero decise finalmente di muoversi e di avvicinare il muso alla mano tesa del bambino. Nicola lasciò che la odorasse, sopportando stoicamente il fiato caldo del suo naso sgocciolante e poi, piano piano, spostò la mano sulla sua testa per accarezzarlo. L’animale, ormai tranquillo, apprezzò il gesto e per dimostrare che la cosa non gli dispiaceva, appoggiò a terra le terga, sollevando la faccia pelosa verso l’alto in modo che le carezze del bambino proseguissero lungo il collo.

Dalla gola del cane uscirono subito rauchi guaiti di piacere.

Solo allora, Nicola andò a prendere la sacca e ne estrasse il pane e il pezzo di pollo che aveva portato con sé. Poi si sedette accanto all’animale e glieli diede a piccoli bocconi.

Il bambino e il feroce cane nero erano finalmente entrati in comunione.

Da quel momento niente e nessuno avrebbe mai più potuto spezzare il rapporto di amicizia che si era instaurato fra di loro.

Le vacanze estive alla masseria proseguirono veloci: altri avvenimenti, altri giochi, altre occupazioni riempirono le giornate di Nicola e, a fine settembre, come sempre, arrivò il giorno della partenza per Bologna. Il maialino, premio per il vincitore della scommessa, purtroppo, non prese il treno con lui, ma fece la stessa misteriosa fine di tutti gli altri animali di fattoria che nonno Pietro ogni anno gli prometteva…

Estratto dal libro “Ossi di Pollo – Le battaglie dell’adolescenza”

Copyrights © 2005-2011 by Nicola Losito



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