I nostri amici di Federsupporter (per chi non conosce questa Associazione, consigliamo un passaggio sul sito www.federsupporter.it) ci guidano nei meandri legali del caso Zarate. L'Avv. Massimo Rossetti (Responsabile dell’Area Giuridico-Legale) traccia un quadro che consente a tutti di capire i contorni della vicenda e le possibili conseguenze giuridiche.
Ringraziamo Federsupporter per l'autorizzazione a pubblicare integralmente il documento sul sito.
La SS Lazio, come è noto, ha avuto e continua ad avere, da tempo, rapporti difficili e critici con alcuni suoi calciatori.
Al riguardo, basti pensare, in passato, tra gli altri, ai casi Pandev e Ledesma e, oggi, ai casi Diakitè e Cavanda, nonché, forse il più eclatante di tutti, al caso Zarate (né, viste certe premesse, si può escludere, in un futuro più o meno prossimo, casi Hernanes, Onazi ed altri ).
Gli esiti di tali rapporti pregressi, almeno finora, non sono stati certamente positivi per la società, sotto nessun punto di vista.
Pandev, infatti, non è stato utilizzato per lungo tempo, pur pagato, ed è stato perso senza alcun indennizzo, allorchè il suo valore di mercato era stimato dalla stessa Lazio in circa € 10.000.000.
Analogamente, Ledesma non venne utilizzato, pur pagato, per lungo tempo e non venne perso senza alcun indennizzo solo perché il suo avvocato incorse in un errore procedurale.
Attualmente Diakitè, pur pagato, non viene utilizzato e si avvia, al 30 giugno prossimo, ad essere perso senza indennizzo.
Allo stesso modo, Cavanda, pur pagato, non viene più utilizzato e si avvia anch’egli ad essere malinconicamente perso senza alcun indennizzo.
Ma, come dicevo, il caso odierno più eclatante è quello di Zarate.
Quest’ultimo ha comportato, dal suo ingaggio ad oggi, un costo complessivo per la Società, tra costo di acquisizione, costi di intermediazione e retribuzione per l’anno in corso, superiore a circa € 40 milioni ( pari, cioè, a circa il 50% dei costi operativi globali della Lazio al 30.06.2012), mentre il suo valore residuo al 30.06.2012 è di poco superiore a € 8 milioni.
Nei giorni scorsi si è appreso da notizie di stampa che Zarate avrebbe inviato alla Società un certificato medico attestante una malattia di natura psichica.
Sempre secondo notizie di stampa, egli, nel periodo di malattia, sarebbe stato visto alle Maldive e, a seguito di ciò, pare che la Società starebbe vagliando l’eventualità di iniziative disciplinari a suo carico.
Questi i fatti, almeno così come finora noti.
La questione, al di là di quelli che potranno essere gli sviluppi e l’esito della vicenda, appare, comunque, già abbastanza chiara e delineata.
Sempre in base a notizie di stampa, il calciatore, fin dal gennaio scorso, avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di pervenire ad una risoluzione anticipata del contratto che lo lega alla Lazio fino al 30.06.2014 per asserito mobbing da parte della Società nei suoi confronti.
Già in precedenti occasioni avevo avuto modo di specificare che il pregiudizio tipico sofferto dal lavoratore per effetto di una condotta mobbizzante a suo danno consiste in una violazione dell’integrità psico-fisica della persona.
Una alterazione ( danno biologico) che non indica una menomazione organica o neurologica, bensì una alterazione di determinati processi mentali rispetto ad una condizione precedente.
A titolo esemplificativo, può parlarsi, in questi casi, di disturbi dell’umore, d’ansia, di fobie specifiche, di disturbi somatoformi, di disturbi dell’adattamento.
Disturbi che possono estrinsecarsi in una compromissione significativa del funzionamento sociale e lavorativo, in stati di stress emotivo e di depressione.
Al danno biologico, in questi casi, si aggiunge il danno morale, non subordinato alla presenza di una fattispecie di reato, consistente nel disagio e nel turbamento arrecato al lavoratore dall’atteggiamento mobbizzante.
Al danno biologico ed a quello morale và aggiunto, sempre in questi casi, il danno esistenziale, che consiste nel pregiudizio all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine, alla vita di relazione.
Per l’accertamento e la quantificazione dei danni sopra enunciati il giudice fa normalmente uso di prove presuntive desumibili dalle tipologie di condotte mobbizzanti e della valutazione in via equitativa di tali danni.
Le suddette condotte sono suscettibili anche di assumere rilevanza penale, potendo integrare fattispecie di reati, quali quello di maltrattamenti ( art. 572 C.P.:”Reclusione da 1 a 5 anni”), quello di violenza privata (art. 610 C.P. : “ Reclusione fino a 4 anni “ ) o, addirittura, quello di estorsione ( art. 629 C.P. .” Reclusione da 5 a 10 anni “ ) , qualora la condotta sia attuata mediante violenza o minaccia per costringere taluno a fare od omettere qualcosa per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Pur non essendovi nel nostro ordinamento una definizione legale di mobbing, alla luce della dottrina e della giurisprudenza in materia, può dirsi che esso, in linea di principio,consista in un insieme di condotte, reiterate e sistematiche, volte a colpire il lavoratore nella sua dignità umana e professionale, tali da mortificarlo e denigrarlo e che, pur potendo essere in sè lecite, connotano un abuso di diritto.
In genere, una tipica condotta mobbizzante è quella che tende ad isolare il lavoratore e ad impedirgli di avere un ruolo attivo sul lavoro.
