Il 19 aprile del 1946, i Francesi furono chiamati alle urne per pronunciarsi sul nuovo modello costituzionale elaborato dall’ Assemblea, nata dopo Vichy e a maggioranza socialcomunista. Cardine del nuovo progetto istituzionale, era l’abolizione del Senato e il concentramento dei poteri in un’unica Camera, soluzione voluta e caldeggiata dalla maggioranza di orientamento filo-sovietico decisa in questo modo a sbarazzarsi di un filtro importante come il Senato per poter facilitare la propria ascesa al potere. Aspramente contraria al disegno, la Destra del generale De Gaulle, lontana da qualsiasi alleanza parlamentare ed attestata in orgogliosa e combattiva solitudine. Il governo, presieduto dal socialista Gouin, era sicuro della vittoria e dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, ma così non fu: i “NO” vinsero con 10.670.993 milioni di voti contro i 9.130.764 dei “SI” Benché troppo spesso anchilosato, anchilosante e farraginoso, il bicameralismo (come il “parlamentarismo”) si presenta tuttavia come una soluzione di imprescindibile importanza ed assoluta necessità per baricentrare e regolare gli equilibri tra quei poteri che altrimenti rischierebbero di subire pericolosi addomesticamenti verso traiettorie lontane dalla prassi democratica e liberale. Non è peraltro una caso che nel corso della storia gli attacchi più tenaci e virulenti a questo genere di assetto siano arrivati da forze di tipo rivoluzionario o leaderistico. Chi in Italia sostiene che il Senato non sia che un mero rettificatore delle decisioni prese dalla Camera dei Deputati, mette in campo una semplificazione propagandistica (la stessa della sinistra socialcomunista francese del 1946) che ha lo scopo di confezionare l’immagine respingente ed impopolare di un parlamento rallentato e manomesso da un’appendice inutile perché priva di qualsiasi strumento d’interdizione, contrattuale e dialettico, ma così non è (l’ “iter legis” si è arenato tante volte proprio per l’opposizione di Palazzo Madama). Allo stesso modo, l’elevato numero dei parlamentari (fondato e formulato dal 1861 sul criterio della proporzionalità rispetto alla nostra consistenza demografica) risponde e rispondeva all’esigenza di dare rappresentanza completa a tutti i segmenti territoriali, così da favorire l’inclusione e la partecipazione delle nuove realtà regionali inglobate allo stato unitario dopo 1400 anni di divisione e lontananza. Ventralismo, populismo, qualunquismo e demagogia si presentano massimamente solidi e caparbi nei momenti di crisi, sicuri e forti dei punti d’ entrata che la difficoltà e la complessità della contingenza forniscono; sta tuttavia ai soggetti politici più responsabili ed attrezzati sul piano della maturità istituzionale non cedere posizioni al tornacontismo e fornire al cittadino gli adeguati strumenti di scavo ed analisi per difendersi e diffidare dalle insidie dell’omologazione promozionale e persuasiva.
Il carburante della crisi e le insidie della demagogia. La forza del bicameralismo: la lezione francese del 1946.
Creato il 21 gennaio 2014 da Catreporter79Possono interessarti anche questi articoli :
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