Salve a tutti!
Eccomi qui, sono ritornato a scrivere sul blog. Mi ha scritto più di qualcuno per chiedermi che fine avessi fatto ma non ho avuto molto tempo di scrivere sul blog per via di tantissimi impegni professionali e personali.
Ora che gli impegni, pur sempre intensi, sono diminuiti, voglio ritornare a scrivere più assiduamente, anche per non perdere in alcun modo la pratica linguistica. Quando qualche giorno fa, parlando con un collega italiano, ho scritto “ugualianza”, mi sono reso conto di che cosa significhi non essere più a contatto costante con la propria lingua madre.
Poichè però l’ultimo post risale a parecchio tempo fa, oggi mi pare opportuno pubblicare il più classico dei caroselli miscellanei di oscenità capitatemi! La formula è la solita, un paragrafo o poco più ad evento, e di più non dimandaTe.
Gianni e l’Urlante – A fine Agosto sono rientrato in Italia, ma prima di passare da casa sono atterrato in Polonia per le nozze del Campione del Mondo di Pasticceria Siciliana, talmente famoso da non richiedere neanche che citi il suo nome. Dopo il volo intercontinentale da Montreal arrivo quindi nella uggiosa Francoforte sul Meno, la città che meno preferisco di tutta la Germania, e scopro con grande orrore che l’aeroporto più trafficato d’Europa non è dotato di finger per molti voli perciò siamo costretti al trasporto in autobus. Il finger, per i viaggiatori meno scafati, è quel tunnel mobile attaccato al terminale dell’aeroporto che permette ai passeggeri di salire sull’aeromobile direttamente da dentro l’edificio. La storica alternativa è la navetta che fortunatamente, grazie a forti pressioni della IATA (www.iata.org, oppure venitela a visitare al Quartier Generale qui a Montreal), andrà man mano scomparendo.
L’autobus è pieno di gente assonnata di varie nazionalità, io personalmente arrivo da un volo intercontinentale, insonne e con associato jet-lag di sei ore: sono le sette del mattino ma per me è l’una di notte. In un angolo ci sono due coreani con una bambina che non si regge in piedi dal sonno. Lì invece ci sono alcuni tedeschi da stereotipo: austeri, impassibili e soprattutto taciturni. La quiete regna.
Purtroppo, sull’autobus c’è anche Gianni.
Gianni è un uomo sulla trentina, abbastanza sovrappeso, di grande statura. Porta un marsupio estremamente fashion e ha una cartella da tecnico di qualche tipo. L’abitus e il modus tradiscono immediatamente la sua cultura nerd. Ha un bel telefono di ultima generazione, di quelli ultra piatti, grande come un mattone, probabilmente è un Samsung. Poco importa, ora Gianni è sull’autobus con noi e sente il bisogno di chiamare una donna per recarle la buona novella.
“Ciao, sono Gianni… si… si… sono arrivato.”
Una conversazione normale, comune, con un tono di voce quotidiano, il genere di comunicazione che abbiamo fatto tutti e che è del tutto ordinaria in un aeroporto. Ma non il suo proseguimento. Con un cambiamento repentino, Gianni alza la voce e comincia a ripetere, incessantemente, “Ti calmi? Ti calmi? Ti devi calmare! Si! Ho capito! Ti calmi? Ti calmi? Calmati!” concludendo la litania platealmente interrompendo la telefonata.
Il trasferimento in autobus dal terminale all’aeromobile dura qualche minuto. Gianni ripete il suo rituale tra le dieci e le quindi volte, tra lo stupore generale e la paura di avere sul volo un esagitato. Il volo per Varsavia andrà bene, ma chissà chi è che si doveva calmare. Me lo sto ancora chiedendo. Forse la mamma premurosa e paranoica di un nerd inerfervorato? Misteri della società moderna.
