Quest’articolo è frutto di una chiacchierata con un’amica svoltasi ieri sera. Un’amica scrittrice. Si parlava, tra l’altro, della mia Ragazza.
Esperienza strana, scrivere un libro: ancor più se ci si trova a sentirlo, viverlo quasi, com’è capitato a me. È stato un libro sofferto, per motivi che non sto a spiegarvi. E difficile è la decisione che ho preso di ritornare, per il nuovo eBook, a quelle atmosfere per dar loro un seguito o, come preferisco chiamarla io, un’altra angolatura, una privilegiata dalla quale poter assistere a certe cose che ho voluto negare al testo già pubblicato.
Si tratta, come sempre, di scelte, scelte che mi sono trovato a compiere da solo, delle quali non mi pento. Ecco, una di queste fu la decisione di cancellare un intero capitolo, il fantomatico 5bis, datato 10 Settembre 2012, e intitolato Sottosopra, situato tra Crema Oscura e Safety Zone.
All’epoca, in un momento di editing furioso, lo trovai non tanto inadatto, quanto superfluo, giudicando che nulla di nuovo esso apportasse al risultato finale e di conseguenza, mettendolo da parte.
Eppure, eppure, certe chiacchierate fanno sorgere dubbi. E so che, non pubblicandolo, quei dubbi mi accompagneranno sempre. Ragion per cui, eccovi il Capitolo perduto di Girlfriend from Hell, nella speranza che chi abbia letto il libro voglia dirmi, in tutta sincerità, se ho fatto bene a tagliarlo via, oppure se ho commesso un errore.
Buona lettura.
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Sottosopra
10 Settembre 2012
Harrods è chiuso da più di un mese. Le danze del fuoco di Erica al Salon Rouge sono ancora lontane, se mai avranno luogo.
L’affitto, intanto, l’ho pagato io. Quasi mille sterline, in questa zona di Londra, nonostante sia una fogna grigia e fumosa, di quelle che piacevano a Dickens.
Il resto dell’assegno sparirà in un soffio.
Preservativi della Durex, presi al distributore, di ritorno dal Milestone, mentre il sangue mi pulsava nelle tempie per la paura di essere aggredito. Almeno non rischiamo di sfornare figli.
Siamo Quelli di Harrods… Siamo ancora vivi. E siamo inutili. E i nostri bambini lo sarebbero anche di più.
Da morti, al contrario, avremmo potuto essere martiri di questa follia. I primi. Quelli speciali, che vengono compianti, ricordati, venerati in fastose cerimonie funebri. Quelli sulla cui dipartita, di solito, si inventa un anniversario.
Avrei vantato centinaia di amici sconosciuti. E avuto in dono bellissime corone di fiori e parole vuote.
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Erica sostiene di aver visto col telescopio i cinesi dell’Asian Trade caricare dei sacchi neri, pesanti, in due furgoni bianchi. È successo la notte scorsa, mentre dormivo. Li portavano due uomini per volta. Ne avranno trasportati almeno sette. Secondo lei erano cadaveri.
Forse era solo spazzatura, obietto io. Ma che ci guadagno a contraddirla? Sgrana gli occhi e diventa una belva, quando ci provo.
Radio accesa. Una Corvette celeste con cromature e lettore CD.
Colazione senza appetito. Latte e cereali gommosi. E cucina che sa di sigarette isteriche.
È mezzogiorno. Di aggiornare il blog neanche a parlarne. Non ha senso. Forse è il caso di uscire a fare due passi. Magari riusciamo a sentire l’odore del cibo nelle vie dei ristoranti. Potremmo andare a Carnaby Street a fare i turisti di una Londra scema, tra colori psichedelici di acido finto, Union Jack reinterpretate e cartelloni inneggianti all’amore libero.
Però, lo stile delle donne dei sixties… Lei ci va matta, per le minigonne, le acconciature e per Miss Moneypenny, che sarebbe stata la miglior scopata di Bond, se lui ci avesse creduto.
