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Il caso Cucchi: lo Stato che umilia se stesso

Creato il 31 ottobre 2014 da Redatagli
Il caso Cucchi: lo Stato che umilia se stesso

Nella cascata di inchiostro amaro in seguito alla sentenza di assoluzione del caso-Cucchi rovesciamo la nostra inutile ampolla. 
Agli inizi dell'avventura di Tagli avevamo scritto un articolo sulla strage nello Stadio di Hillsborough, Inghilterra 1989. A cosa serviva quel pezzo? Serviva, certo, a raccontare una storia di morte e di passione; ma soprattutto serviva a raccontare di una notizia, ossia di come il governo inglese aveva ingoiato il rospo e sì, dopo più di 20 anni, ammesso le sue responsabilità e le sue colpe.

Anche se è pure qui inutile, sottolineiamo quanto un atto del genere sia ancora inconcepibile nella Repubblica italiana: lo Stato non ammette mai - mai! - gli errori dei suoi uomini; sovente accantona i più onesti tra i suoi servitori per premiare i più servili, e badate che la differenza tra servitore e servo è sottile ma esiste ed è fondamentale. 

Abbiamo abituato le nostre categorie di pensiero a considerare possibile - quando non abituale - il disgustoso scambio di impunità e avanzamento di carriera di funzionari corrotti (eticamente ancora prima che economicamente) come merce di scambio per il silenzio, l'asservimento, una concezione consortile dello spirito di squadra. 
È la teoria della ricattabilità, enunciata anni fa da Giuliano Ferrara con riferimento alla politica: meglio avere politici compromessi e ricattabili che politici integerrimi. I primi li puoi controllare, i secondi no: evidentemente questo schema di pensiero scellerato vale anche per la pubblica amministrazione.

La sentenza del caso Cucchi evidenzia almeno due verità scabrose: la prima è che dai soprusi di una polizia deviata non ci si può difendere. Un bell'articolo in proposito lo ha scritto qui Enrico Sola, che è un blogger da cui spesso si traggono spunti interessanti.
Tra l'altro, si tratta di soprusi assolutamente fine a loro stessi: se un virtuoso (...) equilibrismo logico-dialettico può rendere comprensibile e machiavellicamente giustificabile l'uscire dall'ordinamento nei casi in cui si intravede una luce fioca di ragion di Stato (comprensibile e giustificabile, scriviamo: certo non simpatico e sereno), come si può tollerare la serie di angherie a cui è sottoposto un piccolo criminale, un delinquentello da strapazzo, che si trova nelle mani sbagliate al momento sbagliato? Come fa lo Stato stesso a non cogliere la differenza, ed equiparare le prime alle seconde perdendo ogni credibilità per ogni sua futura azione?

La seconda verità è la avvilente, sconcertante, destabilizzante mancanza di certezza del diritto, e di controllo su chi il diritto lo applica: a due esami dalla laurea in giurisprudenza non ho ancora trovato una persona capace di spiegarmi come si possa passare da una sentenza di condanna ad una di appello se non muta radicalmente il quadro probatorio.
Se con gli stessi elementi a disposizione un tribunale dice bianco ed uno dice nero crollano i sofismi interpretativi, e uno dei due ha inequivocabilmente sbagliato. Che chi ha così grossolanamente sbagliato paghi! Paghi pecuniariamente, paghi sulla carriera, paghi dove si ritiene più giusto: ma paghi.

Lo Stato può - è un boccone amaro da digerire - decidere in quali vicende è in gioco la sua stessa sussistenza, e in certi casi agire oltre le regole: è una lezione che ci hanno dolorosamente insegnato gli anni '70, e siamo in attesa di tempi maturi a sufficienza (e di popolazione matura altrettanto) che ci permettano di fare pace con la nostra storia.
Ma lo Stato deve essere rigorosissimo con se stesso nel momento in cui decide cosa coprire, avendo cura che ciò accada il minor numero possibile di volte e avendo lucidità cristallina nel selezionare le occasioni: sicuramente un misero carcerato esula da queste dinamiche.

La polizia è composta da uomini che sono figli di una società: è illusorio credere che una società violenta, ignorante e prevaricatrice produca una polizia migliore di sé.
E c'è violenza, ignoranza e prevaricazione non solo nella tragica dinamica dei fatti che hanno coinvolto la vittima, ma pure nel raccapricciante dito medio degli indagati nei confronti della famiglia al momento della lettura della sentenza del 2013: è una immagine disumana e disturbante, e per questo l'abbiamo usata come immagine di apertura in tutta la sua vergognosa violenza.
Ma avvilupparsi su questo genere di causalismo società-forze dell'ordine è sbagliato, assolutorio. Per questo i responsabili di atrocità, anche dirette contro singoli individui, vanno isolati e colpiti. In maniera esemplare.

Elementi del genere disonorano, dissacrano la massa di forze dell'ordine corretta e scrupolosa. E costringono chi, come me, ha gli affetti più cari che vestono la divisa con orgoglio e con onore ad assistere impotente all'odio e al disprezzo di quella parte di popolazione che con ragione si sente prevaricata.
La rabbia della reazione a queste sentenze travolge tutto e tutti, è umano: lo devono capire i rappresentanti dello Stato.
Costoro non possono costringere i loro servitori più onesti ad essere accomunati a questa gentaglia: è un atto di disprezzo intollerabile.

Umberto Mangiardi
@UMangiardi


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