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Il capitalismo italiano costretto ad "aprirsi"

Da Roxioni
Il capitalismo italiano costretto ad
Amministratori delegati costretti a scegliere in quale società stanno davvero, tra le tante cui partecipano fingendo di farsi conccorrenza.
Il capitalismo italiano costretto ad Un passaggio importante nella strutturazione del capitalismo in questo paese sta avvenendo senza che in molti se ne accorgano. E' solo un primo passo, ma definisce la direzione: ognuno per sé e pedalare nei mercati, niente più "protezionismi" garantiti dalle partecipazioni incrociate e dai rapporti di frequentazione....
Questa è l'idea che il capitalismo globale sta imponendo attraverso Monti, ma non si può certo dire che si stia correndo troppo. La prima mossa consiste nel divieto, operativo da ieri, di sedere su più poltrone di aziende (dello stesso ramo d'affari, a partire da banche, assicurazioni, ecc) teoricamente indipendenti e addirittura in concorrenza tra loro. Palese il caso di alcune assicurazioni (Generali, per esempio) controllate da banche d'affari (Mediobanca) nel cui cda e nel cui azionariato sono presenti altre banche che compartecipano in altre assicurazioni, controllate o compartecipate a loro volta da altri istituti ancora.
Complicato? Certo. Nel caos si lavora meglio. Specie se si scopre che quelle migliaia di poltrone sono in realtà occupate da poche decine di persone, che si scambiano i ruoli, le informazioni, ecc. source
Una sola poltrona per il capitalismo italianoFrancesco Piccioni
Stop agli interessi incrociati nei cda. Ma è un nodo risolto a metàNel silenzio più assoluto dei diretti interessati, Mario Monti sta facendo qualcosa. Non «di sinistra», per carità, non è nelle sue corde. Ma di «liberale», sì. Come si conviene per un varesino che intende i vantaggi dello stare sul confine, sta facendo però solo la metà del lavoro che sarebbe logico. Può essere che sia una strategia, può darsi che si tratti di una gattopardata. Ai posteri... Con il decreto «Salva Italia», in mezzo a lacrime e sangue per i poveracci, si annidava un articolo - il 36, solo per caso il doppio del «18» - che, entro la giornata di ieri, costringeva i consiglieri di amministrazione di banche, assicurazioni, finanziarie varie a scegliersi una sola poltrona invece delle decine su cui si solito siedono. Per evitare che incassino troppi gettoni di presenza, in omaggio a un grillismo senza visuale ampia? Nemmeno per sogno. Per evitare che continuino a gestire da posizioni «in conflitto di interesse» le innumerevoli partecipazioni incrociate che fanno capo a loro stessi. I rapporti incestuosi tra società controllate e controllanti è una costante del capitalismo familistico italiano, che ha avuto il suo cuore pulsante - o la sua testa pensante - nella Mediobanca del quasi eterno Enrico Cuccia (il genero di Beneduce, fondatore dell'Iri in piena epoca fascista, ma che aveva chiamato Idea Socialista l'amata figlia). Questo singolare nodo di Gordio tra tutte le principali famiglie del capitalismo nostrano domina da oltre 60 anni la scena; decide le strategie, occupa le poltrone decisionali o le condiziona da vicino, concede credito a volontà o lo nega, include od esclude sulla base di criteri che poco hanno a che fare con l'economia o la finanza. Se non uno: è stato l'arma di difesa di un capitalismo debole proprio perché familiare, «piccolo» come patrimonio (in paragone ai corsari globali, ovvio) e soprattutto come «visione». Inabile, dunque, a competere «azienda per azienda» sul mercato globale. Si può dirla anche in modo più dolce: facevano «sistema». Un esempio tra 1.000. Dal cda di Mediobanca stanno uscendo praticamente tutti. Ennio Doris (che compartecipa Mediolanum insieme a Berlusconi), Fabrizio Palenzona (che però resta vicepresidente di Unicredit e presidente di Aeroporti di Roma), Vincent Bolloré (che però resta vicepresidente delle Assicurazioni Generali e promette di inviare a piazzetta Cuccia, al suo posto, una «bocconiana che parla perfettamente italiano» e si chiama Vanessa Laberenne), Marina Berlusconi (che però resta presidente di Mediaset e si farà sostituire da tale Piersilvio B.). È finalmente stata posta fine alla matrice genetica dei conflitti di interesse? No. La misura prevista riguarda le persone, non le partecipazioni azionarie . Cosa significa? Che i vari Palenzona, Bolloré, Berlusconi, ecc, non potranno più sedere - per esempio - anche nel consiglio di amministrazioni di Generali e contemporaneamente anche il quello di Unicredit, Mediolanum, IntesaSanPaolo, ecc. Ma manterranno senza problemi le proprie quote: semplicemente, dovranno farsi rappresentare dalle «seconde file» familiari o da persone di fiducia strettamente sotto controllo. Come giustamente sottolinea l'ottimo Gianni Dragoni, «non c'è un rinnovamento della classe dirigente», ma si impone una (piccola) «rivoluzione nel piccolo mondo antico dei salotti italiani». Gli effetti non saranno immediatamente clamorosi, certo. Una classe dirigente abituata a frequentarsi settimanalmente o quasi, tra un cda e l'altro, dovrà diradare le frequentazioni, delegare poteri e leggere report invece di guardarsi perennemente negli occhi. A lungo andare ne verrà una qualche differenziazione maggiore di interessi, una «specializzazione» settoriale invece dell'orgia della partecipazioni incrociate, un allentarsi dei «patti di sangue» (pardon, «di sindacato»). Monti è stato mandato a tagliare quel nodo con la spada, novello Alessandro. Non ha affondato, ha dato tempo. Da qui il silenzio generale, la mancanza di «opposizione» dei gerarchi del capitale italico. Ma il varco è aperto. È solo questione di tempo: gli «invasori» troveranno difese abbassate, legami più lenti. Il resto del nodo si scioglierà per forsa di cose. Da solo.

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