C’è che la Gialla si prende proprio attraverso l’amore. Non conviene spenderci i soldi di una botta. Quindi James è stato un furbacchione.
Ma Jane non avrebbe di certo voluto i suoi soldi! Non era mica una di quelle!
Se lo dice lei…
Il citofono gracchia. Le faccio cenno di andare a rispondere. Si accende una sigaretta, prima. È passata alle Gauloises senza filtro. Molto più forti, ha concluso.
Se si deve crepare, meglio godersela.
Finalmente una cosa sulla quale concordiamo, oltre che sui preservativi.
Si riaffaccia poco dopo da dietro lo stipite bianco sporco della porta.
«Guess who? It’s her» annuncia. Poi si avvicina l’indice alla tempia e lo fa roteare veloce, tre o quattro volte: «She’s totally batshit.»
Per un momento immagino ci sia Miss Moneypenny, che sale nel nostro ascensore.
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In realtà è più calma del previsto. È entrata, frangia perfetta, camicia blu e pantaloni neri a zampa. Ha salutato entrambi con un bacetto e s’è accomodata sul divano dove Erica di solito si rassetta. Non s’è appoggiata allo schienale. Saggia decisione. In questo modo, le rimarranno solo i pezzetti di unghie conficcati nel sedere.
Ha le mani in grembo, Zooey. Se le sta sfregando già da un po’, a giudicare dai segni. E gli occhi arrossati.
Gradirebbe un caffè, purché non sia solubile.
Erica compra solo quello schifo. Niente da fare, quindi.
Forse un po’ d’acqua? propongo.
Fa cenno di sì.
Magari con un po’ di tè dentro?
In bustina, però.
Ok. Può occuparsene Erica.
A stroncarle o venerarle, sono sempre stato bravo, sul mio blog. Ma non le ho mai sapute consolare, le star del cinema. Così volto la sedia in modo da avere la spalliera sul davanti, per sistemarmici a braccia incrociate, e poggiarci sopra il mento; afferro il telecomando dandogli lo spunto con due dita per fargli compiere una rotazione completa, prima di acchiapparlo di nuovo al volo; e accendo la tv sulla BBC.
La speaker dai tratti orientali, oltre alla dozzina di nuovi casi di contagio nella sola Londra, riferisce che ignoti vandali, nottetempo, hanno staccato la spina al Riesensteckdose, su Ganton Street, e l’hanno dipinta di giallo. Sul muro grigio scuro dell’edificio c’hanno scritto un verbo all’imperativo: “Die!”.
Niente di ché. Il primato delle stramberie è ancora saldo nelle mani degli yankee che hanno preso di mira il papà di Spongebob.
Su un altro canale, Emily B. è a Chinatown, dietro una tavola imbandita nel mezzo di Gerrard Street. Accanto a lei il sindaco Johnson, biondissimo. Somiglia a Gary Busey. Mangiano anatra alla pechinese, manzo in salsa di ostriche e chiacchierano amabilmente coi rappresentanti della comunità. Sopra le loro teste, festoni di lanterne rosse che ondeggiano sospinte dalla brezza.
Cerco di non pensare al vuoto che ci deve essere là dove le telecamere non indugiano mai. E a quanto siano state pagate tutte quelle comparse. Se l’avessi saputo mi sarei offerto anche io.
Faccio un altro po’ di zapping. Finisco su MTV Europe. Ci sono i King Crimson.
Tento di distrarmi come posso. Per non pensare che c’è lei accanto a me, sul divano pulcioso, a frignare.
Ogni tanto la sento tirare sul col naso.
Non mi fa bene saperla lì. Mi fa venire il formicolio sul collo. Forse è proprio là che mi sta fissando, adesso…
Ancora un momento e non ce la faccio più. Mi alzo e filo in bagno, sperando nel frattempo che non le venga in mente di chiedere di usarlo.