Gervaso, Andrea e la Russa – Ovvero una storia di maleducazione o di differenze culturali, a seconda della posizione dell’osservatore. Siamo di nuovo all’aeroporto di Francoforte sul Meno, stavolta la tratta è diversa, rientro dalla Polonia e vado verso l’Italia. Anche stavolta il trasferimento avviene in autobus, perchè evidentemente a noi italiani il finger proprio non vogliono farlo usare. Poco male, sono in perfetto orario, non ho fretta, mi sono appena mangiato un pretzel caldo della ottima panetteria dell’aeroporto (panificano DENTRO l’aeroporto, questa è la Germania signori), sono in pace col mondo.
Chi purtroppo non è in pace è il figlioletto di una signora tracagnotta con un passaporto russo in mano, fatto che mi permette legittimamente, seppur con abuso grafico, di chiamarla La Russa. Mentre La Russa parla con il suo amico Andrea dei fatterelli quotidiani più insignificanti, il piccolo Gervasino, di circa dieci anni, si lancia in una serie di commenti a voce altissima per attirare l’attenzione dei suoi accompagnatori. Chiamando infatti entrambi per nome deduco che è improbabile che ne siano i genitori, quindi limitiamoci a etichettarli così.
Gervaso è un ragazzino vivace e curioso, vuole assolutamente che tutti godano della sua perspicacia e quindi si assicura di urlare più a squarciagola possibile per attirare l’attenzione di La Russa che preferisce invece parlare del tempo.
“Guarda La Russa, c’è un aereo che decolla!!!” urla, il ragazzino. In assenza del più minimo cenno di riconoscimento, insiste: “La Russa, ti stai perdendo tutti gli aerei che decollano!!!”. Niente da fare, non sembra un argomento interessante.
“Guarda, trasportano le nostre valigie!!! Le valigie!!!” indica ancora, urlando ancora più forte. L’indifferenza dei suoi accompagnatori risulta adamantina.
Ciò che invece non risulta indistruttibile è la pazienza di tutto il resto dello stipatissimo autobus. Sul labiale di una signora italiana dall’aria estremamente seccata leggo un plateale “Basta” seguito da una serie di vituperi non tradizionalmente associati al vocabolario femminile classico.
La tortura dura svariati minuti, nell’indifferenza più assoluta da parte di La Russa e Andrea che permettono al piccolo Gervasino di strepitare, indicare e urlare tutto il tempo senza la minima reazione, neanche la più basilare esortazione al rispetto del prossimo, concetto che un bambino di quella età può comprendere perfettamente, SE gli viene spiegato.
Le porte dell’autobus si aprono e finalmente Gervaso si calma. Un signore si avvicina a La russa e con il savoir-faire che si può avere solo a Roma, così commenta: “A signò, nun sò a casa sua, ma a casa de’ noatri su’ fijo c’ha fatto du’ cojoni così”.
Seguono risate collettive.
Il Campionato del Mondo di Vodka Sportiva – Come citavo poco fa, sono stato in Polonia per la maestosa celebrazione del matrimonio del noto Campione del Mondo. Tutta l’avventura, anche per i suoi aspetti sociologici, merita un articolo separato che molto probabilmente scriverò, anche perchè il matrimonio polacco è molto diverso da quello italiano, ma oggi rispondo solo a una domanda: è vero che la vodka scorre a fiumi nel matrimonio polacco?
Ebbene la risposta è assolutamente si. Aizzato alla competizione dall’amico di sempre Antani, sono arrivato alla diciottesima vodka artigianale di patata. Le conseguenze sono state due: il giorno dopo è stato “un po’ difficile” e mia sorella, anch’essa presente al banchetto ma astemia, si ricorda parti del ricevimento che io non mi ricordo. Fortunatamente la saggezza del cittadino del mondo non mi ha mai abbandonato e, contrariamente a tutti gli altri invitati, non ho prenotato il volo di rientro per il giorno successivo al matrimonio.
Beata saggezza.
Per chiudere – Potrei concludere il post di oggi con una lista enorme di saluti, ma il mio pensiero oggi va esclusivamente a mia sorella a causa del malanno che la affligge attualmente. Non è necessariamente qualcosa di grave, ma potrebbe avere conseguenze, perciò attendo oltreoceano una risoluzione positiva di tutta la vicenda.
Studio libero!