Il sanguinaccio, diffuso essenzialmente nelle regioni meridionali dell’Italia, costituisce uno dei dolci tipici del periodo carnevalesco e, ad oggi, ne esistono due differenti modalità di preparazione: quella classica, con l’uso di sangue di maiale; e quella ‘moderna’ che, quasi sostituta della prima, ne risulta, invece, priva.
Il maiale, simbolo di questo rituale alimentare di origini antichissime, ha forti legami con la sfera del sacro: l’animale è, infatti, associato alla figura di Sant’ Antonio Abate, festeggiato il 17 Gennaio, giorno in cui comincia la vera e propria festa del carnevale; inoltre, in molte società del Pacifico –Buid del Mindoro nelle Filippine, Orokaiva della Papua Nuova Guinea- il maiale è ritenuto sacro come un figlio e pertanto, lo si offre come dono agli antenati; ma le sue carni, data la vicinanza affettiva dell’animale all’uomo, saranno consumate da un’altra tribù e non da quella di appartenenza.
Esso è, però, altresì associato alla sfera del profano ed in particolare alla figura dell’uomo: le loro carni ed il loro sangue sono molto simili, ma soprattutto non esiste altro animale le cui abitudini sessuali si avvicinino a quelle umane: per entrambe le specie, cioè, non esiste una sola ‘stagione dell’amore’. Il maschio di maiale, inoltre, può cominciare la sua attività riproduttiva -precocemente- a quattro mesi, anche se già all’età di quattro anni non è più considerato un gran riproduttore; la femmina, insaziabile invece, si presta agli accoppiamenti fino a quindici anni.
Il maiale è quindi simbolo non soltanto di riproduttività, ma soprattutto di smoderatezza negli appetiti, sessuali e non. Questo spiegherebbe chiaramente l’associazione della bestia all’uomo in alcune mitologie, come quella omerica della maga Circe: perché trasformare i compagni di Ulisse proprio in maiali, e non in lupi o altro? Semplice: perché, in questo modo, avrebbe potuto godere delle loro durature performance sessuali.
La smoderatezza alimentare che equipara l’uomo al porco è facilmente riscontrabile proprio nella festa di carnevale: infatti il detto vuole che ‘del porco non si butta via niente’, neanche il sangue che è stato a lungo utilizzato a scopi terapeutici, sopperendo così alla mancanza di ferro tanto nelle donne durante il periodo mestruale, tanto in coloro affetti da anemia. In realtà, l’antica usanza terapeutica del sanguinaccio originario, è stata abolita, in Italia, nel 1992, per scongiurare il pericolo di infezioni, considerando che il sangue è veicolo di malattie trasmissibili. Ciò non toglie che il sangue di maiale per preparare il sanguinaccio è ancor utilizzato nelle campagne e, seppur non venduto –ufficialmente- in negozi alimentari, è facilmente reperibile –illegalmente- nei mercati di paese. Ma il valore del suino e delle sue proprietà, può essere anche, e soprattutto, nutritivo.
Ma perché proprio il maiale, e perché proprio a carnevale? Secondo la tradizione la coincidenza sembrerebbe casuale: nelle campagne del medioevo, così come in alcune campagne ancora oggi, esiste un ciclo per la preparazione del maiale -consistente nel suo rapido ingrassamento, nella sua brutale uccisione e successivo essiccamento- che si conclude proprio a cavallo tra i mesi di Gennaio e Febbraio, unico periodo dell’anno in cui il contadino -ed è stato così per molti secoli- non solo assapora la prelibatezza di un cibo prettamente destinato alle tavole dei ricchi e della nobiltà, nella speranza così di assottigliare, almeno temporaneamente, le differenze sociali, ma soprattutto assapora la sua fatica in una vera è propria orgia alimentare.
Non solo il sanguinaccio, ma anche il cosiddetto salame di cioccolato evoca il maiale sottolineandone l’importanza durante questo periodo dell’anno.
Il sanguinaccio, solitamente, è servito con biscotti, in particolare i comunissimi savoiardi o le famose chiacchiere, altra ghiottoneria carnevalesca.
A breve la ricetta del sanguinaccio nelle due diverse modalità di preparazione.