Gettato lì sulla mensola di legno, tra spazzolini ingialliti, un tubetto di dentifricio schiacciato nel mezzo e una confezione aperta, rosa shocking, di assorbenti interni, c’è un pacchetto di fazzolettini. Lo afferro e rientro.
Glieli porgo.
Ringrazia con un cenno, ne prende uno e si soffia il naso con un gran rumore.
Almeno è reale, cazzo.
Butto il pacchetto sul tavolino e mi rimetto a sedere e a fantasticare.
Sui caroselli in tv, gli spettacolini messi in piedi ad arte coi personaggi famosi; ai quali non crede nessuno, ma che consolano, in un certo modo, perché almeno ci stanno provando a mostrare che le cose non vanno così male; e penso a lei, che non ha altri ai quali domandare conforto, che me ed Erica.
La mia vita, paragonata alla sua, adesso non fa tanto schifo.
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Da un paio di giorni Zooey non riesce a mettersi in contatto con Los Angeles.
Sorseggia il tè. Poi fa una smorfia. Stringe le labbra.
La cosa non mi meraviglia, considerando chi l’ha preparato. Guardo Erica e sorrido. Non afferra.
Brian… ricomincia, non so cosa… sono tantissimi… dio santo… Chiude gli occhi e fa un respiro profondo. Una lacrima le scorre giù per la guancia.
Dice che hanno sospeso tutti i voli per L.A. E per viaggiare fino a New York occorrono permessi speciali, nonché diverse settimane per ottenerli. Non può tornare a casa, per il momento.
Il labbro superiore si solleva un pelo di più dalla parte destra, quando parla. La voce bassa, monocorde. Fa parte di lei. Soppesa sempre le parole prima di usarle. Alle volte indugia troppo.
Stamattina ha preso un taxi e s’è fatta portare fino a Bettersea Park; c’erano parecchie auto di pattuglia. Ma prima ancora di uscire dall’auto aveva già cambiato idea. S’è cullata al pensiero di noleggiare una bici e rilassarsi con una passeggiata in riva al laghetto. Quando ha visto la vegetazione fitta e rigogliosa e immaginato se stessa, sola lì dentro, preda degli infetti.
Ha chiesto al tassista di continuare a guidare. Alla fine ha deciso di venire subito qui. Era già previsto, perché c’è qualcosa che deve dirci.
Troppo educata per mollare la tazza. Beve un altro po’ di tè, sotto lo sguardo compiaciuto e interessato di Erica.
Devo essere trasferita in una zona più sicura…, riprende.
Sono state chiamate Safety Zone. E approntate per proteggere un numero selezionato di cittadini. A giorni verrà dato l’annuncio ufficiale. Si prevedono scontri. E nei prossimi sei mesi un picco nell’incidenza della pandemia.
Solo i possessori di speciali tessere avranno diritto all’assegnazione di alloggi in questi settori.
Zooey ne ha già ricevuta una. È considerata un’esponente di spicco, sebbene ospite, della società inglese. In quanto tale, le è stato concesso di indicare tre nominativi per suggerire altrettante attribuzioni. Uno è Richard. Gliene restavano altri due: i nostri. Non siamo le sue uniche amicizie, in Inghilterra; ci sono colleghi, attori, cantanti, gente importante; piuttosto siamo i soli, tra tutti quelli che conosce, che hanno bisogno del suo aiuto in questo momento. Ci prega perciò di accettare.
Posa tazza e piattino sul tavolino all’altezza delle ginocchia. Ci guarda a turno. Prima me, poi Erica, poi ancora me.
Nessuno di noi parla.
«Good» esclama.
Fruga nella sua borsetta e ne estrae uno smartphone. Lo accende. Deve avvertire Richard. Spero non mi uccida, scherza. Tira su col naso.
«No need for thanks» rassicura, alzandosi.
Quando mi supera, mi giro assorto a guardarle il culo, a caccia di frammenti di unghie.
(le immagini, come sempre, vengono dal mio tumblr)