Sa Sortilla ‘e Tumbarinos, letteralmente il raduno spontaneo dei Tamburi, è il giorno più atteso del carnevale gavoese, che coincide con il Giovedì Grasso. Il tamburo, uno degli strumenti più antichi della Sardegna, sopravvissuto ormai in pochi paesi oltre Gavoi, diventa il principale protagonista della festa.
A differenza dei riti e delle cerimonie che si tengono in altre località barbaricine, tesi a ricordare la morte e la passione di Dioniso, con gesti e danze cupi, quello di Gavoi è un carnevale caratterizzato dalla musica, dalla festa, dall’allegria a cui partecipano donne, uomini, vecchi e bambini.
La preparazione a “Jovia Lardajola” (Giovedì Grasso) non si limita a qualche ora prima della sfilata… Le settimane che precedono “sa sortilla” sono caratterizzate dal suono flebile e lontano dei tamburi per le vie silenziose del paese. Succede infatti che in ogni casa i rumorosi strumenti abbandonino il proprio ruolo di oggetti puramente ornamentali in cantina o sui muri della cucina rustica, per esser “collaudati” in vista della festa: mani sapienti e orecchie allenate “tirano” le pelli sino a trovare il suono perfetto. Dalle antiche cassapanche vengono invece rispolverati gli immancabili capotti in orbace e i completi di velluto, che, con “sos cambales” (i gambali) rappresentano le antiche divise dei pastori.
Un silenzio suggestivo anticipa Sa Sortilla, tutto pare fermo, immobile..una sorta di “quiete prima della tempesta”: si tratta di attendere solo qualche minuto prima di sentire “sos Tumbarinos” che a piccoli gruppi escono dalle case.
L’atmosfera in poche ore diventa calda ed accogliente. Forse anche grazie ai litri di vino che immancabilmente accompagnano gli attori della cerimonia, ci si dimentica presto del freddo pungente che caratterizza il febbraio gavoese. E’ la festa di tutti, una pausa dal lavoro e dallo stress quotidiano: i pastori rientrano in paese prima dell’orario normalmente consentito (nonostante sia un periodo dell’anno di grande lavoro nelle campagne, per un giorno tutto viene dimenticato e lasciato da parte), i giovani che studiano o lavorano fuori ritornano in paese anche per un giorno solo, una sera, in cui tutto diventa possibile….
Ed ecco che la piazza si riempie…il rumore quasi assordante accompagna le chiacchere, i saluti, i brindisi, …un suono, una musica che entra dentro te, ti fa muovere al suo ritmo, ti fa aumentare l’adrenalina…e succede anche a chi non ha mai suonato uno strumento!
La sfilata parte e le vie del paese “si colorano” di risate, musiche e divertimento, che dura sino a notte inoltrata. Le piazze e i bar diventano palchi di ancestrali balli, i tamburi vengono poggiati a terra, al centro del cerchio dei danzanti persone di ogni età seguono il ritmo degli antichi “muttos de carrasecare” e degli strumenti che accompagnano tali canti: gli ormai già nominati tamburi, protagonisti assoluti del carnevale, su pipiolu e su triangolu…il resto lo fanno le persone.
E’ quasi impossibile e inutile descrivere come ci si sente in quelle ore, non si può che vivere , respirare, sentire e vedere di persona per capire a fondo lo spirito e l’essenza di questa festa unica e originale.
FRANCESCA PODDA
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