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Il canto della rivolta

Creato il 10 agosto 2012 da Labellaeilcavaliere
Suzanne Collins
copertina Il canto della rivolta Hunger Games Suzanne Collins

Titolo: Il canto della rivolta
Titolo originale: Monckinjay
Autore: Suzanne Collins
Traduttore: Simona Brogli
Editore: Mondadori
Prima edizione italiana: 11 maggio 2012
Prima edizione: Scholastic Press, 24 agosto 2010
Pagine: 419
Prezzo: Brossura - € 17,00

Il canto della rivolta è il terzo della trilogia di Hunger Games.
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A Capitol city la cittadinanza segue mode stravaganti e vive alle spalle della popolazione dei distretti che è, invece, costretta a orari di lavoro estenuanti per vedere la propria fatica ricompensata con la fame. In più ci sono gli Hunger Games, giochi folli dove i bambini dei distretti sono costretti a uccidersi l’un l’altro per sopravvivere: una moderna sintesi tra i combattimenti tra gladiatori e i reality show. L’ambientazione giusta perché fiorisca la speranza in una figura quasi mitica, quella del distretto 13. Creduto scomparso per sempre per più di settantacinque anni, il distretto 13 è sopravvissuto, ha trasformato i propri cittadini in un esercito e costruito una società militarizzata e troppo programmata, dove ogni arrivo è una nuova pedina, un nuovo tassello.
Pur coltivando il sogno di vendicarsi contro Capitol city, distruggendone il governo, il distretto 13 ha avuto bisogno della scintilla della ragazza di fuoco, Katniss Everdeen. Ecco perché salvare lei e non Peeta, abbandonato nelle mani del presidente Snow.
Solo che finché non sarà lei stessa a decidere di rindossare i panni della Ghiandaia Imitatrice è fuori uso e non c’è molto che il distretto 13 possa fare, ma lo sappiamo: diamo a Katniss un valido motivo (Peeta/Snow) per lottare e allora non ci sarà più niente, se non la fine stessa, che la possa fermare. D’altra parte Alma Coin, la presidente del 13, e la sua squadra hanno già pronta un’équipe di specialisti pronti a trasformare Katniss: il suo staff di preparatori, prelevati direttamente da Capitol city. In attesa di metterli all’opera, sono tenuti incatenati, mezzi nudi e ricoperti di lividi tanto per rendere più gradevole il loro soggiorno forzato in isolamento.
La loro colpa è spiegata in una frase: «Hanno rubato del pane». Il governo di Panem punisce il furto con scudisciate sulla pubblica piazza, il distretto 13 fa sparire chiunque non rispetti le regole. Nel 13 nessun cittadino può assumere più calorie di quante non gli siano necessarie per affrontare il programma giornaliero, rigorosamente scandito. Ma c’è di più: il 13 è inquietante e ricorda ora una labirintica e soffocante prigione, ora una grigia e oscura caserma militare dove tutti sembrano essere destinati a trasformarsi in efficienti armi da guerra.
Questo è il preludio di una delle atmosfere più agghiaccianti dipinte dalla Collins nella trilogia: Panem è diventata una grande arena, gli Hunger Games si giocano sulla strada.
Ho letto questo libro così velocemente e in uno stato tale che mi chiedo se il verbo leggere sia davvero adatto. In un crescendo di tensione la Collins dipana il suo gomitolo di tragedie e disgrazie, rimanendo fedele allo stile tanto apprezzato nei precedenti capitoli. Fin dalle primissime pagine è evidente e insopportabile la mancanza del personaggio che ritengo veramente fondamentale: relegato al ruolo di spalla di Katniss, suo innamorato e strenuo difensore, Peeta regola lo svolgimento dell’intera vicenda.
Ma è già fin troppo tardi quando gli strateghi militari del 13 decidono che è ora di salvarlo. Torturato con il veleno degli aghi inseguitori in modi che restano solo immaginabili, e perciò più agghiaccianti di altri momenti sanguinolenti descritti dalla Collins, Peeta è stato trasformato in uno strumento di morte e tutto ciò che vuole è uccidere la tanto amata Katniss. Non è solo il corpo del ragazzo, ma anche la sua mente a dover guarire: infatti, non è più in grado di distinguere cosa sia vero e cosa sia falso.
Nel salvataggio in extremis vengono recuperate anche Annie, la amata di Finnick, tributo vincitore noto per la sua bellezza, e Johanna Mason che Katniss elegge a sua nuova amica e sprone nell’allenamento militare.
Katniss decide infatti di arruolarsi così da poter partecipare all’attacco al distretto 2 e a Capitol city: il suo unico pensiero è uccidere Snow. Se nei primi capitoli l’incoerenza di Katniss era sottile e attribuibile ai giochi nell’arena, in quest’ultimo episodio diventa incontenibile. Anche dopo aver riavuto Peeta, sospirando al ricordo dei suoi baci sulla spiaggia dell’arena, si ritrova tra le braccia di Gale. Quest’ultimo si rivela una totale delusione: perfetto soldato, devoto alla ribellione, non riesce proprio, o forse non ci prova nemmeno, ad avere una visione più ampia, più umana (nella declinazione altruistica di questo aggettivo).
In tutto questo, mentre Peeta avrebbe bisogno di lei, Katniss lo lascia quasi a se stesso e quando si ritrova alla guida di una squadra di soldati, trascina tutti verso il macello… ops, in una missione quasi impossibile verso la villa di Snow.
Attenuante a questa sconsideratezza è il fatto che né la Ghiandaia Imitatrice né i suoi compagni sono degli eroi a tutti gli effetti: sono semplici esseri umani con le loro debolezze e oscurità. Così, solo così, perdoniamo l’egoismo di Katniss, la cecità di Gale
Non voglio rivelarvi le battute finali della guerra, ma vi metto già sull’avviso: ve la prenderete. Morti inutili e per di più inaspettate incorniciano l’assedio, ma almeno (e finalmente!) Katniss riesce a colpire il vero nemico.
Sono rimasta un po’ delusa dalla conclusione, forse un po’ frettolosa e scontata, ma ammetto che non ne avrei immaginata una molto diversa a meno di non chiudere con una totale tragedia, anche se vi accorgerete che nessuno ha avuto il suo lieto fine.
Chi legge la trilogia della Collins deve far attenzione a non cadere nelle trappole delle apparenze: la vicenda romantica c’è, ma non è d’amore che si parla; Hunger Games è la storia di un potere sordo che porta il popolo alla ribellione, ma come in ogni rivolta ognuno corre il rischio di essere solo una pedina inconsapevole sulla scacchiera invisibile di pochi che egoisticamente bramano un proprio futuro glorioso.

* * *
Vero o falso?
Vero.
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Amaranth

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