Adoro il Veronesi scrittore, condivido parte delle preoccupazioni di questo pezzo sulla (de)crescita, ma non le conclusioni secondo cui ogni innovazione andrebbe nel senso sbagliato e quindi verso la distruzione del globo.
Ogni ricerca produce risultati che poi possono essere utilizzati in un modo piuttosto che in un altro o non essere utilizzati affatto.
La decrescita sarà essa stessa figlia dell’innovazione perché discenderà da nuovi modelli e da nuove tecnologie. Per esempio è da nuove tecnologie che nascerà un materiale che assorba sole con meno superficie del silicio e consentirà di chiudere le centrali termoelettriche. E quando potremo teletrasportarci non avremo più bisogno di auto, treni ed aerei e quindi l’aria sarà meno inquinata. E contemporaneamente non sappiamo quali eventuali problemi potrebbero portare le due scoperte di cui sopra.
Un tempo il fuoco che restava sempre accesso divorava le foreste e massacrava intere tribù e razze di animali. Nelle caverne si moriva di freddo, le donne morivano di parto. Chi decide qual è il momento di decrescere? O meglio…chi decide su cosa decrescere e su cosa continuare a crescere?
Questa contrapposizione tra crescita e capitalismo da una parte e decrescita è figlia di un errore ideologico che mischia le pere con le mele.
La crescita non è un fenomeno economico, bensì sociale, legato alla evoluzione dell’uomo intesa come collettivo. E’ un fenomeno globale e non classista. E’ forse l’unico fenomeno comune a tutta l’umanità. Chi si estrae da questo fenomeno lo fa come individuo e in modo consapevole. Oggi sono le classi medio-alte che possono apprezzare il fascino della campagna, spendere qualcosa in più per carne e verdura biologica, andare in bicicletta perché abitano in centro, dotare le case di sistemi ecologici per produrre energie. Andate a parlare di decrescita ad una famiglia che abita in qualche casermone di cemento confinante con il raccordo.
Ci sarebbe qui, da scomodare Eraclito, Levi Strauss e persino Marinetti. Sul fatto che siamo in una di quelle fasi di crisi economico e sociale che solitamente determina cambiamenti e redistribuzioni di ricchezza ed evoluzioni passando attraverso una guerra. Oppure che nessuno di noi può pretendere di stabilire quale deve essere lo stile di vita altrui a meno di instaurare una dittatura, ma la Storia ci ha già insegnato cosa accade a voler imporre un unico barattolo di cetrioli da distribuire ad ogni famiglia. Il modello individuale, i desideri soggettivi non possono rappresentare un modello sociale.
L’unica arma rivoluzionaria è la cultura diffusa che aumenta la consapevolezza dell’umanità e consente scelte migliori in quanto più ragionate.
L’analfabetismo comporta astensione o clientelismo. Non è un mero discorso elettorale. L’astensione può essere anche astensione dalla conoscenza, il clientelismo può essere anche clientelismo mentale. Quello elettorale, per esempio, conduce politici al governo non orientati al bene comune, corruttibili dalle multinazionali e che quindi governeranno la crescita malissimo. Non è forse questo il vero nodo? Gira, gira, gira…smontando il processo in mille pezzi non arriviamo forse sempre nello stesso punto? E’ la politica che va ripensata nei suoi processi di selezione e crescita.
Il guaio non è l’innovazione. E’ chi gestisce i processi evolutivi, anche microcosmici. Agli operatori della cultura (o intellettuali come si diceva una volta), di cui Veronesi fa parte, spetta il compito di accendere la luce sul tavolo giusto. Non di allinearsi ad un’idea, come accadeva nel novecento (Dio ce ne scampi dagli intellettuali allineati), ma di esercitare quel pensiero critico e libero per poterlo trasmettere in modo virale. Perché è proprio dalla vera libertà, quando essa sarà patrimonio democraticamente diffuso, che scaturirà la decrescita di massa perché sarà una scelta spegnere la tv, andare a piedi, leggere un libro, andare in bici, fare l’amore su una spiaggia il venerdì perché il venerdì non lavorerà nessuno, eccetera, eccetera, eccetera.
E non so perché ma questa discussione, mi ricorda dannatamente la caverna platonica e il fatto che la storia dell’uomo non è affatto una linea, ma come sostengo da anni, una spirale.