Il mobbing può essere di tipo così detto “ verticale”, quando sia attuato dal datore di lavoro e/o da suoi collaboratori e di tipo così detto “ orizzontale” , quando sia attuato da colleghi del lavoratore, potendo anche essere congiuntamente dei due tipi.
Il mobbing viola diritti assolutamente indisponibili del lavoratore ( diritto all’integrità psico-fisica e al rispetto della personalità morale), costituzionalmente garantiti ( artt. 2 e 32 Costituzione), che il datore di lavoro ha l’obbligo ( art. 2087 C.C.) di tutelare.
Tali diritti possono essere fatti valere dinanzi al giudice ordinario ( giudice del lavoro), senza che ciò possa essere precluso, trattandosi, come nel caso in esame, di un tesserato, dal così detto “vincolo di giustizia”, secondo cui gli appartenenti all’ordinamento sportivo sono tenuti a risolvere le loro controversie nell’ambito di tale ordinamento, né da clausole compromissorie arbitrali stipulate all’atto della sottoscrizione del contratto di lavoro.
Si apprende, da ultimo, sempre da notizie giornalistiche ( ved. “Il Corriere dello Sport” del 24 marzo, pag. 10), che Zarate avrebbe chiesto al Collegio Arbitrale, previsto dal vigente CCNL per i calciatori professionisti di Serie A, la risoluzione per mobbing del contratto che lo lega alla Lazio fino al 30.06.2014.
V’è da dire che, violando il mobbing, come visto,diritti indisponibili, la suddetta notizia, ove confermata, suscita perplessità circa il fatto che, in questo caso, possa sussistere la competenza del Collegio Arbitrale, a meno che il ricorso presentato non contesti, in realtà, condotte mobbizzanti, bensì inadempimenti contrattuali aventi altra natura.
Quanto sopra, ai sensi dell’art. 806, 1 comma, C.P.C., che fa divieto di far decidere da arbitri controversie che abbiano per oggetto diritti indisponibili.
Il lodo arbitrale, ferma restando la perplessità di cui sopra, deve essere preceduto da un tentativo obbligatorio di conciliazione tra le parti e deve essere pronunciato entro 60 gg. dalla costituzione del Collegio Arbitrale; termine che è ridotto a 30 gg., in caso di procedimento accelerato.
Circa la composizione del Collegio, il CCNL dei calciatori professionisti di Serie A prevede che esso sia composto da un arbitro nominato da ciascuna delle parti e da un terzo arbitro, con funzioni di Presidente, scelto di comune accordo tra le parti stesse o, in mancanza di accordo, nominato dal Presidente del Tribunale del luogo nel cui circondario si trova la sede dell’arbitrato ( per i soli procedimenti arbitrali aventi valore fino a € 50.000, l’arbitrato ha sede in Roma).
Quanto, poi, ad eventuali contestazioni che la Società potrebbe muovere a Zarate, con specifico riferimento alla sua asserita vacanza alle Maldive, nel periodo di malattia, valgono le considerazioni che seguono.
Se la malattia attestata dalla certificazione medica prodotta dal calciatore fosse effettivamente di natura psichica,il fatto che egli, durante tale malattia, si sia recato in vacanza alle Maldive non sarebbe in contrasto con l’attestazione medica, trattandosi di una infermità che non impedisce, di per sé, una vacanza, potendo, anzi, quest’ultima essere ritenuta uno strumento terapeutico o coadiuvante di uno stato di stress e di depressione.
Pertanto, la vacanza non potrebbe essere considerata un comportamento pregiudizievole al recupero della piena integrità e della migliore condizione psico-fisica del calciatore.
Neppure tale vacanza potrebbe costituire una violazione dell’obbligo di partecipare agli allenamenti, nelle ore e nei luoghi fissati dalla società, poiché quest’obbligo è escluso dai casi di malattia certificata ed accertata: quest’ultima, d’altronde, come detto, non incompatibile, per sua natura , come una vacanza.
Neppure ritengo che una vacanza, del tutto compatibile con una malattia psichica, possa configurare una violazione del dovere di fedeltà nei confronti della Società ed un comportamento pregiudizievole all’immagine di quest’ultima.
Aggiungasi che il rifiuto del calciatore contrattualizzato di accettare trasferimenti ad altre società, anche a condizioni complessivamente più favorevoli, è del tutto legittimo e, quindi, giammai potrebbe essere considerato un inadempimento contrattuale sanzionabile, posto che, con la famosa sentenza Bosman, della Corte di Giustizia Europea, il calciatore, in quanto lavoratore, è e deve essere libero di poter scegliere con chi e dove lavorare.
Relativamente, infine, all’irrogazione di provvedimenti disciplinari a carico del calciatore, essi vanno dall’ammonizione scritta, alla multa, alla riduzione della retribuzione, all’esclusione temporanea dagli allenamenti, fino alla risoluzione del contratto.
Solo l’ammonizione scritta e la multa possono essere irrogate direttamente dalla Società, previa contestazione scritta dell’addebito e sentita la difesa del calciatore, nei 5 giorni successivi alla contestazione, fatta salva l’impugnativa della sanzione adottata dinanzi al Collegio Arbitrale e fermo restando che la multa può essere applicata direttamente dalla società, solo se il suo importo non sia superiore al 5% di un dodicesimo della retribuzione fissa annuale lorda.
In tutti gli altri casi, la società, per poter comminare la sanzione, dovrà preventivamente rivolgersi al Collegio Arbitrale.
In ogni caso, la multa non potrà mai essere superiore nel suo importo al 25% della retribuzione fissa mensile lorda e, in caso di più infrazioni commesse nello stesso mese, al 50% di tale retribuzione.